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sabato, ottobre 23, 2010



Oggi ho uno scazzo che ho letto la notizia dello squalo bianco che ha azzanato il californiano e la sua tavola da surf, e mi sono immedesimata.
Nello squalo.
Ho anche delle ragioni, per essere incazzata, ma per fortuna tutte al di fuori della coppia.
La coppia, oggi, si dedica alla prima uscita dello Chez Guevara, progetto di Alta Cucina Popolare che inaugura stasera al Circolo Luogo dell'Anima, ed è ben contenta, la coppia.
E' che io mi sento che la melassa dello scazzo fatica a rianere chiusa dentro e ho paura di rovinare tutto.
Così sto uscendo continuamente a fare cose inutili, pur di gestire la rabbia.

Adesso scrivo anche questo post, mentre lui fa bollire il riso.
Magari funziona.
E faccio i compiti dell'oroscopo, che ormai è diventato l'oroscopo di settimana scorsa, tanto per leggere sotto metafora la mia vita.

Breznev, settimana scorsa, mi chiedeva di:
1) individuare le tre idee peggiori che hai preso in considerazione negli ultimi dieci anni;
2) impegnarti formalmente a correggere o a chiedere scusa per le conseguenze di queste idee;
3) perdonarti sinceramente come meglio puoi.

Allora.
1)
Prima idea peggiore: diventare una maestra. Adesso che faccio il tarlo del sistema, da fuori, non faccio che inorridire davanti alla frustrazione e alla rigidità che aleggia all'interno della scuola italiana, e mi immagino, anno dopo anno, diventare sempre più depressa e incazzata con le colleghe, con i dirigenti, con i genitori fino a diventare una maestra costantemente incazzata con i bambini.
Mi immagino sveglia tutte le mattine alle 6.15.
Mi immagino alla ricerca disperata di una cattedra.
E penso.
Era un'idea pessima.

Seconda idea peggiore: i vestiti larghi.
Quel periodo che mi sono comprata decine di maglie oversize prodotte in nepal. E poi mi vedevo grassa. Non c'è bisogno di aggiungere altro.

Terza idea peggiore: mettere su una famiglia in provincia di Varese.
Pensare di avere dei figli che passano la vita circondati da leghisti, che hanno una sola scuola dove iscriversi, la Gianfranco Miglio, e che devono scegliere tra omologarsi alla massa demente o combattere tutta la vita per difendere la loro diversità.
E io.
Alle riunioni genitori con le altre famiglie di Varese.
Alle riunioni di condominio con le altre famiglie di Varese.
Alle cene tra colleghi, di Varese.
Io, a Varese.
Dio santo, era una pessima idea.

2)
Certo che chiedo scusa. Soprattutto per le maglie larghe. A me stessa, e agli altri. Al sistema scolastico nazionale, ai dietologi e ai varesotti.

3)
Si, mi perdono.
La maestra sarebbe il lavoro più bello del mondo, se solo...
Le maglie oversize sarebbero comode e divertenti, se solo...
La famiglia a Varese avrebbe anche avuto dei pregi, se solo...

C'è che, al solito, a me mi fotte il condizionale.

martedì, ottobre 19, 2010



Il mio oroscopo di questa settimana su Internazionale è un invito alla riflessione, alla maniera di Alta Fedeltà.
La tipica cosa che adoro.
Oggi scrivo la domanda.
Domani (?) dò una risposta.

Scorpione
23 ottobre – 21 novembre


La rivista Time ha pubblicato una lista delle cinquanta peggiori invenzioni dell’uomo, in cui elenca, tra le tante, i sacchetti di plastica, i mutui subprime, i grassi idrogenati e i pop up. Ora proviamo a pensare ai tuoi equivalenti personali di questi orrori.
Per concludere la fase espiatoria del tuo ciclo astrale, ti consiglio di:
1) individuare le tre idee peggiori che hai preso in considerazione negli ultimi dieci anni;
2) impegnarti formalmente a correggere o a chiedere scusa per le conseguenze di queste idee;
3) perdonarti sinceramente come meglio puoi.

martedì, settembre 07, 2010



State evitando per un pelo un altro urlo di disperazione pedagogico.
Oggi sono stata due ore ad una riunione con preside, vicaria e assessore per scoprire che 4 dei miei sette piccoli ariani, che nel frattempo sono diventati 20, non potranno partecipare al nostro percorso creativo pomeridiano perchè i bidelli si rifiutano di pulire un'aula in più due volte a settimana.
I bidelli saranno la causa della fine del mondo.

Ma eviterò il mio solito pippotto sul Mondo Perfetto a prospettiva ranocchio.
Eviterò.
Parlando di cazzate.
Io vorrei sapere da qualcuno perchè sono tre notti che sogno acqua.
Questo qualcuno potrebbe anche essere la pissipissibaucologa, che torna domani da due mesi di interminabili ferie.
Ma le 5 di domani sono lontane.
E io stanotte mi sono di nuovo svegliata da un sogno che sembrava new orleans dopo l'uragano Kathrina.
E no, non dovevo fare la pipì.

L'altro ieri notte era proprio un incubo.
C'era questo fiume, e in questo fiume stava morendo di freddo, nuotando ostinatamente controcorrente, con addosso una muta e un berretto di lana, l'omm della tempesta.
E questa è la parte che farà più ridere voi lettori.
Tranne lui. Mi dispiace.
L'omm della tempesta era ridicolissimo e blu dal freddo, e io so che dicevo che bisognava salvarlo ma poi mica lo so se lo salvavamo.
Perchè poi di colpo c'era un fiume impetuoso che sembrava un mare.
E io dovevo arrivare dall'altra parte.
E avevo il signor siberia, in braccio, e saltavo.
E visto che la mia agilità è identica, nella vita e nel sogno, finivo in acqua.
E il signor siberia andava a fondo e io cercavo di prenderlo, e lo prendevo, ma lo tiravo su che era affogato.
E io, di questo, nel sogno ero disperata.
Che non è che non sarei disperata, se il mio gatto affogasse.
Ma la disperazione nel sogno era così tanta, e così insopportabile, che mi sono svegliata che mi sentivo morta.

E quando poi mi sono riaddormentata, so che ho continuato a sognare acqua.
Ma senza particolari, che ancora la mattina, la morte del signor siberia e l'omm della tempesta in muta e berretto di lana erano gli unici ricordi rimasti.

Qualcuno vuole esercitarsi a fare il signor freud?

venerdì, gennaio 08, 2010



Ho passato ventotto anni a pensare che la mia testa sapeva tutto e che la mia pancia non capiva un cazzo.
A lavorare incessantemente sulla pancia per farla aderire al mio raziocinio.
A sentirmi in colpa le rare volte in cui seguivo l'ombelico, lontano dalle cose che sarebbe stato meglio fare, per me, per gli altri.

Intorno a fine novembre la pissipissibaucologa mi ha detto che il compito di quest'anno era far fondere la razionalità con le emozioni.
Il conscio e l'incoscio.
La pancia e la testa.
E io subito a forzarmi, a chiedermi perchè questa pancia dannata non ne volesse sapere di mettersi in pace, di fondersi con i precisi segnali della testa. Perchè questa pancia non leggesse i bigliettini che la testa scriveva con precisione e spediva con ricevuta di ritorno.

Adesso ho pensato che posso fare una rivoluzione.
Un po' come passare da Marx a Freud.
Sto provando ad invertire la rotta.
Lascio che la testa riceva i messaggi della pancia e ci rimugini su.

I biglietti che partivano dall'alto in direzione piedi erano tutti piegati in quattro, con l'orlo ricamato, le cifre, la bustina con mittente e destinatario.
I biglietti che risalgono come salmoni sembrano i pizzini di Provenzano. Hanno le ditate di unto, le cancellature, le sbavature del pennino, i ripensamenti e anche gli errori di grammatica.
La testa, quando li riceve, fa la faccia di una vecchia maestra di paese che passa davanti alla vetrina del negozio del macellaio e legge Oggi tripa.
Però poi si mette lì, li legge, li rilegge e li corregge con la matita rossa e la matita blu. E poi li rispedisce indietro.

Paradossalmente, così funziona.
Dev'essere una questione maieutica, dev'essere che da piccola leggevo Io speriamo che me la cavo a casa dei nonni, insieme alla selezione del Reader digest.
Sarà che rimango una maestra, anche se da lontano.
Correggere gli errori della mia pancia mi viene più facile che far scrivere un romanzo alla mia testa.
Ed è molto, molto più affascinante.

lunedì, dicembre 28, 2009



Se dovessi dire, e lo dirò, alla pissipissibaucologa cosa mi sembra di aver imparato da quest'ennesimo anno di analisi, direi che ho imparato il Piacere del Privato.
La bellezza nascosta di tenere le cose per sè, di scegliere cosa dire e se dire e quanto, dire, di tutto quello che succede.

Paradossalmente tutto questo si lega al buco che siamo riuscite a fare nel tubo di ottone dentro cui scorrono le mie emozioni - dalla testa al cuore, dal cuore alla pancia, dalla pancia alla testa - in un turbinio ininterrotto e invisibile.
Con la pissi abbiamo fatto un buco, in questo tubo, e adesso addirittura succede che in seduta io pianga.
Ci ho messo quasi tre anni ad imparare a piangere.

Non potete immaginare quanta resistenza io abbia fatto per impedire che venisse fatto un buco al mio tubo dei sentimenti.
Ho schierato tutta l'armata rossa sulla linea del confine e ho fatto tripli sei per due anni, per impedire l'accesso alla pissi.
Poi, quando alla fine ha vinto lei - che sarebbe bravissima ai tavoli di Texas hold'em - ho improvvisamente scoperto che la costruzione di una valvola di sfogo dei sentimenti non ha provocato, come immaginavo, un arcobaleno di segreti, ma piuttosto delle piccole conserve di vita che decido se e quando regalare.

Come al solito, sono fuori tempo, fuori luogo e fuori moda.
Che questa è un'epoca a cui si contano i brufoli sul culo. In cui il privato è fuori moda come il comunismo e le tasse.
Ma io sto scoprendo che ci sto bene, con i segreti. Non l'avrei mai detto.

Le conseguenze sul blog, mi rendo conto, ci sono.
Che il Grande Fratello fa più audience.
Però, insomma, uno dei compiti del 2010 è quello di riuscire a scegliere le conserve di vita da spalmare sui post.
Scegliere, che non è la stessa cosa che travasare.

Ho un mare di progetti, per il 2010, e su ognuno di questi pesa l'assenza dell'unica persona con cui avrei voluto condividerli.
L'accettazione della solitudine non è cosa banale, dopo 28 anni vissuti incessantemente in condivisione.
Ma sui tappi delle mie conserve, per ora, non c'è spazio per nessun altro nome che non sia quello dell'Omm della Tempesta, che ha attaccato etichette in tutte le parti della mia vita, prima di farsi buttare fuori.

Il mio cuore di due misure più piccolo, da quando l'omm della tempesta è andato via, è una delle cose che escono piano piano dal buco del tubo.
Una volta non l'avrei ammesso neanche a me stessa, questo dolore.
Invece c'è, e Dicembre è il mese peggiore per la sofferenza.
E anche le conserve migliori sono quelle che hai fatto in primavera.

mercoledì, novembre 25, 2009

Nonostante tutto tengo fede:
Sto leggendo Cecafumo (Ascanio Celestini) e Il libro delle liste (D. Wallachinsky e A. Wallace)

Probabilmente perché era il primo pomeriggio davvero da sola dopo mesi.
(La Ragazza fuori moda a Sestri Pizza, nessun appuntamento, nessuno scrocchinquilino).
Sicuramente perché cucire è una di quelle attività a mezzo cervello.
(E l’altro mezzo fa il cazzo che vuole).
Perché il Gatto Signor Siberia è venuto a farsi fare le coccole e si è allungato in tutta la sua improbabile lunghezza.
(Niente come un cucciolo che cresce segna il passare del tempo)
Perché, di tutti i posti della casa, ero sul fouton
(…)
Magari c’entrano anche i Pink Floyd
(Ma fossero stati anche i Persiana Jones, Ivano Fossati o Miguel Bosè probabilmente faceva uguale)
E poi quegli aggiornamenti di stato su Facciabuco, immutati, sbruffoni, grandiosi, allegri
(E perché non lo cancelli da Facciabuco? Non lo so perché).

Insomma.
Mentre ero lì che cucivo l’orlo ai pantaloni, con i pink floyd, un gatto allungato, il fouton, ecco che il mezzo cervello è andato allo status grandioso, sbruffone, allegro dell’omm della tempesta su facciabuco, e la mia rabbia e la mia delusione hanno deciso di traslocare.
E invece di continuare a pesare sulle mani nel preciso impulso rabbioso del Se lo vedo lo picchio, lo picchio fortissimo, in quel momento sono risalite attraverso le dita, l’ago, il filo, i pantaloni e sono andate a depositarsi sullo stomaco.
Lì ho iniziato a piangere.
Come una scema, ho iniziato a piangere.
E il gatto Signor Siberia, alla terza fastidiosa lacrima che gli picchiettava sulla testa, ha pensato, da gatto, di spostarsi più in là.
In quel momento ho iniziato a piangere ancora più forte.

Io lo so che la Pissipissibaucologa oggi mi dirà che è sano che io pianga: Brava Vanessa, che accetta i dolori invece di nasconderli.
Ma a me, invece, a me non va di piangere per un uomo così, che è stato capace di farmi così male con una tecnica da Generale argentino. Un dolore quotidiano fatto di scientifiche mancanze e di sottili cattiverie, sempre come se avesse ragione lui, sempre a farmi sentire in colpa perché chiedevo troppo, perché non mi accontentavo mai.
Io non voglio piangere per un uomo così, perché neanche questo si merita, dopo la dolce tortura quotidiana che mi ha riservato per due anni,
E invece tutta la mia rabbia, di cui ero così fiera, così orgogliosa, tutta quella meravigliosa voglia di spaccargli la faccia se solo mi fosse capitato vicino, quella sensazione da Incontro Protetto che mi inorgogliva, ha fatto un triplo salto carpiato e ha deciso di costruirsi un nido nel mio stomaco.
E fa un sacco di male di più.
Mi fa piangere, e mi fa sentire una bionda scema.

Perché nello stomaco sono depositati anche tutti i momenti belli, che da buon Generale argentino l’omm della tempesta sapeva centellinare; e se la rabbia si mischia ai ricordi, e la delusione alle felicità, è un casino.
Perché quando tutto si mischia, ecco che dal casino risorge la Sindrome di Stoccolma.

E così sono qui che piango su un ricordo, uno, preciso, tra i tanti.
Il ricordo di quando la sera della mia festa di compleanno venuta male, lui non ha voluto uscire con noi, a mezzanotte, perché era stanco, ed era la mia festa di compleanno, e già non mi aveva fatto il regalo, ma ha detto che non usciva perché era stanco.
Quello è il momento in cui ho deciso che lo lasciavo. Proprio in quel momento.
Ma non gliel’ho detto, l’ho solo pensato che lo lasciavo.
E lui, mentre lo pensavo, mi ha preso per mano, mi ha guardato con la sua gentilezza Dottor Jackil e mi ha detto E se invece stasera rimani a casa e facciamo l’amore?
E io gli ho detto di no.
Perché avevo già deciso che lo lasciavo.
Ma soprattutto perché finalmente smettevo di dover scegliere tra lui e la mia vita. Gli offrivo di passare una vita con me, e invece per lui era un’alternativa: o lui o la mia vita. O io o la sua vita.
E allora lì gli ho detto di no.
E poi l‘ho lasciato.

Ma il mio cervello, che è stupido, ha catalogato quel momento tra quelli che non avrei voluto perdere mai, per la dolcezza e la passione, per la forza delle sue mani e per lo sguardo che l’omm della tempesta sapeva buttare sul piatto quando l’occasione lo richiedeva.
Anche se lì per lì ho saputo dirgli di no e uscire, anche se lì per lì tutta la sua dolcezza e tutte le sue mani aumentavano soltanto la mia rabbia, il mio cervello ha messo il ricordo nel cassetto sbagliato.
E per quanto adesso io mi sforzi, la razionalità è rimasta nelle dita, e nello stomaco è finito tutto il resto, nello stomaco è risorta la sindrome di Stoccolma.
La mia razionalità sa che anche quella era l’ennesima prova a perdere: da sola con lui, o da sola con gli altri. Insieme no, non era un’ipotesi contemplata da l'omm della tempesta.
Ma nello stomaco il ricordo del suo sguardo e delle sue mani bruciano come la cosa che non avrei voluto perdere mai, come l’ultimo passo sui carboni ardenti, come l’ultima figurina per finire l’album.

E quindi, scusatemi, niente squadra di softball, oggi.
Devo immancabilmente fare i conti con l’imbarazzante, incomprensibile e dolorosa imbecillità del mio stomaco.

mercoledì, novembre 18, 2009



Tra il cervello e la mano di pestalozziana memoria, la sottoscritta ha sempre preferito il primo.
E guai a voi se ci vedete un doppio senso.
Una creatività teorica e grandemente teorizzata, accompagnata da un saper fare relativo: una brutta grafia, un disordine costante, una lontananza dal trapano e dal martello misurabile in ere geologiche. Parecchie difficoltà con il lego, un po' meglio con la sua versione autistica: il fascistissimo meccano.

Sono stata accompagnata da una delega costante all'agire pratico per quasi tutta la mia vita.
A me sembrava che metterci le idee fosse già abbastanza: che la pratica ce la mettesse qualcun'altro.
Da qualche mese, invece, ho dieci dita che hanno ritrovato la sicurezza in loro stesse. Forse hanno finito l'analisi anche loro.
La mia fricchettona preferita dice che mi sono riconnessa con luoghi della mia anima che avevo sepolto sotto metri di teoria.
Voi materialisti ( col vistro chiodo fisso) prendetela un po' come volete, però è vero che finalmente ho dieci dita che fanno qualcosa di più che scrivere e sfogliare le pagine di un libro.

Ieri, ad esempio, ho dato prova di eroismo pratico.
Ho guidato un furgone. Tutto io, tutta da sola.
Un furgone che non aveva lo specchietto retrovisore.
Che era alto qualche decina di metri.
Che era largo come una portaerei.
Che era pieno di pesantissimi legni: il paradiso del castoro.
E che andava parcheggiato con una manovra difficilissima tra due minuscole macchine.
L'ho fatto.
Ho fatto anche una retromarcia difficilissima, presa per il culo da un intero cantiere di operai.
Si, va bene, ho rigato la macchina entrando nel parcheggio.
Ma poco.
E poi sono macchine del car sharing: la scarsa abilità dell'autista è contemplata nel contratto.

Domenica scorsa, invece, mi sono vestita con una tuta bianca - che era da prima del g8 che non lo facevo più - e ho dipinto di giallo becco d'oca tutta una stanza del nostro nuovo circolo. Tutta da sola, che non c'era nessuno.
Il giallo becco d'oca è uno di quei colori che vedono solo le femmine e gli architetti.
Adesso ho un paio di scarpe giallo becco d'oca e un paio di jeans giallo becco d'oca. Perchè la tuta bianca non serve a ripararsi davvero. Avremmo dovuto ricordarcelo, al G8.
Comunque c'è un'intera stanza del nostro futuro circolo, quello si candidato a diventare il nostro luogo dell'anima, tutta dipinta da me medesima.
E un soffito sul quale ho sparso manciate di colla con una pennellessa per evitare la sfarinatura.
E una cucina ripulita da tutte le sue muffe e da tutti i suoi insetti.
Tutto fatto dalle mie dieci dita risorte.

C'era un capitolo, in centomila gavette di ghiaccio - librone moralmente massacrante sugli alpini in russia - in cui un soldato non ce la faceva più a camminare e chiedeva al Maggiore cosa poteva fare, che il piede sinistro non lo sentiva più. Il Maggiore lo fa sedere sul carro, gli fa togliere lo scarpone sfasciato e il piede è blu.
Allora il Maggiore gli dice di fare penzolare il piede giù dal carro e di farlo fregare nella neve. Piano piano, il freddo e l'attrito risvegliano la circolazione del piede sinistro e il soldato, come si diceva in un altro libro, arriva a baita.

Ecco, io mi sento così.
Che sono su un carro e sto facendo pendere tutte le dita per farle sfregare contro la neve. E loro piano piano si risvegliano e ricominciano a giocare.

martedì, novembre 10, 2009



Mentre tutta me stessa sembra convintissima di poter fare a meno di moltissime cose e, tra queste, di un fidanzato, il Generale Inverno mi ha suggerito che non potevo continuare a fare a meno di una ventola dell'aria calda per il bagno.

Così la mia vita, da ieri pomeriggio, ha virato verso l'ennesimo grado di felicità, dopo una doccia chilometrica, litri di crema corpo, la maschera capelli e quella viso, il tutto in un gradevole caldino, apprezzato anche dal gatto Signor Siberia, accoccolato tra il calorifero e la porta.
Il fatto che il commesso che mi ha venduto la ventola fosse anche uno degli uomini più carini mai visti nei vicoli, ovviamente, non c'entra nulla con questo grado di felicità.

Tutto intorno, nel frattempo, è tutto un riallacciare i rapporti con chi ho lasciato per strada nel mio delirio emotivo di coppia. Ho scritto una decina di mail in due giorni il cui tono era Hey, hey, hey, ero sparita ma sono tornata.
Ho preso the, cucinato e inscatolato libri con le amiche, e ho scoperto che c'è una sola coppia di nostra conoscenza, di tutte quelle che eravamo, che resiste all'usura del tempo. Tutte le altre esplose, scoppiate, litigate, sparite.
Non è un bel segnale.

Abbiamo fatto le nostre giuste e sacrosante lamentele sui maschi, sui trentenni, sulla società e sul mondo, arrivando alla conclusione che possiamo giusto sperare nella fine del mondo nel 2012.
Confidiamo nei Maya.
E nel frattempo ci impegnamo a dimostrare l'inconcludenza della sinistra, impegnando due settimane a decidere se fare o non fare i lavori di restauro al nuovo Circolo Arci.
Insomma, se la mia attività onirica non si stesse sviluppando come le muffe in vitro, dimostrandomi che la felicità forse è anche di questo mondo, ma non della mia situazione attuale, potrei anche definirmi allegra.
Venerdi c'è l'ennesimo, attesissimo concerto di Guccini.
Vedo se piango su Farewell e poi vi dico come sto veramente.

mercoledì, agosto 26, 2009

SOGNO

Vincevo mille milioni all'enalotto.
Chiamavo l'Anonima Sequestri sarda e dicevo che davo tutti i soldi di cui avevano bisogno per comprare tutti i terreni in Sardegna, in cambio della garanzia che non li avrebbero inquinati.
L'Anonima Sequestri comprava i terreni.
Io andavo in televisione e dicevo "Tiè - proprio così: tiè - non solo ho usato i soldi per una cosa carina, ma adesso non ho neanche più paura che mi rapiscano, perchè non ne hanno bisogno".


...Attività Onirica Awards 2009.

mercoledì, luglio 29, 2009



E mentre la vita sociale scorre via, tra politica e maalox, quella sentimentale si attorciglia come un cappio del ku klux klan.
Si attorciglia e poi si allenta, nella grazia dell'ultimo minuto, ma lascia sempre dietro quella scia di costante dubbio: Ma alla fine, perchè?
Perchè le cose non possono, semplicemente, scorrere, invece di inciampare, impigliarsi, accavallarsi, scontrarsi? Perchè dobbiamo per forza essere due iceberg ripieni di dolcezza, che per arrivare a fidarci dobbiamo procedere per dolorosissimo attrito?

Io credo di avere un fidanzato che ad un certo punto ha diviso il suo amore in sette horcrux.
Dico sette per tranquillizzarmi. Magari sono ventimila.
Il gioco sta nel trovarli tutti e, pazientemente, ricomporre tutta la sua affettività.
Non starò a dirvi che, nell'affascinante viaggio, ci si bruciano le mani e si viene assaliti da orrendi incubi marini.
C'è che poi se uno è come me, che conto con le dita, si distrae e si dimentica quanti horcrux ha recuperato e quanti gliene mancano.
Però se uno è come me, che conto con le dita ma adoro le sorprese, finisce che aspetta quasi volentieri il ritrovamento del pezzetto successivo e tutti gli stravolgimenti e i miglioramenti che questo comporterà.
Perchè c'è questo, nelle magie, che poi si mette sempre tutto a posto.
No, sempre no.
Spesso.
Spunta una fenice, un Professor Silente che ti sussurra la formula magica che ti mancava, un amico che ti sostiene nella ricerca. E le cose vanno a posto per un altro pezzetto.

Nonostante le mani bruciate - di entrambi, le mani bruciate - e i mangiamorte, quindi, io persisto nella ricerca.
E mi godo tutti i miglioramenti che i ritrovamenti comportano: ho una vita di coppia meravigliosa, quando ho una vita di coppia.
Meravigliosa alla Frank Capra, intendo.
Questo è già uno dei risultati.
Bisogna solo andare avanti nella ricerca: continuare a bere, continuare a bere, continuare a bere...

venerdì, luglio 17, 2009



Ho un'animazione che mi attende dall'altra parte del pianeta e sono bloccata in ufficio da un insopportabile mal di pancia.
Poi mi si chiede perchè io odi l'estate.
Estate.
Caldo.
La mia pressione finisce sotto i piedi.
Per sopravvivere devo farmi di liquirizia endovena.
La liquirizia, assunta in grandi dosi, dice il pacchetto delle tabù, può provocare effetti indesiderati.
Appunto.
Sono bloccata in ufficio dagli effetti indesiderati, con un gatto a casa che si starà mangiando anche le gambe della sedia, a questo punto
Ma io non me la sento di uscire nei vicoli, che già per arrivare qui è stata una prova di forza.
Siberia mangerà le gambe della sedia e capirà la difficoltà di vivere in vico dolcezza: la fossa delle marianne di ogni blando tentativo di organizzazione, il triangolo delle bermuda degli imprevisti.

Però già che sono qui, ne approfitto per scrivere un'appendice al post di ieri, che sangue e lacrime sembra aver provocato in amici e parenti.
No, non c'è alcun progetto serio di emigrazione.
No, non sto cercando casa sul lago di Bellinzona.
E no, non sto scappando lasciando voi a suonare sul ponte del titanic mentre io sgranocchio toblerone.

Ci sto solo pensando, così, come si pensa da bambine al vestito che si indosserà al proprio matrimonio.
Per poi finire a lottare per i pacs.
Per poi vivere di storie a distanza.
Ci sto pensando non per ora, non per domani, ma nell'ipotesi futura dei miei figli.
Perchè io credo che ho la pelle abbastanza dura da affondare con il titanic suonando l'Internazionale, ma non credo invece che sia giusto imporre ad un bambino questo paese di merda.

Ieri l'omm della tempesta mi raccontava di un centro estivo di boscolandia dove, sotto lo sguardo assente degli educatori, tre bambini ne picchiavano un quarto urlandogli "Sporco negro".
Il quarto bambino era bianco, se questo può servire ad inquadrare le cose.

Ecco, allora, io, già che vado dalla mia partigiana svizzera, inizio a capire se e come sia possibile andare via, da questo paese. Non per me, ma per i miei figli.
Detto questo, adesso non mi scrivete Ma come, stai pensando di fare dei figli e neppure ce lo dici?
No.
Non sto pensando di fare dei figli.
Non sto pensando di scappare in Svizzera.
Ma entrambe le cose, ad un certo punto, potrebbero anche succedere, e io voglio saperlo prima, se può essere una cosa fattibile.
Da non trovarmi poi che mi ero data una meta e me la vedo scippare sotto gli occhi, come la rivoluzione del proletariato nell'89.

Perchè c'è questa storia di Teresa Noce, tra le varie storie bellissime di Teresa Noce.
C'è che lei e Luigi Longo ad un certo punto fanno gli antifascisti in Francia, poi la guerra di Spagna, poi la Resistenza.
E nel frattempo fanno anche due figli.
E quando devono decidere, si parlano e capiscono che loro possono sopportare le guerre, il fascismo, le torture e i campi di concentramento. Ma i figli. I figli no. E li portano in Unione Sovietica, mentre loro rimangono qui: Teresa Noce a Mathausen, Luigi Longo a scoparsi la segretaria mentre coordina la Resistenza.

Adesso, sarebbe da chiedere ai due piccoli Longo cosa avrebbero preferito fare loro, ma io credo che il contesto in cui far crescere un figlio sia quasi tanto importante quanto la famiglia.
Se le due cose, famiglia e contesto, possono andare di pari passo, di un bel pari passo, di un positivo pari passo, quella è la cosa migliore del mondo.
Ma se il contesto è una merda, non si può far finta di niente.
Non è mica sempre vero che dal letame nascono i fior.
Io non credo che resterò qui a vedere i miei figli picchiati dai figli degli squadristi.
O, signoriddio, a vedere mio figlio diventare squadrista come nella Storia della Morante.
Preferisco un figlio con le birkenstock e le calze, grazie.

Ma non è ora il momento.
E' solo un pensiero così, laterale, ipotetico.
Quindi, tranquilli: per adesso rimango nell'orchestra.

giovedì, luglio 16, 2009



Stamattina, appena sveglia, avevo l'herpes e Napolitano aveva firmato il decreto sicurezza.Con tutti i dubbi e le formalità, e le lettere e i distinguo, ma aveva firmato.
Obtorto colle, come dice il Manifesto.
Se il pdl riscrive davvero la legge sulla base dei consigli del Presidente della Repubblica come spera la vocedelPd , mi mangio una merda.
Ma dove pensa di vivere, Napolitano? In una democrazia?

L'herpes comunque non c'entrava con Napolitano, anche se avere il Presidente Travicello non aiuta per niente il mio umore, i miei sfoghi e la mia tendenza bombarolo.
...c'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo...
Con l'herpes c'entrava molto di più la mia contorta storia d'amore e psiche, psiche nel senso di Basaglia.
Ma stare qui a raccontarveli, i miei casini, gli ostacoli del destino e di un uomo terrorizzato, la difficoltà di avere un fidanzato che sembra che prima di me fosse sposato con un dissennatore da quanta paura dimostra all'idea della vicinanza e della condivisione, la fatica di essere innamorata di un uomo che neanche tutte le cioccorane del mondo sembrano fargli passare quel gelo dell'anima, stare qui a raccontarvelo non rende l'idea.

Perchè stare insieme all'omm della tempesta è una decisione complessa, ponderata, fatta di lettere di dissenso e firme in bianco, sperando nella fortuna che aiuta gli audaci, i pazzi e gli autolesionisti.
Una storia d'amore obtorto collo.

Ma il contesto non aiuta, che tra il personale e il politico almeno uno su due deve consolare e sostenere, per dio.
Così a fine agosto io e l'omm della tempesta andiamo a pranzo dalla mia partigiana svizzera, e già che siamo lì proviamo a buttare un sassolino nel lago: Ma senti, ma non è che conosci qualcuno che assumerebbe un educatore, da queste parti?
Poi si è sempre in tempo a dire di no.
Ma intanto mi sembra importante e consolatorio sapere se esiste una chance di abbandonare questo paese alla sua morte certa per denutrizione democratica.

mercoledì, luglio 15, 2009



Io non lo so perchè a volte mi faccio conquistare da film improbabili soltanto guardandoli dalla copertina.
La stessa copertina che tutto il resto del mondo rifugge urlando No, dio mio, no, un altro film poetico-deprimente.
Io ci casco, sempre.
Meglio se sono film di provenienza improbabile, solitamente mediterranea o nordica: turchi, svedesi, israeliani, novergesi, palestinesi, iraniani.
Indiani e pakistani, no. Troppo colore. Gente che ride, che balla. Figurarsi.
Gli altri, quelli tristi, li compro tutti io.

Ieri sera era israeliano, il film poetico deprimente.
Meduse, il titolo.
Prodotto da Nanni Moretti, consigliato da Natalia Aspesi.
Si, esatto, facciamoci del male.
Poetico, in effetti, era poetico.
C'era anche una meravigliosa bambina con i capelli rossi che non voleva mai separarsi dal suo salvagente a ciambella.
Io mi sentirei anche di consigliarvelo, questo film Meduse, a patto che voi:
non siate in premestruo
non abbiate saltato una settimana dalla psicologa
non usciate da una settimana di mal di denti, devitalizzazioni e anestesie
non abbiate dritto davanti a voi venti giorni di latitanza del vostro fidanzato
di cui
una settimana in francia con quello che costano le telefonate internazionali
non abbiate appena salutato il vostro fidanzato dopo averlo visto meno di 24 ore
non stiate cercando di gestire la vostra sindrome da abbandono
non abbiate quest'insopportabile voglia di trasformarvi nel bombarolo
non abbiate la netta sensazione che le cose si trascinino come un aratro in una palude
non vi sembri che tutti stiano facendo un figlio tranne voi e la sfigata protagonista del film
non abbiate la netta convinzione che state sbagliando tutto, e comunque lo state facendo in ritardo
non abbiate la precisa sensazione che le cose voi le avevate pensate, previste e preventivate ma siete state le cassandre di voi stesse e avete finito per non ascoltarvi
non abbiate dritto davanti a voi ancora due appuntamenti dalla psicologa prima delle sue interminabili ferie.

Se voi, a differenza della sottoscritta, avete una psiche sostanzialmente sana, una vita coerente con le vostre sindromi, invece che in netto ed evidente contrasto, se non vi comportate con voi stessi come il dottor house coi suoi pazienti, in quel caso Meduse è un bel film.
Veramente, fidatevi.
Fatevelo dire da me, che ho pianto disperata tutta la notte.

mercoledì, maggio 13, 2009



Giuro, senza incrociare le dita, che non sono mai stata particolarmente affascinata dalla figura di Enrico Berlinguer.
Trovo magnifica soltanto la definizione che hanno dato di lui di “morto sul lavoro”.
Al di là dei miei sottopentola, non ho altissime opinioni dei segretari del Pci, in generale.
E non è neanche questione di dna che dici, sai, ti hanno tirato su alla festa dell’unità, qualcosa dev’essere rimasto.
In casa mia si cantava Bee bee bee berlinguer chi pecora si fa il lupo se lo mangia.
Quindi, esclusa una mia influenza di partito.

Religione men che meno.
Dei protestanti non ho particolari buone opinioni, esclusi gli ospedali e un singolo rappresentate di mia conoscenza.
Scartata quindi anche l’influenza della dottrina.

Perché, dunque, io mi ritrovi intricata in questa appiccicosa morale calvinista che mi rovina la vita, non riesco a spiegarmelo.
Forse è l’undicesima piaga dell’extraparlamentare, la dodicesima dell’ateo, dopo le scolopendre nel bagno e i capelli grassi.
Tutta la fottutissima morale, tutto il dannato ostinato rigore che il pci ha perso a manciate anno dopo anno, pezzo di muro dopo pezzo di muro, l’ho vinto io.
Hanno tirato su il mio numero durante i funerèl del berlinguèr, o forse ho perso a carte con Gianni lo spazzino con le carte da ramino, tra Bulogna e Sàs Marcòn.

E così eccola qui, la nessie, che porta avanti il suo senso del dovere spingendolo su per le salite, come uno stercorario la sua palla di importantissima merda.
Eccola, la nessie, che se sbaglia qualcosa si convince che finirà in un inferno a cui neppure crede.
Eccola, la nessie, che rinuncia ad un seminario con Ascanio Celestini perché, come sempre, aveva preso degli altri impegni per lo stesso week end. Impegni lavorativi, ovviamente. Perché, da buona calvinista, al resto rinuncio, ma al lavoro.
E non aiuta questo fottutissimo lavoro precario – a proposito di ottimi segretari di partito – che se appena cedo mi viene chiesto – carinamente, mi viene chiesto, con tenerezza anche - Ma se hai bisogno di più tempo per te, al prossimo contratto puoi anche scegliere un monte ore inferiore.
Certo che posso, guadagnando ancora meno, e quindi dovendo fare altri lavori, improrogabili, sovrapponibili a tutto il resto della mia vita.

Io sono stufa ed è tutto il giorno che mi viene da piangere.
Perché ci sono delle volte, lo confesso, che esplodo d’invidia per quelli che possono permettersi di formarsi piano piano, tra un seminario di Celestini e un viaggio a Parigi, fino ai trent’anni.
Non quelli che la formazione e le cose belle devono incastrarle nelle fessure della vita.
Ma poi, andando nel concreto, esplodo di invidia anche per quelli che sanno mandare a Fanculo il proprio senso del dovere, quelli che non è a loro stessi che rinunciano, fanno rinunciare gli altri.
Quelli che oggi alle ragazzine avrebbero detto Domenica prossima non ci vediamo per fare i biscotti, mi dispiace, è domenica, ho i cazzi miei da fare.
E non si sarebbero fatti conquistare, non avrebbero neppure notato i loro occhi delusi.
Li invidio, quelli che semplicemente spengono il cellulare e partono.

Io non ce la faccio.
Io penso che mi sono presa degli impegni.
Penso che ho dato delle garanzie.
Come i navajos che si fumavano il calumet e poi, finito il tabacco, venivano massacrati.
Io sono i navajos: credo nel calumet e alla parola data, e alla fiducia accordata, sempre ci credo, anche il giorno dopo Sand Creek.
E così rinuncio, mentre intorno la morale, ma neanche la morale, la coerenza, ma neanche la coerenza, mentre intorno tra il dire e il fare c’è di mezzo una seconda repubblica, io sono rimasta legata all’ostinato rigore dei miei partigiani.
Che studiavano di notte per andare a dare gli esami da privatisti, sapendo che li avrebbero passati comunque, nel ’47, se solo si fossero presentati con la fascia del CLN, e invece ci andavano in borghese, preparati su tutto, perché così nessuno potesse dire che i partigiani se ne approfittavano.
Così loro si sono sacrificati la vita a studiare molto di più di quanto non fosse necessario.
E poi tanto Andreotti li ha fottuti.
E Pansa li ha smerdati.
E Togliatti li ha venduti.
E loro, lì, a studiare per morale, per coerenza, per correttezza.

Io ho questo dannato ostinato rigore.
Vorrei dire che me l’ha trasmesso il mio partigiano di riferimento, ma non è vero, ce l’avevo anche prima.
Non me la scrollo via, che mi ha azzannato il polpaccio chissà quando, è un merdosissimo tafano, questa morale.
E’ un’appendice sempre ad un passo dalla peritonite, questa coerenza.

E così io domenica sarò a fare i biscotti con le ragazzine.
E sabato i comunicati da ufficio stampa.
E venerdi l’equipe, la progettazione, i recall.
E al seminario di Celestini ci andranno quelli che in culla è arrivata la fatina del menefreghismo, a fargli la magia.
E quelli che quando sono nati è arrivata la fatina democristiana.
E anche quelli che in culla li ha salutati la fatina frikkettona con la canna tra le labbra.
Io invece no, che a me mi ha fatto la magia la fata che non l’aveva invitata nessuno, la fata Ferrero: protestante e berlingueriana.

mercoledì, aprile 29, 2009



Sarà che ho dormito quattro ore e ho le borse sotto gli occhi come i panda, sarà che diluvia, sarà che ho iniziato una riunione alle dieci e l'ho finita alle due, sarà che mi hanno offerto l'amaro al mio bar preferito e ne sto subendo le conseguenze.
Ma adesso che mi fermo, e mi guardo le mani sulla tastiera, e provo a scrivere, mi vengono le righe malinconiche, per il post di oggi.
E non ne ho voglia, perchè voi siete già lì a gestirvi il vostro, di maggio autunnale: avete progetti per Natale?
Così provo a pensare ad altro, al primomaggio e al viaggio estivo.
Ma la verità è che se oggi fermassero il mondo, scenderei dieci minuti a riprendere il contatto con le cose.

Sarà il dolcetto di ieri sera, i dolcetti di stanotte, sarà l'ennesima volta che vorrei essere un vestito che non impegna, invece di un tubino scollato sulla schiena.
Facciamo un test su facebook: tu che vestito sei?
Facciamolo sgrammaticato, come tutti i test di facebook.
Tu ke vestito sarebbi? Da indossare al volo ho una volta nlla vita?
Io vengo fuori l'abito della principessa sissi.

Ci sto ricascando, ma non ve lo meritate, di sorbirvi la mia malinconica presa di coscienza dello scarto tra me e il mondo.
Diceva ieri il proprietario del maialino salmì che io non dovrei sapere chi è Andrea Costa, perchè sono nata nel 1981.
Dovrei conoscere i supertramp.
E bimbumbam.
Bud spencer e kevin kostner.
I brooklin e space invaders, come dicono gli offlaga disco pax.
Se ti dico Vorrei Andrea Costa candidato alle europee, dice il proprietario del maialino Salmì, dovresti rispondere Chi? Perchè sei nata nel 1981. Che cazzo ne sai dei socialisti dell'800?
E invece capisco, ribatto, rilancio.
E finisce che mi disegnano metà Valentina di Crepax, metà mostro nell'armadio.
Anche quando vorrei essere un anonimo vestito a cadenza settimanale.

Così alla fine la mia malinconia ve la siete sorbita.
Scusatemi: mi sono svegliata stamattina pensando all'infame vita sociale di Artemisia Gentileschi.

venerdì, aprile 10, 2009



Sembra che partiremo per l'Abruzzo entro un mesetto, non per aiutare nel primo soccorso - in cui saremmo stati mediamente utili - ma per organizzare attività di socializzazione, che poi è quello che sappiamo fare veramente.
Ovviamente ho dato la mia disponibilità e uno dei progetti del week end è quello di andare nella mia libreria preferita ad ordinare un paio di libri sulla gestione educativa dei bambini traumatizzati.
Che lo so, che detta così non sembra la miglior proposta consolante per questo week end delle Difficili Decisioni, ma invece è vero che almeno mi fa sentire utile.
E poi sono pur sempre libri.

La verità è che la difficoltà più grande, al di là dell'assenza, è questa sensazione di inamovibilità che mi prende quando realizzo che sono al punto di un anno fa, che ho corso corso corso sul posto come un criceto deficiente sulla sua ruota.
Che mi sono adattata ai tempi Ent di Stakanov mentre io, che sono un abitante del Piccolo Popolo dei Grandi Magazzini, mi scorrevano via i giorni.
E attenzione al livello clamorosamente nerd di quest'ultima metafora.

Mi prende la vergogna e l'imbarazzo a pensare di chiamare il mio amico Grande Regista da cui mi rifugio sempre quando qualcosa non va, e dirgli Ti ricordi l'anno scorso? Ti ricordi esattamente un anno fa? Hai voglia di consolarmi? Sono sempre allo stesso punto.
Mi sento come quelli bocciati all'esame di maturità.
Anzi, mi sento come quelli che riflettono se accettare un 18 di analisi2, o di diritto civile, o di anatomia.
Poi non lo accettano.
E cinque minuti dopo si fanno prendere dal panico: Oddio, no, non lo voglio aprire di nuovo, quel cazzo di libro.

Sono le undici e quarantatre.
Avrei avuto il treno per Boscolandia tra un paio d'ore.
Mi sarei fatta uno zaino di cose carine.
Mi sarei fatta una doccia e la crema profumata.
Mi sarei persino fatta la piega ai capelli.
Mi sarei impuzzolentita sul regionale verso Milano.
Avrei pagato un euro per entrare nei bagni di Centrale a riprendere una conformazione umana.
Avrei preso un altro treno e sarei arrivata a Boscolandia.
E avrei avuto davanti un altro pezzo di questo gioco di ruolo che mi sono divertita a chiamare storia d'amore fino a tre giorni fa. 
E l'avrei riempito di finzione a scadenza. Anzi, l'avremmo riempito, giocando tutti e due ai Fidanzatini cocopro.
E ci saremmo come al solito divertiti moltissimo e coccolati tantissimo, con il conto alla rovescia.
L'amore con la bomba in tasca, rinnovabile di settimana in settimana.
Se gli viene in mente a Virzì ci fa un film.

La malinconia per i bagni della stazione è un brutta bestia.


giovedì, aprile 02, 2009




















Stamattina, mentre disincagliavo le spalle dai residui dello shiatsu, ho ricevuto un messaggio bellissimo che diceva "Gò ciapà ul bigliet, arivi a genua a i nov'ur. Te set cuntent...?".
Questo è il messaggio di un uomo che mi conosce.
Che sa come farmi ridere. Che sa farmi ridere la mattina, prima delle dieci, che è un miracolo già solo quello.
E' il messaggio di un uomo che pianta i piedi, ma poi sa trovare i tempi e gli spazi per le coccole.
E io sono innamorata di quest'uomo. Per queste cose, sostanzialmente.
Perchè io non è che sono una persona facile.
Io se c'è una cosa che non so fare è accontentarmi.
Non l'ho fatto mai e credo che mai lo farò.
Non sono una donna che sa scendere ai patti con la vita, che trova la mediazione con sè stessa, che accetta le rinuncie e le mediazioni.
E c'è questo, con Stakanov, sempre, ogni singolo minuto che passiamo insieme, c'è che non devo accontentarmi.
C'è che è esattamente tutto quello che voglio, nel modo in cui lo voglio. E, per quanto non sembri da tutti i miei continui tentativi per cercare di vederlo di più, anche i tempi sono quelli giusti.
Perchè altrimenti - dice la pissipissibaucologa - com'è che questo è il terzo fidanzato a distanza che si sceglie? Di cui uno intercontinentale?
Stakanov a boscolandia è la migliore mediazione con me stessa, che così ho la scusa per andarmene da questa città, ogni tanto, che alla lunga mi sento soffocare, stretta tra il mare e le montagne. Stakanov a Boscolandia vuol dire che io, negli ultimi tre mesi, ho scritto tre quarti di un libro per bambini. E questo non l'avrei fatto, con Stakanov qui, perchè io scrivo quando sono da sola e soddisfatta.
Stakanov lontano è un regalo alla mia indipendenza.
E anche per questo io sono contenta.

Allora, questo post che sembra una celebrazione del mio amore e della mia storia assurda, perchè non è che non me ne rendo conto che è una storia assurda, comunque non lo è, una celebrazione.
E' un'invettiva contro la psicanalisi dell'era barbarica.
Comincia adesso, l'invettiva.
E lo so che se lo dico io, che sono stufa della psicoanalisi barbarica, io che parlo della pissi una volta a settimana, che muoio quando va in ferie, che mi chiarisco le idee solo il mercoledi dalle cinque alle sei, sembra il comma 22.
Però io ho pensato questo, in questi giorni di subbuglio comunitario.
Ho pensato che lo psicologo, l'analista, lo psichiatra sono un'invenzione meravigliosa, meglio della crema novi alle nocciole.
E' un appuntamento settimanale meraviglioso, è come un buon cinema.
Ma non è un matrimonio, è un appuntamento a settimanana. E intorno c'è la vita. C'è un mondo fuori dal lettino.

Io credo che in molti ce lo siamo dimenticato, questo.
Perchè ad un certo punto è arrivata l'autocoscienza, le manfrine new age: conosci te stesso, interpretazione dei sogni for dummies, riflessione e meditazione.
E quando sono arrivate le manfrine new age abbiamo cominciato a sbagliare tutto, sul fronte della psicoanalisi.
Perchè, a furia di applicare la psicoanalisi a questa età dei barbari, a forza di mescolare Freud e il gabbiano Jonathan Livingstone, abbiamo iniziato a pensare, da una parte, di non poter vivere senza che qualcuno ci aiutasse a capirci e, dall'altra, di non poter agire finchè non ci siamo messi a posto tutti i nostri traumi.
Questo è un'approccio positivista alla psicoanalisi.
Ed è terrificante.

Perchè adesso che tutti pensiamo di saper leggere i sogni, che tutti sappiamo che le cose che facciamo provengono dai traumi della nostra infanzia, che persino quel coglione di pirandello ci ha spiegato la questione delle maschere sociali, adesso abbiamo paura di vivere.
Perchè sappiamo che faremo degli errori.
Perchè è sicuro che pesteremo dei piedi, camminando.
Perchè è certo che staremo male anche noi, mentre viviamo.
E poi ci sentiremo in colpa.
Adesso che ne abbiamo la coscienza, invece di camminare chiedendoci, abbiamo smesso di camminare.
Abbiamo dato le chiavi in mano alla psicanalisi e abbiamo detto di aprirci la porta quando finalmente saremmo stati abbastanza sani da cominciare a vivere.
Ma non è che scoprire il perchè dei nostri malesseri, non è che scoprire tutto il dolore che abbiamo accumulato in trent'anni, non è che riuscire a frenare il proprio torrente di rabbia debba essere il parto della nostra vita adulta.
Si vive anche prima, e si continua a vivere durante. Altrimenti è come parlare allo specchio.

Si vive, si sbaglia, se ne subiscono le sofferenze, e le si fanno subire a quelli che ci stanno intorno. Sarà anche brutto, sarà anche doloroso, ma la maggiorparte delle persone a cui faremo del male, noi compresi, non moriranno per questo.
Al massimo si scoleranno una zuppa agropiccante dopo aver pianto su un cappotto azzurro.
Oppure avranno una crisi di nervi. E un'altra. E un'altra ancora.
Ma insomma, va bene così.
Metteremo delle corna, oppure non le metteremo, ci comporteremo da stronzi, oppure no, chiederemo scusa o rimarremo convinti per sempre di aver avuto ragione.
Ma se non lo facciamo, se ci fermiamo prima, cosa ci rimane?


Credo sia davvero il momento di mandare a 'fanculo woody allen.
Che a ben guardare, adesso che sono vecchi sia lui che clint eastwood, quello che è invecchiato meglio è il secondo.
Clint eastwood se anche da giovane si è fatto delle domande, comunque sicuro non ha saputo darsi delle risposte.
Però ha vissuto, è invecchiato ed è invecchiato bene.
Woody Allen, invece, a furia di farsi domande, adesso si sfonda di viagra e di autoreferenzialità.
E a me viene da pensare che una vita sostenuta unicamente dalle proprie seghe mentali sia la peggiore delle masturbazioni possibili.

mercoledì, marzo 25, 2009



Questa è la storia dell’uragano Katrina innamorata di un ossessivo compulsivo.
Si amano, si adorano – l’uragano Katrina e l’ossessivo compulsivo - ma poi, ciclicamente, lei si mette a soffiare e butta giù dagli scaffali tutti i vinili in rigoroso ordine alfabetico di lui, che impazzisce.
Allora litigano, e lei urla Cosa posso farci, è la mia natura! E lui risponde Ma quelli erano i miei vinili! Avevo passato giorni a dividere il metal dal progressive!
Tu non rispetti la mia libertà di muovermi! - strilla lei
E tu non rispetti le mie cose! – ribatte lui
Poi, niente, piangono, si abbracciano, fanno l’amore e si calmano per un po’.
Lui le dice Ti amo per come sei, irruenta e appassionata.
Lei risponde Ti amo per come sei, accogliente e ordinato.
Per alcuni giorni lei sta attenta a muoversi, lui tenta un disordine metodico ma conciliante.
Ma entrambi sanno che finchè non diventeranno una leggera brezza Katherina e un uomo relativamente ordinato, sarà un continuo litigare.

Io e Stakanov siamo così.
Io ansiosa, lui sfuggente.
Se non facciamo progetti sto male io, se li facciamo sta male lui.
Se viviamo alla giornata lui è felice e io soffro, se pensiamo alla vita oltre le prossime due settimane io mi calmo e lui scappa.
Lui si ripara dietro i muri che si costruisce, io metodicamente li abbatto perché ho bisogno di sbirciare tra i mattoni.
Raggiungiamo difficili equilibri precari in cui adoriamo stare insieme, quelle volte che io sto abbastanza bene da stare attenta a come mi muovo, e lui è abbastanza rilassato da poter rinunciare al suo ordine alfabetico.
E in quei momenti è tutto così bello che ci sembra stupido buttare via tutto soltanto perché io sono un uragano e lui un collezionista di dischi.
Ma poi si incrina qualcosa.
Non è mica qualcosa che governi, è la pancia che comincia a parlare al posto tuo. I fantasmi dei tuoi natali passati.
Di solito succede che, all’improvviso, io mi sento sola, lui si sente oppresso.
E allora io mi metto a pensare Ma chi me lo fa fare di stare così male, così tremendamente male. Chi me lo fa fare di vivere alla giornata se pensare ad un viaggio estivo basterebbe a rendermi felice per mesi?
E lui pensa Ma chi me lo fa fare di stare così male, così tremendamente male. Chi me lo fa fare di pensare che ad agosto devo trovare del tempo per lei? Io ho bisogno dei miei spazi, delle mie cose e dei miei tempi.
E queste cose non sono conciliabili.
E’ come la storia che raccontava Paolo Rossi del Gabbiano innamorato del Delfino.

Io non lo so come faremo.
Se lo faremo.
Se aspetteremo la seconda vita, come il Gabbiano e il Delfino che poi diventano una Stella marina e uno Scoglio.
Oppure se semplicemente aspetteremo che almeno uno dei due si metta a posto questa psiche a brandelli.
Oppure non aspetteremo e basta, io rimarrò con i miei progetti e lui con la sua solitudine sociale, ognuno per sé, mancandoci sempre meno fino a non mancarci più.
Fino adesso non è mai successo che prendessimo una decisione definitiva, perché non è facile capire se stiamo scommettendo a nostro favore o contro di noi.
Stakanov mi manca, mi manca infinitamente e continuamente, con tutta la sua distanza da delfino.
Ma sempre di più mi chiedo fino a quando penderà a favore una bilancia che da una parte regge tutte le meraviglie che Stakanov porta con sé, ma dall’altra sopporta un malessere e un’insicurezza che in questo momento più che mai sembrano infinitamente pesanti.

mercoledì, marzo 18, 2009


Ho dormito.
Tantissimo, ho dormito. Quasi dieci ore.
Sono un'altra donna.
Ma giusto per non lasciarmi l'illusione di benessere per più di un quarto d'ora, stamattina ho dovuto subire il più vile degli attacchi al mio orologio biologico.
Tic tac tic tac, l'orologio biologico che ticchetta nella pancia del coccodrillo.

Ero in manifestazione.
Finisce la manifestazione.
Entro in un bar.
Lo so bene che quello è il bar della mia compagna delle elementari, quella lì, proprio quella, che era brava in tutte le cose, che i maschi la sceglievano per stare nella squadra e io in porta, o peggio, io in difesa.
Lo so bene, ma per dio, sono una donna adulta, sarò mica ancora lì a recriminare, no?

Entro.
Lei è dietro il bancone.
Nessie, come stai?!
Bene bene. Tu?
Benissimo.
Esce da dietro il bancone.
Prima di lei esce la sua pancia incinta di otto mesi.

Credo che non ci sarebbe potuto essere un momento peggiore di questo per trovarmi davanti alla pancia incinta di una mia compagna di classe.
La sveglia biologica nella pancia del coccodrillo ha iniziato a suonare impazzita.

Perchè io ci sto lavorando su, a questa cosa di essere innamorata persa di un uomo che reagisce al fidanzamento come io reagisco davanti ai topi.
E ci sta lavorando su anche lui, che adesso prende il primo degli otto appuntamenti con lo psicologo del consultorio.
La comune-ty: storie d'amore e psicanalisi.

Ci sto lavorando su, scoprendo dentro di me una pazienza che non credevo di poter avere, scommettendo sul futuro davanti ad un presente incerto come le vecchiette che puntano al raddoppio su un unico numero della ruota di Bari.
E lo sto facendo perchè sono riuscita a convincermi, un po' almeno, che non è tardi, che le cose non devono sempre succedere tutte e subito, che non è che rischio di morire domani, che non devo proprio fare tutto entro il 2010.
Ma guardate che non è facile, eh, che io il giorno del mio venticinquesimo compleanno ho pianto praticamente 24 ore sul molo, davanti a quello che mi sembrava il fallimento della mia vita.
Adesso ne sono passati altri due e non penso più di avere fallito miseramente, di non avere tempo, di essere il coniglio bianco di Alice.
Però è difficile.
Sopire l'istinto materno e la paura del tempo che scorre tra le dita.
Soprattutto è difficile se si è innamorate di un uomo lontano ed autoreferenziale.

Non ci voleva, quella pancia tonda, oggi.
Anche se poi ho scoperto che dentro c'era un maschio, meno male, se fosse stata una femmina la crisi sarebbe stata ingestibile.
E già sento la voce delle amiche che per consolarmi mi dicono Si vede che un maschio se lo meritava, o qualcosa del genere.
Però scommettere al raddoppio, pensare che andrà tutto bene, riporre la fiducia nella psicanalisi e nei grandi piccoli passi che Stakanov ha fatto nell'ultimo anno, sono cose che necessitano sostegno e conferme: serve guardarsi intorno e vedere che anche gli altri aspettano, pazientano, costruiscono pezzettino per pezzettino, e arrivano alla maternità con trent'anni di vita alle spalle.
Mi serve sostegno perchè io adesso lo so che ho passato la vita a cercare un padre per i miei figli invece che un uomo per me, e così ho trovato solo uomini di merda.
E lo so che sono innamorata di Stakanov proprio perchè non è il momento di pensare al padre dei miei figli ma ad un uomo per me e, come uomo per me, Stakanov è la cosa più bella che potessi trovare.

Ma una pancia dietro il bancone, inevitabilmente, mi fa precipitare di nuovo nell'ansia, nella perenne sensazione del ritardo.
Follow the white rabbit!
Mi fa immaginare lontana chilometri dal momento della mia stabilità, oltre che da quello della mia maternità.
Mi fa sentire che esce sempre un altro numero, e che io restol lì, in difesa.

venerdì, febbraio 27, 2009



Ho appena fatto un disastro.
Avevo lavorato una settimana per ottenere una riunione importante con persone importanti in un luogo importante.
L'avevo ottenuta.
E poi.
Ho segnato male l'orario in agenda.
Così, non ci siamo presentati.
Mi sento come Luigi XVI quando gli è venuto in mente che la ghigliottina l'aveva fatta brevettare lui.
Che poi questo è un falso storico, sembra. Tutta quella cosa di Monsieur Le Guigliottine, sembra sia un falso storico.
Diciamo in ogni caso che mi sento come Luigi XVI se gli fosse venuto in mente come ultimo pensiero che la ghigliottina l'aveva fatta brevettare lui.

Poi c'è da capire perchè io questa cosa degli orari sbagliati la faccia mediamente un volta al mese.
Di solito per riunione stupide. Questa volta no.
Ma come dice la mia capa SantaSubito che invece di impalarmi nei vicoli come mi sarei meritata mi ha detto Non importa, prendiamo un altro appuntamento, bisognerebbe capire perchè non solo io faccia così, ma soprattutto perchè io fornisca false informazioni a tutti con una sicurezza che non ammette repliche.
Perchè non è che mi dimentico, che faccio la svagata, così agli altri viene il dubbio, controllano e mi salvano dalla mia valvola di sfogo. Io ci vado giù a gamba tesa e convinco tutti del mio orario sbagliato. Alle 11! E puntuali, eh, che è importante. E poi era alle 10.

Comunque.
Lo sapete già come finirà questo post.
Finirà così.
Meno male che oggi ho la pissipissibaucologa.