giovedì, aprile 30, 2009



May day may day


Non ho mica capito se e come ci arriviamo, a Montaretto, domani.
Con il treno sovraffollato e la camminata del partigiano?
Con le macchine degli altri?
Con la bicicletta della staffetta?
Ma se c'è una cosa di cui sono sicura, è che andiamo.

E poi, ci fermiamo, a dormire?
Nel campeggio che si chiama il nido del piccino, la tana del tasso, il cestino del coniglio?
In macchina?
Vendendo un rene alle cinque terre?
Ma se c'è una cosa di cui sono sicura, è che ci fermiamo a dormire.

Le tende a Montaretto, campeggio libero, non si può perchè, mi hanno detto i miei inviati all'havana, il candidato di alleanzanazionale sta facendo proseliti dicendo che se vince lui alle comunali, dà fuoco ai campeggiatori liberi, o qualcosa del genere.
E non sia mai che per il mio ponte del primo maggio, io contribuisca a lasciare Montaretto in mano ai fascisti.

Montaretto l'ho scoperto con il critical wine, ma sono in ritardo sul resto del mondo, che ci va da anni.
Io, sulla geografia sono sempre in ritardo: infatti sembra che per il viaggio di quest'estate prenderò un aereo per stoccolma, che era il viaggio che invece dovevo fare l'anno scorso.

Montaretto è un posto dove hanno fatto lo sciopero al contrario per costruire la strada.
Invece di non andare a lavorare, le persone hanno lavorato gratis. Anzi, hanno lavorato per il bene comune, che è una di quelle cose che in questo paese non se le ricorda più nessuno.
Lo sciopero al contrario di Montaretto ci sono i murales a raccontarlo.

E allora, visto che è il primo maggio, e lo sciopero al contrario c'era un signore che si chiamava Danilo Dolci che lo faceva in sicilia, e con lo sciopero al contrario ha costruito una diga, così la gestione dell'acqua non è più stata nelle mani della mafia, basta poco per liberare le persone dal controllo dela mafia, diceva, basta uno sciopero al contrario, visto che è il primo maggio io chiudo questo post con un pezzo di danilo dolci.

Buona festa dei lavoratori.

...c'è pure chi educa, senza nascondere l'assurdo che c'è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo, ma cercando d'esser franco all'altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce soltanto se sognato.

mercoledì, aprile 29, 2009



Sarà che ho dormito quattro ore e ho le borse sotto gli occhi come i panda, sarà che diluvia, sarà che ho iniziato una riunione alle dieci e l'ho finita alle due, sarà che mi hanno offerto l'amaro al mio bar preferito e ne sto subendo le conseguenze.
Ma adesso che mi fermo, e mi guardo le mani sulla tastiera, e provo a scrivere, mi vengono le righe malinconiche, per il post di oggi.
E non ne ho voglia, perchè voi siete già lì a gestirvi il vostro, di maggio autunnale: avete progetti per Natale?
Così provo a pensare ad altro, al primomaggio e al viaggio estivo.
Ma la verità è che se oggi fermassero il mondo, scenderei dieci minuti a riprendere il contatto con le cose.

Sarà il dolcetto di ieri sera, i dolcetti di stanotte, sarà l'ennesima volta che vorrei essere un vestito che non impegna, invece di un tubino scollato sulla schiena.
Facciamo un test su facebook: tu che vestito sei?
Facciamolo sgrammaticato, come tutti i test di facebook.
Tu ke vestito sarebbi? Da indossare al volo ho una volta nlla vita?
Io vengo fuori l'abito della principessa sissi.

Ci sto ricascando, ma non ve lo meritate, di sorbirvi la mia malinconica presa di coscienza dello scarto tra me e il mondo.
Diceva ieri il proprietario del maialino salmì che io non dovrei sapere chi è Andrea Costa, perchè sono nata nel 1981.
Dovrei conoscere i supertramp.
E bimbumbam.
Bud spencer e kevin kostner.
I brooklin e space invaders, come dicono gli offlaga disco pax.
Se ti dico Vorrei Andrea Costa candidato alle europee, dice il proprietario del maialino Salmì, dovresti rispondere Chi? Perchè sei nata nel 1981. Che cazzo ne sai dei socialisti dell'800?
E invece capisco, ribatto, rilancio.
E finisce che mi disegnano metà Valentina di Crepax, metà mostro nell'armadio.
Anche quando vorrei essere un anonimo vestito a cadenza settimanale.

Così alla fine la mia malinconia ve la siete sorbita.
Scusatemi: mi sono svegliata stamattina pensando all'infame vita sociale di Artemisia Gentileschi.

lunedì, aprile 27, 2009




Volevo raccontarvi tutta un'altra cosa.
Ma tra me e il nuovo post ci si è infilata l'attrice bionda, che ha lasciato un commento a tradimento, che parla del mio abbandono della Gloriosa Compagnia Teatrale Gramsci29.
E i commenti a tradimento, tu provi anche a rispondere con ironia e garbo, ma poi ti si frappongono tra le dita e la tastiera e ti impediscono di parlare di quello che avevi pensato anche solo cinque minuti prima.

La Gloriosa Compagnia Teatrale Gramsci29, io se ci ripenso adesso, mi sa che l'ho inventata perchè volevo cantare.
Poi ho capito che di cantare non ero capace ma mi sono detta C'è una cosa che so fare un po' meglio, ed è scrivere.
Così io ho portato avanti la Gloriosa Compagnia Teatrale perchè volevo scrivere.
E ho scoperto che neanche scrivere era così facile.
Insomma, a raccontarla così, Gramsci29 sembra una strada di fallimenti.
Invece, come sempre succede, a ripensarci adesso, mi viene in mente che anche Gramsci29, come quasi tutte le cose che mi sono venute bene, è stata la creazione di una rete sociale.

Ne conosco un po', di compagnie teatrali.
E tanti che fanno teatro, o l'hanno fatto.
Finisce sempre nello stesso modo: ci si ammazza di botte. Fisiche, morali.
Il finale delle compagnie teatrali è sempre che ci si odia.
Un finale scontato, come si dice dei porno.
Non sempre ci si odia tutti, a volte ci si odia tra Montecchi e Capuleti, però, ecco, scecspirianamente non c'è mai un lieto fine, nelle compagnie teatrali.

Noi, invece, forse abbiamo finito una compagnia teatrale, ma almeno non siamo finiti noi. E, scusate, io per la mia testa malata, questo è più importante.
Ci litigo sempre con quelli che Un grande artista morto è meglio di un mediocre artista vivo, con quelli della candela che brucia da due lati.
Non lo so se ho ragione, ma io preferisco il vivo al morto, soprattutto se il soggetto in questione sono io.
Così, a vederla adesso, sono felice che siamo rimasti un gruppo vivo, nel senso della relazione, dell'amicizia, della costruzione di cose, piuttosto che un gruppo morto con un premio ubu sul comodino.
Con tutto che figurati, il premio ubu.

Poi, certo, c'è che a scendere dalla cassetta della frutta dell'attore, se non se ne trova un'altra subito lì che ci aspetta e ci valorizza, dispiace.
Dispiace anche tanto.

Io, ad esempio, mi mancano le prove.
Quelle nel salotto, sul terrazzo, nelle sedi dei partiti, nelle cantine dei vicoli.
Mi mancano le trasferte.
Mi manca quando c'era il regista palestinese che siamo stati a fare le luci e i suoni dell'ultima replica di C'est la guerre tenendoci per mano davanti al mixer.
Mi manca la volta che eravamo convinti che nel camioncino della trasferta l'aiuto regista ci tenesse la chetamina. E che ci avrebbero arrestati tutti.
Mi mancano i workshop.
E l'adrenalina.
Mi mancano le correzioni a pennarello sui fogli.
E potrei continuare per ore.
Mi manca tantissimo l'idea che quella cosa sul palco l'avevo scritta io.

Ci penso, a C'est la guerre, e realizzo che quel testo, io, è la prima cosa che ho iniziato e finito e poi l'ho guardata soddisfatta.
C'è qualcuno che lo sa, la maggiorparte no: io, se non c'era C'est la guerre, adesso, mica ero la persona che sono.
C'est la guerre è la mia Pasqua.

Sinceramente, devo infinite cose alla mia compagnia teatrale.
Le devo innanzitutto delle meravigliose amicizie.
Poi, le devo quella piccola parte di autostima che ho.
E una valigia di ricordi bellissimi, nel camerino già vecchio, tra il manifesto e lo specchio.
Le devo moltissimi, straordinari incontri.
Le devo la costruzione di rapporti adulti con una sorella e un fratello.
Ma le devo anche cose più sceme.
Come aver trovato il coraggio di guidare in autostrada.
E usare una sparapunti.
E mettere piede su un palco, anche se solo alla fine, a raccogliere gli applausi.
Queste sono cose che io non me le dimentico più.
E che non valgono tutti gli ubu del mondo, non valgono di essere rovinate dopo, alla ricerca di una professionalizzazione.

Però non è che debba essere così per tutti.
Sono io che sono così, che preferisco una mediocrità divertente ad una professionalizzazione autolesionista.
Quando mi sono trovata davanti al fatto che Gramsci29 era diventata una cosa troppo grande per essere un hobby, ho dovuto scegliere se era un lavoro.
E ho deciso di no.
In maniera poco chiara e confusa, ma ho deciso di no.

Mi dispiace tanto di avere fatto scendere altri dalla cassetta della frutta, mi dispiace veramente.
E se posso trovare il modo di farcele risalire, e giuro che ci penso, lo faccio volentieri.
Però non ho neanche un ricordo cattivo, nella mia valigia dell'attore.
Neanche uno rilevante, perlomeno.
Penso di essere riuscita a strappare un lieto fine: scusatemi, è che sono cresciuta con i film della Disney.

Ho fatto una scelta, un po' senza accorgermene, e ad un certo punto devo aver pensato che, per come sono fatta, non ho poi così bisogno degli applausi, ma ho infinito bisogno di persone che mi vogliono bene, e a cui voglio bene.
Così, ho chiuso la valigia prima che diventasse un vaso di pandora.

Però.
Se anche ho smesso di inchinarmi ripetutamente,
e ho fatto smettere voi, soprattutto.
Vi ringrazio - sul serio - infinitamente.

giovedì, aprile 23, 2009



C'è un mio acuto senso di colpa costante nell'aver smesso di scrivere di politica.
Vado a vedere, e l'ultimo post politico è datato 12 marzo, e non è neppure un granchè.
Ma c'è di peggio, c'è che io adesso compro il Manifesto e leggo le pagine di politica solo se ho finito tutte le altre, compresa l'economia.
Che, voglio dire, allora potrei abbonarmi a Gente.
Perchè non ce la faccio.
Il privato si fa strada a gomitate, ogni volta che mi metto davanti al computer.
C'è anche che quest'anno il mio è un privato ingombrante. Elefantesco. E ingestibile.
Ma c'è anche che, da una parte, non posso negare un mio triste declino nell'insofferenza.
E dall'altra faccio i conti con una felice scelta lavorativa che mi porta a fare politica tutti i giorni, veramente, sul territorio, così il mio dna politico va a rovesciarsi lì, e lascia spazio al privato, nel privato.
Non come prima che mi si confondevano i piani continuamente.

C'è però che vorrei parlarvene ogni tanto, del mio lavoro politico, non solo nelle sue parti divertenti, ma non è facile perchè è un lavoro dei piccoli risultati, è un lavoro da sette passi da formica, quattro passi da gambero.
Ottenere un dialogo tra una ragazzina tamil e un'ecuadoriana, vederle confrontarsi sulla loro cultura, per me è un lavoro politico, è un grande risultato.
Ma poi racontarvelo, quello è difficile.

Perchè, e questo mi sembra il punto, anche noi ci siamo abituati a questa legge dei grandi numeri, ai risultati Ponte sullo stretto di messina, ai risultati Tav, ai Concerti di capodanno, a Quanti eravamo in corteo? seimmmmilioni.
Visibilità, dicono tutti.
Un progetto invisibile non interessa più a nessuno.

Ma io è un mese che mi tengo sul gozzo questa cosa della CGIL che ci ha fatto partire con i pullman mezzi vuoti al corteo di Roma.
Questo è quello che ci succede ad accettare la legge della visibilità: che siamo pochissimi compagni in tantissimi pullman vuoti.
Invece io avrei preferito 30.000 persone che ascoltano un discorso profondo, piuttosto che due milioni ad ascoltarne uno inconcludente.

Allora, adesso che è il 25 aprile, io scrivo questo post di politica e cerco di buttare lì un che fare, anche come risposta all'amica E, anche come incentivo alla Streganocciola che la deve smettere di intristirsi anche per il mondo, se già lo fa per sè stessa.

Io penso che la nostra rivoluzione, adesso, è trovarci i nostri percorsi antifascisti invisibili.
Nel personale, sicuramente, perchè io credo che il trucco di Teresa Noce fosse quello di sentirsi preziosa dentro, preziosa per sè e per la rivoluzione.
E nel politico, poi, che adesso è importantissimo.

Io credo che nessuno di noi dovrebbe passare una settimana senza aver fatto qualcosa di incisivo, seppur microscopico.
L'antifascismo è invisibile agli occhi.
Ognuno deve far passare una settimana, secondo me, arrivare alla domenica, ripensarsi e poi chiedersi Ho fatto qualcosa, questa settimana, per evitare di lasciare questo paese nelle mani di La Russa?
Se si risponde di no, credo dovrebbe sentirsi un po' in colpa.
Se si risponde di si, ha fatto qualcosa di grande.

Vi racconto questa storia, prima di chiudere, anche se ho il dubbio di avervela già raccontata.
Ma magari ve la siete dimenticati.
Ho intervistato un partigiano, l'anno scorso, che mi ha detto Subito dopo l'8 settembre, io sono venuto a sapere di una riunione segreta di antifascisti. Così la sera mi sono alzato e di nascosto da tutta la mia famiglia sono andato là. E quando sono entrato, su una sedia c'era seduto mio padre, in un'altra mio fratello.
Non c'eravamo messi d'accordo, non sapevo neppure che loro fossero antifascisti militanti. Ma ci siamo trovati là.

Ecco, adesso faccio la morale.
La morale è che in quella famiglia, come nella società, era passato un antifascismo invisibile e costante, tutt'altro che sbandierato, tutto il contrario delle adunate in piazza venezia.
Ed è quello che ha vinto.

Quindi, finchè l'ovra non c'è, se non c'è, parliamone.
Ma soprattutto muoviamoci, anche silenziosamente, in bicicletta, se non riempiamo i pullman.
Prima o poi li riempiremo.
Buon 25 aprile.


Se pensi che tutto vada già abbastanza in merda, prova ad alzarti di notte e a schiacciare un millepiedi sul pavimento del tuo bagno, senza ciabatte.
Tu, senza ciabatte.
Anche il millepiedi senza mille ciabatte.
Ma quello che conta, in quel momento, sono i tuoi, di piedi nudi.

Se non vi è mai capitato vi dirò che:
fa crick, quando lo schiacci.
poi, puzza da morire.
e si dimena schifosissimamente prima di partire verso il paradiso buddista degli insetti schifosi.
Quindi, se vi capita, non schiacciatelo.

Anche perchè, a quel punto, vi prenderà la disperazione per la casa troppo umida, per le fessure tra lo zoccolo e il pavimento, sognerete tutta la notte di essere invasi dagli insetti che neanche sotto LSD, e vi sentirete pizzicare dappertutto. E poi partiranno anche tutti i pensieri laterali del Va tutto di merda, ho bisogno che almeno la casa sia a posto, voglio un uomo nel letto che con voce profonda mi dica Tesoro, non ti preoccupare, ti difendo io.
Ecco.

In compenso, vi sveglierete prestissimo perchè tanto avrete dormito niente.
E ci metterete cinque minuti a decidervi che è arrivato il momento di aprire di nuovo la porta del bagno.
E ovviamente in bagno non ci sarà nulla, perchè non è che i millepiedi si muovono in branchi.
Poi spenderete dodici euro per un bio spray che tanto già sapete che non servirà a nulla.
E sopra il bio spray troverete i disegni dei seguenti insetti:
acari
pulci
mosche
cimici
formiche
scarafaggi
zanzare
tarli
tarme
forbicine
falene
pesciolini dell'umido
ragni

A parte che il millepiedi non c'è.
Ma comunque adesso so come completare i miei incubi notturni: le forbicine stanotte non mi erano venute in mente.

mercoledì, aprile 22, 2009



E già che era stata una giornata per nulla faticosa.
Per nulla stressante, anche.
E già che non ne provenivo da un micidiale mal di testa da pizza fredda in piedi sull’autobus.
Dall’acuta percezione della settimana di ferie della pissipissibaucologa.
E dai tappi di cera nelle orecchie già belli che scaduti.

Già che ero un fiore di donna, avevo pensato che mi facevo una biciclettata serale, prima di tornare a casa.
Tanto la bicibellula mi aveva atteso sotto l’ufficio tutto il giorno, mentre arrostivo shakespeare alla brace con la mia mandria di giuliette adolescenti.
E quindi, per riportarla a casa, tanto valeva fare il giro lungo. Molto lungo, e chi se ne fotte del vento genovese in faccia, che tanto il mascara era già tutto bello che colato via.


Poi, insomma, ne provenivo dal post dell’auto glorificazione, dal post delle derapate, dovevo rendere gloria alla mia abilità sulle due ruote.
Detto fatto.
Tolgo il lucchetto.
Giro la bicibellula.
Attacco la salita. Faccio tre pedalate. Tre. Supero i bidoni dell’attraversamento topi. Scalo la marcia.
La bicibellula emette il seguente guaito: stu-tlunc.
E i pedali cominciano a girare a vuoto, come le palle di un aggressivo represso.

Già tanto che non sono caduta.
E già che non sono caduti anche tutti i santi del paradiso, che stasera mi ci mancava solo questa.
La cattiva notizia è che dio non esiste, la buona notizia è che comunque non mi avrebbe riparato la bici.

Comunque credo che si sia sminchiata la catena, ma voi che siete cresciuti a pane e biciclette, mica come me che l’ho scoperta in tarda età, l’avrete già capito.
Stu-tlunc è l’agonia della catena.
E voi che vi portavano in campagna dai nonni, probabilmente sapete anche come ripararla.
Io invece l’ho guardata attentamente, come si guarda un malato, e mi è sembrato tutto esattamente come prima dello stu-tlunc.Tipo come se mi fosse morta di emorragia interna.

Adesso, tempestivi solo come la morte e le multinazionali, quattro giorni fa da Decatlon mi hanno mandato un messaggino che diceva Hey, giovane cliente, hai diritto ad una revisione della tua bici.
Credo che ce ne avrò bisogno, in effetti.
Però come ci arrivo, da decatlon, che i pedali girano a vuoto come la biglia nella bottiglia di gazzosa?
Spingere ho già spinto, e neanche fino a casa, che oggi non ce la potevo fare.
L’ho lasciata nella terra di nessuno. E se un ladro se la ruba, cazzi suoi che deve spingere e poi portarsela lui da decatlon per la revisione, giovane cliente.
Se invece nessuno me la ruba.
Chi ha qualche idea per portare la bicibellula dal veterinario?
Faccio venire Decatlon a me?
Me la faccio riparare da Maometto?
Aiutatemi.
Non posso vivere senza la mia bicibellula.
Anche se, s’intende, posso smettere quando voglio.

martedì, aprile 21, 2009



Ho quaranticinque secondi per scrivere il blog.
Devo decidere in fretta.
Vi parlo di vico dolcezza finalmente umana?
Delle infinite soddisfazioni lavorative?
Delle buone notizie dal fronte occidentale?
Del sentirsi nuovamente apprezzata, dopo un anno e mezzo di sacrificio all'altare dell'amore non corrisposto?

Mi mancano una trentina di secondi.
E ho mezza faccia paralizzata dall'anestesia: biascico come un personaggio della Marvel invecchiato male.

Dieci secondi.

Oggi ho fatto una curva, scendendo dal Ripido Vicolo, che la bicibellula ha fatto tutto un suono e un movimento che a me è venuto in mente - dai cassetti del cervello della mia adolescenza - il termine derapata.
Ma non so se è giusto.
Però mi sono divertita tantissimo.
Questo è tutto quello che riesco a produrre in quarantacinque secondi.
Attendo almeno mezz'ora libera per il prossimo aggiornamento intelligente.


Torno a lavorare.

venerdì, aprile 17, 2009



Una delle grandi rivoluzioni della mia vita, in questo periodo, è tornare a casa e trovare una donna che cucina davanti ai miei fornelli con addosso un grembiule azzurro.

Ieri ho partecipato ad una riunione infinita.
Il mio omologo Uisp dice sempre di noi lavoratori del terzo settore che Anche il signore si è riposato, il settimo giorno, ma noi, purtroppo, signori non lo nacquimo.
Infatti ho finito alle sette e mezza.

Ma quando sono arrivata a casa, tardissimo, e ancora con la stanza da ripulire dai cadaveri, ho trovato La ragazza fuori moda che, in grembiule azzurro, cucinava davanti ai fornelli.
Pollo macerato in salsa di soia, miele e sesamo.
Mica cazzi.
Anche l'insalata con i pomodorini freschi, c'era.
E le prime fragole della stagione.
Così, una cena del giovedi.
Non era neppure il nostro anniversario, voglio dire.

Io mi sono sentita improvvisamente molto maschio, ma non c'era birra nel frigo per sdraiarmi sul divano con i calzini bucati e ruttare la mia soddisfazione.
Così sono tornata femmina, ho messo a posto, ho apparecchiato e poi mi sono gustata la cena.
Ho sparecchiato.
Lei ha lavato i piatti.
Io ho fatto il caffè.
Poi ho liberato la stanza dai cadaveri.
E mi sono fatta un bagno nella vasca bollente.
Lei ha messo nello stereo un cd di musica francese.

Ieri sera, mentre leggevo nella vasca, ho capito le lesbiche.

mercoledì, aprile 15, 2009



Io tra una settimana, se non cambia, me ne vado.
Trasloco.
Scappo.
Metto una tenda su un prato.
Un igloo in piazza caricamento.
Una coperta su un tavolo da biliardo.

Vico Dolcezza, io ci entro e capisco gli abruzzesi.
Poi mi vergogno di questa mia ultima affermazione.
Però, insomma, in vico dolcezza ci entro, e non ne posso più.
E' un accampamento sporco, è.
E io ho la mia psiche da coccolare, in questo momento, non posso permettermi il lusso di avere la merda anche fuori dal cervello.

Ieri sera ho messo il piede in casa alle sette e mezza.
Erano dodici ore esatte che sognavo una doccia.
Quattro passi dopo avevo già seminato calzini e maglietta, pregustando il getto di acqua calda, seppur sempre fastidiosamente Sigonella.
Entrata in bagno ho visto quattro formiche nel lavandino.
Tre sul rubinetto.
Mi è venuto il dubbio.
Ho acceso tutte le luci e ho visto il mio parquet come quando si guarda manhattan dall'empire state building.
Decine di formiche scorrazzavano tra i listelli.
Sul muro.
Sul materasso.
Sul davanzale.

Io, se ho evitato una crisi di nervi lì, la mia psiche deve essere ben più forte delle apparenze.
Ho respirato a fondo, maledetto il piano terra, bestemmiato contro l'umidità,  il muro a pezzi, l'assenza. E poi ho trasformato vico dolcezza nel campo di battaglia di Ypres.
Ne raccoglierò solo i cadaveri.
Ce l'avrai camerata kesserling il monumento che pretendi da noi formiche.

Adesso sono in esilio.
Domani andrò a contare i morti e poi conterò alla rovescia.
Meno quattro giorni al mio abbandono.
Se lunedi quella casa non è a posto io emigro: mamma mia dammi cento lire.
Questo week end, cascasse il mondo, io trasformo quel cumulo di casino in una casa abitabile.
Quello che non è in ordine lo butto, come dicono le mamme ai figli disordinati.

Chi avesse voglia di dare una mano, ho comprato ottime tisane e meravigliose marmellate da formaggio. Vi accoglierò sorridendo, scavalcando scatole, con in mano un piumino da polvere, e nell'altra un piatto di leccornie da amici.
Mi riconoscerete facilmente.
Sarò quella che assomiglia a freddie mercury in I want to break free.

martedì, aprile 14, 2009



A posteriori, sbagliare strada in un bosco all'alba è stato divertentissimo.
Sul momento, invece, quando - con il sole che mi sorgeva alle spalle - ho visto Bonassola che si allontanava sempre di più, mentre io scavalcavo tronchi abbattuti dalla neve di mesi prima, ho avuto un attimo di profonda maledicanza della mia atavica mancanza di senso dell'orientamento.
Dovevo prendere il sentiero rosso.
Il sentiero rosso non l'ho trovato.
Mi sono trovata sul blu.
Ma, miracolosamente, soprattutto tenendo conto che ne venivo da una ventiquattrore di critical wine, da un'ora di sonno e dalla mancanza di una doccia, ho messo il piede sul binario della stazione di Bonassola alle 07:43, con il treno per genova - l'unico che mi consentisse la puntualità al mio importantissimo corso di formazione di oggi - alle 07:45.
Sono svizzera dentro.
Anche se non si direbbe, a vedermi inciampare nelle radici e a sudare nelle fottutissime salite dei boschi liguri.

Quindi, si, ce l'ho fatta.
La cera nelle orecchie ha retto, non ho ceduto alle lusinghe delle mie sirene mentali, e ho fatto cambio di bosco.
Ho fatto anche un sacco e una sporta di cose belle, ho fatto, questo lunghissimo week end, a ben pensarci.
Non senza fatica, non senza momenti di cedimento, s'intende, soprattutto i primi giorni, tanto è vero che mi sono trovata immersa in veri e propri raptus di pulizia.
Pulire il cortile con addosso le scarpine di cenerentola, perchè proprio no, non potevo uscire lasciando lì le foglie secche ancora una sola ora.
Rimuginare, rimuginare e rimuginare, cancellando i segni delle sedie dal muro con la gomma. Ed erano le due di notte di sabato.
Pulire a fondo, domenica, prima di saltare sulla bicibellula battendo il record personale di velocità disperata su strada dissestata.
Insomma, non ho rimosso, non ho soppresso nè la malinconia nè la mancanza, ma ho regalato alla mia psiche importanti canali di sfogo quali gomme e canne da giardino, e sono stata premiata con una meravigliosa pasquetta inaspettata.
Ci sarebbe poi da chiedersi perchè io reagisca alle ferite pulendo, io che normalmente colleziono polvere. Perchè mi serva una delusione d'amore per pulire le mensole.
Me lo chiedo e già mi immagino, che laverò i vetri al primo divorzio.


Raptus a parte, comunque, c'è che sono stata abbastanza lungimirante da coccolarmi parecchio, in questi giorni, ed è così che ho rinforzato i margini.
Ho passato due giorni due e una notte una a Montaretto a bere vino critico sotto lo sguardo compiaciutò di papà Cervi, Krusciov e Ho chi min dall'alto del muro della casa del popolo.
Ho abbandonato il peso superfluo delle tossine arrancando su e giù per quelle stradine di montagna che o è Liguria o è Tibet.
Sono stata deliziata da salumi al coltello e delicate avances di venditori di baci di dama e cantanti jazz.
Ho letto tre libri, di cui due strepitosi (Stordimento di J. Egloff e l'ultimo meraviglioso Erri De Luca) rimanendo a letto fino all'una, pagina dopo pagina, e poi trasferendomi sul molo.
Ho festeggiato pasqua con un film delizioso (Louise-Michel: chi non lo va a vedere è un sordido capitalista!)
Ho ritrovato amiche di una vita fa.
Mi sono persa nella mostra su De Andrè.
Ho pianto inevitabilmente sul paradiso dei calzini spaiati, a dimostrazione che capossela rimane l'uomo del dito nella piaga.

Ma soprattutto ho fatto il pollicino svizzero e sono arrivata al lavoro, di nuovo, dopo un altro bosco.
Un meraviglioso bosco in salita, si, ma senza sirene.

venerdì, aprile 10, 2009



Sembra che partiremo per l'Abruzzo entro un mesetto, non per aiutare nel primo soccorso - in cui saremmo stati mediamente utili - ma per organizzare attività di socializzazione, che poi è quello che sappiamo fare veramente.
Ovviamente ho dato la mia disponibilità e uno dei progetti del week end è quello di andare nella mia libreria preferita ad ordinare un paio di libri sulla gestione educativa dei bambini traumatizzati.
Che lo so, che detta così non sembra la miglior proposta consolante per questo week end delle Difficili Decisioni, ma invece è vero che almeno mi fa sentire utile.
E poi sono pur sempre libri.

La verità è che la difficoltà più grande, al di là dell'assenza, è questa sensazione di inamovibilità che mi prende quando realizzo che sono al punto di un anno fa, che ho corso corso corso sul posto come un criceto deficiente sulla sua ruota.
Che mi sono adattata ai tempi Ent di Stakanov mentre io, che sono un abitante del Piccolo Popolo dei Grandi Magazzini, mi scorrevano via i giorni.
E attenzione al livello clamorosamente nerd di quest'ultima metafora.

Mi prende la vergogna e l'imbarazzo a pensare di chiamare il mio amico Grande Regista da cui mi rifugio sempre quando qualcosa non va, e dirgli Ti ricordi l'anno scorso? Ti ricordi esattamente un anno fa? Hai voglia di consolarmi? Sono sempre allo stesso punto.
Mi sento come quelli bocciati all'esame di maturità.
Anzi, mi sento come quelli che riflettono se accettare un 18 di analisi2, o di diritto civile, o di anatomia.
Poi non lo accettano.
E cinque minuti dopo si fanno prendere dal panico: Oddio, no, non lo voglio aprire di nuovo, quel cazzo di libro.

Sono le undici e quarantatre.
Avrei avuto il treno per Boscolandia tra un paio d'ore.
Mi sarei fatta uno zaino di cose carine.
Mi sarei fatta una doccia e la crema profumata.
Mi sarei persino fatta la piega ai capelli.
Mi sarei impuzzolentita sul regionale verso Milano.
Avrei pagato un euro per entrare nei bagni di Centrale a riprendere una conformazione umana.
Avrei preso un altro treno e sarei arrivata a Boscolandia.
E avrei avuto davanti un altro pezzo di questo gioco di ruolo che mi sono divertita a chiamare storia d'amore fino a tre giorni fa. 
E l'avrei riempito di finzione a scadenza. Anzi, l'avremmo riempito, giocando tutti e due ai Fidanzatini cocopro.
E ci saremmo come al solito divertiti moltissimo e coccolati tantissimo, con il conto alla rovescia.
L'amore con la bomba in tasca, rinnovabile di settimana in settimana.
Se gli viene in mente a Virzì ci fa un film.

La malinconia per i bagni della stazione è un brutta bestia.


giovedì, aprile 09, 2009




La seconda cosa che ho fatto da sveglia, oggi, è stato ricreare il sapore della mia infanzia.
Perchè oggi, dopo quindici anni, torniamo a festeggiare la pasqua ebraica. 
E Pasqua ebraica vuol dire haroset, che è una salsa dolce da stendere sul pane azimo, fatta di noci, mele, vino dolce e zucchero. Immaginatevi una salsa di mele per arrosto, ma più dolce e fortemente haskenazita. 
Quindi io, come seconda cosa, oggi, mi sono messa lì e ho preparato la haroset, e ne ho fatto tre versioni: normale, con le castagne e con i datteri.
E piano piano, aggiungendo un po' di noci, una spruzzata di vino, una punta di zucchero, ecco che emergeva nei miei assaggi il sapore della mia infanzia, inconfondibile, preciso.
E stasera la haroset verrà spalmata sul pane azimo, come simbolo della malta, in un qualche punto del seder, tra le gocce di vino sul piattino e l'uovo bruciato.

Nel frattempo sul fuoco bolliva il cholent, che è una roba piena di pezzi di carne che galleggiano e che io non mangerò neppure sotto minaccia della Torah, e mio padre cerca di racapezzarsi tra i mille foglietti paranoici in italiano, ebraico e ungherese usati per settant'anni da mio nonno per ricordarsi tutte le complicatissime fasi del seder.
In uno di questi foglietti c'è scritto: Ricordarsi i cuscini per me e vava.
Vava sono io a cinque anni quando, per arrivare al tavolo, mi mettevano sulla sedia i cuscini e gli elenchi del telefono.
E io cantavo Ma nishtana ha laila hazeh micol ha leilot?
E poi, appunto, mi ingozzavo di haroset e pane azimo ascoltando il racconto delle piaghe d'egitto.

La prima cosa che ho fatto da sveglia, invece, è stato rispondere ad una telefonata di Stakanov che diceva Ma come, lo scopro dal blog che la nostra storia è finita?
E adesso, ancora più di ieri, lo so che dovrete legarmi ad un pennone con la cera nelle orecchie per non farmi cedere alle lusinghe di Boscolandia, una volta che Pesach sarà passato e io non potrò più affogare la mia tristezza nei ricordi d'infanzia.
Perchè Stakanov mi mancherà terribilmente, ed è anche primavera, e la primavera non è la stagione della solitudine. Lo so che vi dirò Slegatemi dal pennone, per favore, ci vado una volta sola, ancora una volta a Boscolandia, e poi basta, poi torno indietro.
Ma voi non slegatemi, anche se so già che ogni pesco fiorito, ogni glicine sarà una strillettera da Boscolandia che dice Cosa ci stai a fare qui, da sola, quando a due ore di treno c'è l'uomo che ti ha saputo rendere così felice, tutte le volte che non ti rendeva così triste?

Le storie d'amore, come la Storia, del resto, sono soggette a facile revisionismo e ci vorrà pochissimo a cancellare dalla memoria tutti i pugni nella pancia per ricordarmi solo degli alberi fioriti della nostra felicità saltuaria.
Ma c'è una cosa di cui sono sicura profondamente, al di là di ogni ragionevole dubbio, ed è che ho diritto ad essere una donna innamorata e non un'educatrice, ho diritto ad un uomo che mi corre incontro con sottofondo alla bollywood, come dice il lettore padovano.
Ho diritto anche ad un centinaio di comparse che ballano sui binari mentre lui mi bacia, dannazione, perchè altrimenti è come la gioconda senza il sorriso.
Una storia a metà, come la polenta su cui hai strofinato l'acciuga perchè ne lasci il sapore, vago, per illuderti che non è solo polenta, quella che stai mangiando.
Invece è polenta, e l'acciuga pende dal soffito a ricordarti che potrebbe essere una storia d'amore, e invece è sempre solo il suo profumo. 

E così, al di là di ogni ragionevole dubbio, c'è una cosa di cui sono profondamente sicura, ed è che non posso continuare a mettere elenchi telefonici per fare sembrare alta la mia storia d'amore, se la realtà è che non arriva neppure al tavolo.

mercoledì, aprile 08, 2009

E' stata una decisione così difficile, che ho fatto le tre di notte.
E così ho potuto inaugurare il correttore per occhiaie che ho comprato ieri alla profumeria ribassata.
Mi viene da pensare che una donna che compra un correttore per occhiaie senza avere davanti la prospettiva di una notte di follia, dovrebbe sapere cosa la aspetta.
Una notte d'insonnia e pianti, la aspetta.


Però adesso che sono appena tornata da un pranzo meraviglioso nel mio posto preferito, che è un bar biologico, e adesso che ho scoperto una bancarella solitaria in una piazza sconosciuta, di una signora piemontese che fa la marmellata di ortiche con le ricette dei frati, adesso che sono tornata da questo pranzo meraviglioso in cui ho mangiato insalata tomini freschi e arancie, e dove ho parlato con la mia amica LediLovli, adesso sto un po' meglio.
Perchè ho scoperto che hai voglia a non credere alle congiunzioni astrali, ma ieri io e la mia bellissima amica LediLovli ci siamo rotte le palle delle nostre irrisolte relazione affettive praticamente nello stesso istante.
Ed entrambe abbiamo pensato che adesso basta, che ci meritiamo di meglio.
Perchè - dice lei - devo accettare che lui si scopi le altre e poi mi dica Scusa, l'ho fatto solo per capire che sei tu la donna che amo, tu tu tu, solo tu?
Perchè - dico io - devo accettare la relazione con un uomo che mi dice Scusa se non ti chiamo amore?

L'ha detto lei, e non io come si sarebbe potuto aspettarci, che non siamo le mamme di nessuno, che non possiamo passare la nostra vita a coccolare i traumi degli uomini di cui siamo innamorate, che non possiamo stare lì ad aspettare, aspettare, aspettare Godot.
E a dirci, Poverino, non riesce proprio ad innamorarsi di me.
Poverino, non riesce proprio ad essermi fedele.
Poverino adesso basta.
Oppure, poverino si, ma senza di me.

Perchè io ho la mia marmellata di ortiche.
E il mio bar della posta vecchia.
E non ne posso più, non ne posso più di non sentirmi abbastanza.
Io, che la mia scena preferita di ogni film è sempre quando lui corre e corre e corre e poi l'abbraccia come se l'aspettasse da tutta la vita. Sempre che piango, in quelle scene lì.
Io che ho una visione dell'amore alla Bollywood.
Io, che sono una romatica d'altri tempi, che sogno da sempre la dichiarazione d'amore del professor Baher a Jo March, lui pieno di fango, lei scola d'acqua.
Io non posso immolarmi ad un amore che ha bisogno di un'ora per avviarsi, come i 386.
E che si comporta come la rana nel pozzo.
E che mi fa scacco matto: O così o niente.

Io non lo posso accettare.
Sono quattro anni che vado in terapia per non sentirmi lo scarto del mondo.
Non posso accettare di essere l'amore di scorta.
E' l'anno più terribile della mia vita, dal punto di vista emotivo, e sto accettando un uomo che mi dice Più di così non posso.
Sono io quella che non può.
Sono io quella che non può giocare al ribasso con gli affetti, ora.
Perchè ho una vita che sta giocando al ribasso, a togliermi gli affetti che ho. Non posso tagliarne via altri, non posso essere innamorata di un macellaio dei sentimenti. Proprio quest'anno, tra l'altro.

Così mi sa che è meglio se mi vado a comprare altri dieci stick correttori per occhiaie.
Perchè mi sa che non dormirò molto.
Però, cazzo.
Punto.

lunedì, aprile 06, 2009

Emergenza Terremoto in Abruzzo I dati del conto corrente bancario (bANCA ETICA) sono: Iban - IT 32 K 05018 03200 000000128000 Intestato a: Associazione Arci - Emergenza Terremoto Abruzzo



Forse a questo punto Pasqua in Abruzzo.
Sembra che il nazionale stia organizzando per andare giù, io ho chiamato Stakanov, che pensava di aspettarmi a Boscolandia venerdi, e gli ho detto Magari io invece vado all'Aquila.
E lui ha detto Mi vuoi con te?
Così forse ci incontriamo a metà strada, in Abruzzo.



E' tutto il giorno che mi entrano nelle orecchie le banalità sciacalle dei telegiornali, anche se direttamente me ne tengo il più lontana possibile, ma le televisioni parlano dalle case e dai bar. E io mi vergogno un po' di questa italia che ogni tragedia è audience.
Poi però apro facciabuco tutta piena di appelli e di tentativi di organizzazione e mi dico allora che non importa di quanti fossimo a Roma, due milioni e sette, trecentomila.
Importa che, evidentemente, c'è ancora un'Italia che si mobilita, un'Italia che il tetto sulla testa ci è caduto a tutti.



Così io spero di poterci andare, in Abruzzo, perchè il pianoforte suonato a Firenze nella Meglio Gioventù mi è rimasto lì, tra la ghiandola pineale e l'invidia, insieme alla voglia di essere anch'io figlia di una generazione che se succede qualcosa si alza e parte, e poi una volta là magari suona anche il pianoforte.
Va da sè che aspetto di capire se c'è veramente bisogno, non che si parte come per andare al funerale di Woytila. Ma se c'è bisogno, io vado. E faccio quello che so fare, che non è tanto tirar su muri, anche se posso provarci.
Se si parte, io riempo uno zaino di pennarelli colorati.

giovedì, aprile 02, 2009




















Stamattina, mentre disincagliavo le spalle dai residui dello shiatsu, ho ricevuto un messaggio bellissimo che diceva "Gò ciapà ul bigliet, arivi a genua a i nov'ur. Te set cuntent...?".
Questo è il messaggio di un uomo che mi conosce.
Che sa come farmi ridere. Che sa farmi ridere la mattina, prima delle dieci, che è un miracolo già solo quello.
E' il messaggio di un uomo che pianta i piedi, ma poi sa trovare i tempi e gli spazi per le coccole.
E io sono innamorata di quest'uomo. Per queste cose, sostanzialmente.
Perchè io non è che sono una persona facile.
Io se c'è una cosa che non so fare è accontentarmi.
Non l'ho fatto mai e credo che mai lo farò.
Non sono una donna che sa scendere ai patti con la vita, che trova la mediazione con sè stessa, che accetta le rinuncie e le mediazioni.
E c'è questo, con Stakanov, sempre, ogni singolo minuto che passiamo insieme, c'è che non devo accontentarmi.
C'è che è esattamente tutto quello che voglio, nel modo in cui lo voglio. E, per quanto non sembri da tutti i miei continui tentativi per cercare di vederlo di più, anche i tempi sono quelli giusti.
Perchè altrimenti - dice la pissipissibaucologa - com'è che questo è il terzo fidanzato a distanza che si sceglie? Di cui uno intercontinentale?
Stakanov a boscolandia è la migliore mediazione con me stessa, che così ho la scusa per andarmene da questa città, ogni tanto, che alla lunga mi sento soffocare, stretta tra il mare e le montagne. Stakanov a Boscolandia vuol dire che io, negli ultimi tre mesi, ho scritto tre quarti di un libro per bambini. E questo non l'avrei fatto, con Stakanov qui, perchè io scrivo quando sono da sola e soddisfatta.
Stakanov lontano è un regalo alla mia indipendenza.
E anche per questo io sono contenta.

Allora, questo post che sembra una celebrazione del mio amore e della mia storia assurda, perchè non è che non me ne rendo conto che è una storia assurda, comunque non lo è, una celebrazione.
E' un'invettiva contro la psicanalisi dell'era barbarica.
Comincia adesso, l'invettiva.
E lo so che se lo dico io, che sono stufa della psicoanalisi barbarica, io che parlo della pissi una volta a settimana, che muoio quando va in ferie, che mi chiarisco le idee solo il mercoledi dalle cinque alle sei, sembra il comma 22.
Però io ho pensato questo, in questi giorni di subbuglio comunitario.
Ho pensato che lo psicologo, l'analista, lo psichiatra sono un'invenzione meravigliosa, meglio della crema novi alle nocciole.
E' un appuntamento settimanale meraviglioso, è come un buon cinema.
Ma non è un matrimonio, è un appuntamento a settimanana. E intorno c'è la vita. C'è un mondo fuori dal lettino.

Io credo che in molti ce lo siamo dimenticato, questo.
Perchè ad un certo punto è arrivata l'autocoscienza, le manfrine new age: conosci te stesso, interpretazione dei sogni for dummies, riflessione e meditazione.
E quando sono arrivate le manfrine new age abbiamo cominciato a sbagliare tutto, sul fronte della psicoanalisi.
Perchè, a furia di applicare la psicoanalisi a questa età dei barbari, a forza di mescolare Freud e il gabbiano Jonathan Livingstone, abbiamo iniziato a pensare, da una parte, di non poter vivere senza che qualcuno ci aiutasse a capirci e, dall'altra, di non poter agire finchè non ci siamo messi a posto tutti i nostri traumi.
Questo è un'approccio positivista alla psicoanalisi.
Ed è terrificante.

Perchè adesso che tutti pensiamo di saper leggere i sogni, che tutti sappiamo che le cose che facciamo provengono dai traumi della nostra infanzia, che persino quel coglione di pirandello ci ha spiegato la questione delle maschere sociali, adesso abbiamo paura di vivere.
Perchè sappiamo che faremo degli errori.
Perchè è sicuro che pesteremo dei piedi, camminando.
Perchè è certo che staremo male anche noi, mentre viviamo.
E poi ci sentiremo in colpa.
Adesso che ne abbiamo la coscienza, invece di camminare chiedendoci, abbiamo smesso di camminare.
Abbiamo dato le chiavi in mano alla psicanalisi e abbiamo detto di aprirci la porta quando finalmente saremmo stati abbastanza sani da cominciare a vivere.
Ma non è che scoprire il perchè dei nostri malesseri, non è che scoprire tutto il dolore che abbiamo accumulato in trent'anni, non è che riuscire a frenare il proprio torrente di rabbia debba essere il parto della nostra vita adulta.
Si vive anche prima, e si continua a vivere durante. Altrimenti è come parlare allo specchio.

Si vive, si sbaglia, se ne subiscono le sofferenze, e le si fanno subire a quelli che ci stanno intorno. Sarà anche brutto, sarà anche doloroso, ma la maggiorparte delle persone a cui faremo del male, noi compresi, non moriranno per questo.
Al massimo si scoleranno una zuppa agropiccante dopo aver pianto su un cappotto azzurro.
Oppure avranno una crisi di nervi. E un'altra. E un'altra ancora.
Ma insomma, va bene così.
Metteremo delle corna, oppure non le metteremo, ci comporteremo da stronzi, oppure no, chiederemo scusa o rimarremo convinti per sempre di aver avuto ragione.
Ma se non lo facciamo, se ci fermiamo prima, cosa ci rimane?


Credo sia davvero il momento di mandare a 'fanculo woody allen.
Che a ben guardare, adesso che sono vecchi sia lui che clint eastwood, quello che è invecchiato meglio è il secondo.
Clint eastwood se anche da giovane si è fatto delle domande, comunque sicuro non ha saputo darsi delle risposte.
Però ha vissuto, è invecchiato ed è invecchiato bene.
Woody Allen, invece, a furia di farsi domande, adesso si sfonda di viagra e di autoreferenzialità.
E a me viene da pensare che una vita sostenuta unicamente dalle proprie seghe mentali sia la peggiore delle masturbazioni possibili.

mercoledì, aprile 01, 2009

Ci sono delle giornate che tutto mi si accumula e io non riesco più a trovare il bandolo della matassa delle cose da fare.
Quelle giornate di solito è il mercoledi.
Ci sono delle giornate che questo ufficio, che è una stanza cinque metri per cinque, ospita:
due scrivanie
un tavolo
un armadio di ferro da amministrazione colorato a bombolette spray
un mobile inutile basso basso lungo lungo definito La cassa da morto
un mobile a scaffali ikea
una liberia bassa
un mobile a quadrettoni ikea enorme
un armadio con disegnato sopra un albero
i resti di un drago in cartapesta
sei sedie
un attaccapanni
la sacca dei travestimenti
sei ragazzi di servizio civile
io
l'adorata responsabile
un'ultras della samp
la ragazza fuori moda.
Quelle giornate di solito è il mercoledi.

Così io, al mercoledi, arrivo alla pausa pranzo che la pausa pranzo decido di non farla.
Prendo un caffettino alla macchinetta e magari ci puccio due biscotti.
E poi aspetto l'una come Buzzati aspettava i tartari.
E quando finalmente se ne vanno i servizi civili.
E se ne va l'adorata responsabile
E la ragazza fuorimoda magari mangia dai suoi
E l'ultras della samp va dai suoi ragazzi sfigati.
Io rimango sola col mio caffè, i miei biscotti e i miei pezzi di drago.
Riconquisto il bandolo della matassa e riesco persino a scrivere sul blog.
E mi gusto il silenzio come una fetta di torta alle fragole.