martedì, giugno 29, 2010



Cenerentola come il Generale McChrystal.
L'operazione Detersivo storm ha fallito su tutta la linea.
Le pulci sono vive.

Il Disinfestatore capo dice che a questo punto l'ipotesi più credibile è che ci sia un'infestazione dall'esterno.
Lo dicevano, i niomi, che dell'Esterno non ci si può fidare.

Io, ieri pomeriggio, ho azzardato una visita in casa mia per salvare almeno i vestiti che marcivano piano piano in lavatrice.
Per farlo, mi sono comprata una tuta usa e getta da imbianchino e mi sono coperta i piedi con due sacchetti di plastica.
La figlia di Grissom e dell'Omino Michelin.
Le pulci hanno iniziato a risalire le gambe che sembrava giochi senza frontiere del micromondo, ma mi sono salvata da morsi e punture grazie al doppio strato.
Io, come facciano gli entomologi ad amare gli insetti, è il quarto mistero della fede.

Ho fatto andare la lavatrice e intanto ho perlustrato casa.
Le pulci sono inequivocabilmente vive e dappertutto.
Potere del detersivo, Cenerentola capo delle forze armate, sto cazzo.
L'ho manlevata dall'incarico subito, senza neanche il tempo di un'intervista a Rolling Stones.
Attualmente, il capo dell'esercito è una borsa di plastica ermetica con scritto sopra La mia amico.
L'ho comprata dai cinesi, è la mia arma del trasloco quotidiano.

Oggi, alle quattro, tornano i disinfestatori e cercano l'origine dell'infestazione.
Io scommetto sul cavedio.
Ma scommetto dal pianerottolo.
Poi, quando loro ci capiscono qualcosa, vediamo che fare.

lunedì, giugno 28, 2010



Ennesimo D day.
Se era per me, la II guerra mondiale finiva nel 1983.

Sabato, io e Stanley, io e Watson, io e Ciop, siamo entrati nella casa numero 14 per ripulirla dai cadaveri delle pulci.
Erano vive.
Non tutte, ma molte.
No, diciamo, non molte ma alcune.
In piedi in mezzo alla cucina, mi sono scesi dei lacrimoni da nervoso che sembravo un'adolescente con un 3 di greco a maggio.

Poi, però, ho convinto Quell'uomo che l'unica cosa era rimboccarsi le maniche.
Perchè, fino alla terza bomba atomica le pulci erano troppe per tentare qualsiasi cosa, per azzardare una permanenza nella casa numero 14 per più di un quarto d'ora.
Ma sabato abbiamo approfittato dello stordimento e abbiamo lavato, pulito, alcoolizzato, lavatricizzato e affogato ogni angolo della casa.
Quell'uomo ha tirato a specchio la cucina, io ho immerso i pavimenti nell'acqua e alcool, dopo aver passato l'aspirapolvere in ogni angolo e ogni superficie.
E meno male che è un bilocale.
La sera eravamo stanchi come se avessimo fatto la maratona di new york sui ceci, col cilicio.

E adesso chiudo qui e vado a vedere se abbiamo ottenuto dei risultati
A questo punto non scommetto su nulla.
In un momento di sconforto Quell'uomo diceva Se non le ha uccise lo zyklon B, perchè dovrebbe farlo l'alcool?
Ma io ormai sono ottimista, che ad essere pessimisti mi peggiora solo l'umore, e penso che tanto vale accedere un cero a Propp, Santo protettore delle Fiabe.
E nominare Cenerentola, a capo delle mie forze armate, al posto di Truman.
La Storia mi assolverà.

venerdì, giugno 25, 2010



Terza bomba atomica.
E' superfluo sottolineare che neppure quella faccia da culo di Truman ne ha avuto bisogno.
Sono oltre la guerra fredda, siore e siori.
Le pulci stamattina erano vive ma così vive che, passati i cinque minuti in cui io e il pilota dell'Enola Gay siamo rimasti nella casa n° 14 per predisporre la bomba, siamo usciti e avevamo venti pulci a testa, tra scarpe e pantaloni.
Lui le ha uccise con lo scotch di carta a mo' di ceretta, dopo aver acceso la bomba ed essere scappato. Ma lui aveva i pantaloni chiari e le pulci si vedevano chiaramente, in tutta la loro schifezza sanguinolenta.

Io, figurarsi, con i pantaloni neri, le pulci non le vedevo tutte così, eliminate quelle meno brave a nascondersi, sono scappata verso casa di Quell'uomo e mi sono spogliata nuda sul pianerottolo.
No, non è passato nessuno mentre lo facevo, ma vi giuro che in quel momento sarebbe stato l'ultimo dei problemi.
Mentre io mi cacciavo nella doccia, Quell'uomo cacciava tutto in lavatrice. Dovremmo avercela fatta, se è vero che non ho neanche una bolla in più.

Perchè le bolle, mi ha detto la dermatologa, non erano una reazione allergica. Erano proprio i morsi che, a seconda di dove sono, si presentano esteticamente diversi.
Meraviglioso.
Pensare che sono stata sbranata da un numero imprecisato di pulci non inferiore a quaranta non è la mia idea di spiegazione consolatoria. Con tutto che la scabbia sarebbe stata una spiegazione peggiore.
Mi sento l'esplortore delle barzellette, quello che finisce nella pentola dei cannibali.

Comunque domani io e Quell'uomo entreremo nella casa numero 14 come Livingstone e Stanley, come Sharlock Holmes e Watson, come Cip e Ciop agenti segreti, e andremo a contare i cadaveri e a ripulire la casa dalle pulci morte.
E se ne vedo viva anche una sola.
Se anche ne intravedo soltanto una che saltella allegra in direzione dei miei piedi, me ne vado.
Definitivamente.
Ammetto che sono più forti loro e scappo.
La casa numero 14 come il Vietnam per i mericani, l'Afghanistan per i russi, la bolivia per il comunismo internazionale.
Mica siamo tutti Ho chi min.
Io posso anche ammettere di aver perso questa battaglia.
Quindi.
Se domani pomeriggio ne vedo viva anche una sola.
Se anche ne intravedo soltanto una che saltella allegra in direzione dei miei piedi, vorrà dire che, sull'allegra aria di dormono dormono sulla collina, tornerò a casa con il mio corpo avvolto in una bandiera.
Legato stretto perchè sembrasse senza 40 cazzo di merdosi morsi di pulce.
A casa dove, però, non saprei proprio.

martedì, giugno 22, 2010



Sono giorni da farsi il segno della croce con i gomiti.
Giorni che il concetto di sfiga globale assume nuovi, inquietanti significati.
Iniziamo col dire che le pulci non sono morte.
Mai morte.
Vive, vegete e saltellanti, ne vedo una nuova ogni volta che oso mettere piede in casa per recuperare qualcosa di utile alla mia sopravvivenza.
Perchè nel frattempo, ovviamente, sono emigrata.
Mi sono accampata a casa di Quell'uomo con due borse di vestiti, un libro, l'agenda, il ricarica batterie, un nervoso che sembro un pitbull da combattimenti clandestini.
Ogni tanto mi viene in mente che mi serve qualcosa, allora attraverso i vicoli, entro in casa mia come un marines nelle risaie dell'indocina, trovo quello che mi serve e scappo di nuovo.
Ciononostante sono coperta di bolle.
Non di morsi, di bolle.
Qualche morso di pulce tra le dita dei piedi e le caviglie, 47 bolle sparse nel resto del corpo.
Una trentina solo tra le ginocchia e la schiena.
Sembro un videogame degli anni '80.
E non capisco cosa cazzo sia.
Allergia, credo.

Le bolle prudono così tanto, ma così tanto, che stanotte alle cinque e mezzo ero ancora sveglia e lamentosa, così stamattina mi sono messa in malattia e, almeno, ho dormito.
Perchè le bolle, la mattina, prudono meno.

Oggi pomeriggio il disinfestatore mi dovrebbe portare il Veleno Definitivo e domani ho appuntamento con la dermatologa.
Non può piovere per sempre, e anche le pulci si arrenderanno, prima o poi.
E tornero' ad avere un'estetica quasi normale.
La speranza la regalano un tanto al chilo, in periodi come questo.

C'è che uno prima o poi dovrebbe smetterla di pensare di poter disegnare il suo mondo lasciando fuori dalla porta le variabili.
Non era così che mi ero immaginata i primi giorni di una convivenza, non è così che avrei disegnato l'inizio - seppur momentaneo, per ora - di una vita di coppia.
Io che non dormo per il prurito, lui che mi mette la crema al cortisone alle tre e mezzo di notte, appena tornato dall'aver interpretato Quasimodo in Notre dame de paris, a Chiavari.
Io con le mie cose nei sacchetti.
Il mio nervoso da pitbull.
La piacevolezza estetica di un varano di Komodo.
Lui sorridente nello stress.
Insofferente di nascosto.
Non era così che l'avevo immaginata.

Ma non può piovere per sempre, quindi finiranno i pruriti, moriranno le pulci, tornerò in casa mia e ad un'estetica umana.
Prima o poi.

Nel frattempo, però, Trippa e il Gatto Signor Siberia si amano.
Di quell'amore aggressivo da gatto supponente.
Si soffiano, e poi si cercano.
Si coccolano e poi si graffiano.
Gatto Comune di Razza Metaforica.

sabato, giugno 19, 2010



Sabato mattina, casa di Quell'uomo.
La mia, di casa, è stata invasa dalle pulci.
Dopo avere tentato i metodi più blandi, dalla pulizia allo spray no gas, mi sono arresa alla bomba h: una specie di granata che devi innescare al centro della casa e scappare via per 12 ore.
La produce la Bayer, quella dello zyklon B. Sono cose che se ci pensi fanno paura.

Così mercoledi ho preso su armi, bagagli, aceto e gatto signor siberia e mi sono trasferita a casa di quell'uomo, dopo avere lanciato la prima bomba, Hiroshima.
A casa di Quell'uomo vive un gatto.
Trippa.
La gatta più temuta dei vicoli.

Il doppio abbondante del gatto signor siberia.
Femmina.
Territoriale.
Incazzata col mondo.
Soffia e incute timore a tutto quello che non è Quell'uomo.
A me, due volte, non mi ha fatto uscire dalla porta di casa soffiandomi addosso come un cobra frustrato.

Il gatto signor siberia, invece, è un gatto naif.
E' il biancaneve dei gatti.
E' magro.
E' dolce.
E' maschio.
E' tenero.

Io, mercoledi sera, camminavo con il gatto signor siberia nella gabbietta, nel suo sesto trasloco in un anno e mezzo, ed ero un concentrato di ansie e di metafore.
Si sopporteranno, Siberia e Trippa?
Trippa lo ucciderà?
Lo farà a pezzetti e ne esporrà il corpo sul pianerottolo?
Lo farà innervosire e alla fine avrò un gatto con le ansie di woody allen?
E invece.
Invece il signor siberia si è imposto sul gatto trippa senza tirare fuori mai neanche un unghia.

Trippa sono quattro giorni che sibila, miagola, strilla, graffia, corre e ringhia (si, Trippa ringhia). Il signor siberia, invece, non alza un pelo. Mangia dalla sua ciotola. Occupa la sua sedia. Sale sul tavolo. La rincorre per giocare. Le frega le crocchette.
Nelson Mandela.
Ghandi.
Martin Luther King.
Rosa Parks.

Trippa non se n'è ancora fatta una ragione, con l'ottusità cieca dei dominatori.
Ma io neanche, devo dire, che continuo a pensare che domani sarà il sunday bloody sunday.
Ma il gatto signor siberia è pacifico, tranquillo, divertito.
Dimostra la metà della metà della metà delle ansie che dimostro io all'idea di una convivenza con un essere di sesso opposto.
Io e Quell'uomo siamo Trippa tutti e due.
Il gatto signor siberia è qui a dimostrarci la sua superiorità.

E nel frattempo, le pulci?
Le pulci sono sopravvissute a Hiroshima.
La Bayer non è più quella di una volta.
Così ho comprato una nuova bomba H in farmacia.
Nagasaki.
E l'ho fatta esplodere ieri sera.
Dopo pranzo andrò nella casa numero 14 e analizzerò i risultati.
Se la Storia è Storia, questa volta le pulci non dovrebbero aver avuto scampo.
E se la Storia è Storia, nella casa di Quell'uomo, la gatta di un mezzo tunisino e il gatto di una ebrea per metà, nel frattempo, dovrebbero aver imparato la convivenza.
Trippa e Siberia, Arafat e Rabin, nella stessa casa, con equilibrio e condivisione.
Perchè a noi, se c'è una cosa che ci piace, è cambiare i finali della Storia.

mercoledì, giugno 16, 2010



ULTIMA RIMA PER I GRANDI.

SCONGIURO CONTRO IL NAZISMO FUTURO

Gli abbiamo detto che la rabbia non è bene
Bisogna vincerla, bisogna fare pace
Ma che essere cattivi poi conviene
Più si grida, più si offende e più si piace
Gli abbiamo detto che bisogna andare a scuola
E che la scuola com'è non serve a niente
Gli abbiamo detto che la legge è una sola
Ma che le scappatoie sono tante
Gli abbiamo detto che tutto è intorno a loro
La vita è adesso, basta allungar la mano
Gli abbiamo detto che non c'è più lavoro
E quella mano la allungheranno invano
Gli abbiamo detto che se hai un capo griffato
Puoi baciare maschi e femmine a piacere
Gli abbiamo detto che se non sei sposato
Ci son diritti di cui non puoi godere
Gli abbiamo detto che l'aria è avvelenata
Perché tutti vanno in macchina al lavoro
Ma che la società sarà salvata
Se compreranno macchine anche loro
Gli abbiamo detto tutto, hanno capito tutto
Che il nostro mondo è splendido
Che il loro mondo è brutto
Bene: non c’è bisogno di indovini
Per sapere che arriverà il futuro
Speriamo che la rabbia dei bambini
Non ci presenti un conto troppo duro

(Bruno Tognolini, rime di rabbia)

lunedì, giugno 14, 2010



Ieri sono tornata in vico dolcezza.
A prendere il mio fouton, il mio materasso del fouton, la mia lampada a canna da pesca.
Ho preso tutto, ed è stato bellissimo riappropriarmi delle mie cose, con un corteo di mezzo chilometro attraverso i vicoli per portarli a casa.
Io ho portato la lampada.
Un Uomo ha portato tutto il resto. Ha fatto il maschio alfa, su e giù dalle scale, e infatti oggi ha la schiena incriccata.

Però, al di là del fatto che adesso ho un vero angolo nessie in casa, che l'amiu mi ha portato via l'orrido divano a fiori con la stessa gentilezza e la stessa soddisfazione degli iracheni il giorno che tiravano giù le statue di saddam hussein.
Al di là del gusto di vedere morire il divano a fiori e risorgere il fouton.
Al di là di questo, c'è questa cosa, secondo me, che quando lasci una casa poi non dovresti mai tornare a vedere che cosa ne hanno fatto le persone che sono rimaste, o che sono entrate dopo di te.
Perchè è spiazzante.
E' come rivedere i bambini della tua classe diventati adolescenti.
E' come la mia alunna che mi chiede l'amicizia su facciabuco con una foto in minigonna e lo status "fidanzata ufficialmente".

Una casa che è stata tua ti aspetti sempre di sapere cosa ci troverai dentro, qual'è il cassetto delle posate, in quale angolo si è accumulata la polvere, cosa puoi fare, cosa non puoi fare.
Ieri ho scoperto che, per esempio, non c'è più neanche un cacciavite, in vico dolcezza. Non una brugola. Non una chiave inglese.
Non me l'aspettavo.
La mia Stanza delle cose da maschio, un corridoio impolverato e pieno di attrezzi, lampadine, chiodi e viti, è diventato il pulitissimo angolo dei saponi. E io e Un Uomo non abbiamo potuto smontare il fouton e l'abbiamo dovuto portare intero.

Però, in compenso, nel cortile di Vico Dolcezza, ci sono dei mobili bianchi da giardino. E chili di piante che sembra il vietnam.
Il mio cortile, sporco e vuoto, è diventato la descrizione iniziale di un libro di Kipling, con i mobili bianchi e vittoriani e le piante con i fiori.
Non è brutto, eh. E' soltanto un'altra cosa, e un'altra casa.

Dal portone verde, che ha ancora il mio cognome sulla cassetta della posta, non cerca più di scappare il gatto signor siberia. Che è ovvio che sia così: il gatto signor siberia vive con me e tutte le sue maledette pulci che se ne fottono del frontline, nella casa numero quattordici.
Però ho aperto la porta, e un pezzetto del mio cervello si aspettava il mio gatto pulcioso e coccoloso. Che invece non c'era.
C'era una buganville.

Io non mi affeziono ai luoghi.
Ci passo in mezzo, ai luoghi. Ci passo, mi fermo, poi cambio.
Non mi affeziono ai muri e non mi affeziono agli spazi.
Io mi innamoro dei tempi, e delle persone.
Però tornare a casa mia e scoprire che ha cambiato carattere è stata una cosa a metà fra il fastidio e l'insofferenza.

E' come un bambino che gli fai fare per anni delle cose bellissime, il bambino più creativo della classe, quello che disegna gli uomini a tre teste e i fiori che fanno il pane, e poi lo rivedi da grande, ed è un ingegnere sistemista.
Che non è che non te l'aspetti, non è che pensi che grazie alle tue attività bellissime, tutti i tuoi bambini diventeranno degli Einstein, delle Margherite Hack, delle Frida Kahlo o dei Neruda.
Però ti sembra uno spreco, ti sembra che non c'entra con lui, ecco.
Per le case è lo stesso.
Un po' per l'ovvio contrasto tra le tue scelte e quelle degli altri.
Ma quello va beh.
Un po' anche, però, perchè ogni casa ha un carattere, e ogni inquilino si illude sempre di averlo colto in pieno, solo lui. Che solo lui può capirla, comprenderla e viverla a pieno, quella casa.
E' la stessa illusione dei fidanzamenti. E dell'educazione.

Così, tornare in vico cioccolatte e vedere la buganville, i mobili da giardino, la credenza con il servizio di piatti, i libri in ordine d'altezza, io non lo so, mi ha fatto l'impressione di un ex fidanzato che si bacia con una donna più brutta di me.
Che è una sensazione precisa.
Un po' di superiorità, un po' di dispiacere.
Quell'idea latente che le cose finiscono con te, che dopo di te il diluvio.
Invece poi non è mai così, ovviamente.
Le case cambiano, gli ex fidanzati si baciano con altre donne.
Arrivano le buganville, spariscono i cacciaviti. E tu torni in un altro tempo, in un altro spazio, con un altro amore, portandoti via il fouton.

venerdì, giugno 11, 2010



Ventitre e quaranta.
Letto sul soppalco.
Portatile.
Caldo.
Un gatto di fianco che ronfa.

Sono tornata a casa un’ora fa dopo quattordici ore di lavoro.
Quattordici e mezza, a dire la verità.
Ma ne ho segnate quattordici, sul foglio ore, che metterci la mezza mi sembrava di far dell’ironia.
La fine della scuola, gli studenti non si rendono mica conto di cosa voglia dire, mentre si tirano l’acqua e la farina.
Per noi vuol dire un’attività per dodici bambini per due pomeriggi di doposcuola a settimana per quattro settimane per nove mesi, circa, da recuperare, riordinare e mettere nel quaderno delle attività.
Quattordici ore di lavoro solo oggi.

Lavorare con i bambini io credo che se non sei un po’ scemo, un po’ folle, un po’ autolesionista e non condisci il tutto con un grande senso di responsabilità, è meglio se fai un altro lavoro.
Perché di tre che eravamo lì stasera a mettere in ordine fotografie ed elaborati, a scrivere l’appendice didattica e a decorare le pagine con i ghirigori, a nessuna ci è venuto in mente che potevamo anche non farlo.
Che potevamo andare a scuola, domani, dare i bacini della Buona estate e poi finirla lì.
Mettere i lavori in una cartellina e via andare.
Neppure quando abbiamo girato intorno alla boa delle dodici ore non stop, neanche durante l’inevitabile crollo post pizza.
Anche quando vedevamo allontanarsi la speranza di poter finire entro le nove, avevamo ben presente il diritto dei nostri bambini di vedere tutto il loro impegno raccolto, trascritto valorizzato e spiegato alle mamme e ai papà. E la responsabilità di essere noi quelli che dovevano custodire il loro lavoro di un anno e, alla fine, darlo indietro. L’importanza di conservare la fiducia in vista dell’anno prossimo.
Per questo lavoriamo con i bambini.
Sceme.
Autolesioniste.
Ma, in compenso, responsabili.
E’ un cocktail micidiale: ne uccide più dei barbiturici.

Così adesso sono a letto, sul soppalco, fa caldo, il gatto è sceso e miagola contro una farfallina della notte più veloce di lui.
Sono stanca come un monatto nella Milano del Manzoni.
Però adesso sono le 23.56 e ho ancora la forza di scrivere.
Qualcosa vorrà dire.
Se avessi fatto quattordici ore di qualsiasi altra cosa, di qualsiasi altro lavoro, sarei una donna depressa.
Invece non vedo l’ora di arrivare, domani, dai miei dodici piccoli ariani, e consegnare i quaderni.
Però.
Lo scolpisco sulla pietra eterna del blog.
Che sia chiaro.
Se l’anno prossimo, che i bambini diventano 22, la ragazza fuori moda lascia tutto il lavoro da fare alla fine, e pensa di avermi di nuovo in questo after hour della didattica, io lo giuro che la impicco ad un lampione e le appendo ai piedi tutto il mio senso di responsabilità e tutta la mia sana follia, per velocizzarne la morte.
Il mio autolesionismo finisce dove inizia quello degli altri.

lunedì, giugno 07, 2010



La misteriosa sparizione dei topi dai vicoli è una cosa bellissima.
E' la notizia più bella dell'anno.
Io giro, torno a casa, passo anche dai vicoli stretti, dai caruggi un metro e mezzo, e non ne vedo più.
Immagino che ci siano, da qualche parte.
Nel ghetto scommetto che ce n'è.
Però la diminuzione è sensibile.
E bellissima.
Quando sono andata a vivere nella casa numero quattordici, il comitato topi d'accoglienza era schierato, festoni, fanfare e code lunghe.
Ho anche pensato, ve l'avevo detto, di comprare una pistola ad ultrasuoni da tenere in borsa per tornare a casa.
Immaginavo l'estate, con i sandali e i piedi scoperti e ignudi, e mi vedevo terrorizzata e saltellante.
Con tutto che l'estate non è arrivata, e oggi ho le scarpe chiuse, come del resto ieri.
Ma soprattutto i topi sono spariti.

In compenso, però, c'è un compenso.
La casa numero quattordici è al primo piano.
Sotto di me, d'angolo, c'è la Stanza dei bidoni.
Che è come la stanza del buco, con la stessa luce azzurra, ma invece che i tossici ci si rifugiano dentro i bidoni della spazzatura, quelli della carta, quelli della plastica e del vetro.

Finchè la finestra della camera dela casa numero quattordici è rimasta chiusa, non mi sono accorta di quanto la Stanza dei Bidoni fosse oggetto di attenzione maniacale da parte degli spazzini.
E' lo struscio degli spazzini, quella stanza lì.
Solo ieri sono passati a pranzo con la macchina pulisci vicolo, a mezzanotte e mezza con i bocchettoni d'acqua, alle sei del mattino con il furgoncino della spazzatura. E qualche genio del male ha buttato via i vetri alle tre.
A ogni passaggio, di questo after-hour della pulizia, mi sono svegliata, ho svegliato Quell'Uomo borbottando e cacciando la testa sotto il cuscino, sono riemersa per il caldo, mi sono riaddormentata.

Quindi, riassunto.
La misteriosa sparizione dei topi.
Non può non essere collegata alla crescita esponenziale degli spazzini e delle loro meravigliose attrezzature.
E di questo, se è una scelta dell'amministrazione, se la sindaco ha deciso di investire nella pulizia dei vicoli, io non gliene sarò mai abbastanza grata.
Però sto perdendo in ore di sonno quello che ho guadagnato in rilassatezza da topo.
In sintesi, sono comunque felice, ma di quella felicità assonnata e un po' rincoglionita da abitante del primo piano.

venerdì, giugno 04, 2010



C’è una vicenda che definire marginale, in un momento come questo in cui in medioriente vengono distrutti tutti i diritti civili e di diritto internazionale, è poco.
Ma che sto trovando particolarmente interessante sulla base di una serie di riflessioni che vengono da lontano.
La vicenda è lo scontro verbale tra Alessandro Dal Lago, da una parte, e Flores D’Arcais e Sofri dall’altra, sulla questione Saviano.


Riassunto: Dal Lago ha scritto un libricino in cui sosteneva il diritto di poter criticare Saviano su alcune sue posizioni politiche o sociali. Flores D’arcais e Sofri hanno risposto sdegnati.

Mi rendo perfettamente conto della pochezza del dibattito.
Ma al di là del merito, io credo che Alessandro Dal Lago abbia perfettamente ragione su una cosa.
La santificazione non è una cosa di sinistra.
O almeno, non dovrebbe esserlo.
La santificazione, gli scudi alzati, l’acriticità non sono cosa nostra.

Io Gomorra l’ho letto.
E mi è piaciuto.
Ho letto anche il libro dopo, di Saviano, quello con la raccolta dei suoi articoli.
E l’ho trovato interessante.
Ben scritto, soprattutto.
Saviano è un bravo giornalista, un uomo da reportage.
Francamente, per essere italiano, io lo trovo nettamente superiore alla media.
Ma che sia un fine politico.
O un fine sociologo.
O un fine politologo.
Io non direi.

Adesso, il livello becero di questo paese ormai non permette una posizione complessa.
Siamo tutti manichei.
Io su Saviano ho una posizione complessa.
Penso che se un uomo rischia la vita per quello che ha scritto, e ha scritto delle cose belle, sia dovere di tutti fare il massimo per assicurargli la sopravivenza.
E, oggettivamente, un livello d’attenzione mediatica alto è una delle cose che garantiscono la sopravvivenza.
Quindi non mi piace chi dice che Saviano se ne approfitta, della notorietà.
Che si piange addosso.
Io credo che se a trent’anni vivi con la scorta puoi anche permetterti di piangere addosso.
Chi siamo noi per giudicare.
Però penso anche che una cosa è quello che fa lui, un’altra è come reagiscono gli altri.
Le folle osannanti io non le sopporto.
Ma sempre di più le vedo, a sinistra, anche tra i cosiddetti intellettuali.
Santoro, Saviano, Luttazzi, la Guzzanti.
A me sembra che se uno va in tv e dice delle cose più o meno di sinistra, il passaggio verso la santificazione acritica sia sempre dietro l’angolo.

Che se uno alza il pugno su rai tre lo fanno santo della rivoluzione.


Ho visto scene di intollerabile standing ovation per queste persone, e per molte altre, che sono tutte persone intelligenti e che, più o meno, mi piacciono tutte.
Ma l’acriticità mi spaventa.
Le standing ovation per il personaggio – e non per il contenuto di quello che ha appena finito di dire – a me fanno paura.

C’è un uomo che secondo me ha detto una cosa intelligente, al riguardo e non solo.
Neanche a farlo apposta, questa persona è Nichi Vendola.
Nichi Vendola ha detto che possiamo combattere quanto vogliamo il berlusconismo se non ci rendiamo conto che, in vent’anni, la gente, anche di sinistra, si è berlusconizzata.
Se non ce e rendiamo conto, abbiamo perso comunque.
Io credo che la gente di sinistra, se perde la critica, la capacità di criticare, il coraggio di criticare, abbia perso comunque.


C’è sempre stata questa differenza, nella sinistra.
C'erano quelli acritici, quelli del leader, TogliattiLongoBerlinguer, e quelli critici, quelli che hanno avuto il coraggio di rompere, di dire le cose scomode.
Quelli acritici, quelli di TogliattiLongoBerlinguer, adesso votano lega. Non tutti. Ma un sacco. Se non votano lega, firmano le leggi di Berlusconi.
Quindi non so se la situazione è peggiorata.
Forse è rimasta uguale, non lo so, diciamo che adesso si vede un sacco.

Io credo questo.

Che la critica sia una cosa di sinistra.
E vada difesa sempre.
Io, intorno al diritto alla critica, ci metto le guardie del corpo.

martedì, giugno 01, 2010

Ho vinto.
Sono riuscita a scrivere la seconda recensione per la rivista, dopo aver cambiato soltanto 37 incipit.
Dovevo rimanere dentro i 1800 caratteri, e ne ho scritti 1789. Santo Luigi Pintor.
Adesso la porto a casa di Quell'uomo e passo il vaglio del suo giudizio, poi la spedisco.
E a quel punto ho fatto quasi tutto quello che era nella lista del ponte del due giugno.
Ho più o meno pulito casa.
Ho comprato un antiparassitario al Gatto Signor Siberia.
Sono andata al Festival Andersen, dove ho visto delle cose belle, delle cose meno belle, una cosa bellissima. Ma soprattutto sono rimasta sdraiata ad occhi chiusi sulla sabbia della Baia del Silenzio, mentre Moni Ovadia cantava dal palco sul mare, ed è stato un momento che valeva tutte le ferie.
Ho tolto il piumone dell'inverno.
Ho donato del tempo alle coccole.
Sono andata alla grugliata di mio fratello figlio unico.
Ho trovato anche il tempo per la Litigata del secolo con quell'uomo, che quando litiga si trasforma nel figlio di Wanda Osiris e Carmelo Bene.
Però aveva ragione lui, che non esplode mai, e quando si incazza vuol dire che io ho davvero tirato la corda della sopportazione.
Così alle cinque del mattino gli sono piombata in casa con gli occhi del gatto di shreck.
Per questa volta ha funzionato.
Domani vado in barca a prendere il sole.

Ma c'è una cosa, soprattutto, che io e Un uomo abbiamo notato in questi giorni.
Che in questa città, in questo preciso momento, sembra che tutti si aiutino, siano gentili.
Non so, forse ci è successo solo a noi, di vederlo.
Ci è successa una cosa bellissima da panettiera, di tutti gentili, di tutti che offrivano il proprio posto in fila.
E poi al mercato della frutta.
E ancora, al posteggio dei motorini.
E in edicola, l'altro giorno.

Io non lo so se è la profezia che si autoavvera, o se è l'universo che si tiene per mano, come dicono le mie amiche fricchettone.
Ma c'è che da quando ho letto il libro da recensire, che parla della tendenza innata degli esseri umani ad aiutarsi, lo sto notando dappertutto.
Dappertutto tranne che al largo di Israele, of course.