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lunedì, giugno 14, 2010



Ieri sono tornata in vico dolcezza.
A prendere il mio fouton, il mio materasso del fouton, la mia lampada a canna da pesca.
Ho preso tutto, ed è stato bellissimo riappropriarmi delle mie cose, con un corteo di mezzo chilometro attraverso i vicoli per portarli a casa.
Io ho portato la lampada.
Un Uomo ha portato tutto il resto. Ha fatto il maschio alfa, su e giù dalle scale, e infatti oggi ha la schiena incriccata.

Però, al di là del fatto che adesso ho un vero angolo nessie in casa, che l'amiu mi ha portato via l'orrido divano a fiori con la stessa gentilezza e la stessa soddisfazione degli iracheni il giorno che tiravano giù le statue di saddam hussein.
Al di là del gusto di vedere morire il divano a fiori e risorgere il fouton.
Al di là di questo, c'è questa cosa, secondo me, che quando lasci una casa poi non dovresti mai tornare a vedere che cosa ne hanno fatto le persone che sono rimaste, o che sono entrate dopo di te.
Perchè è spiazzante.
E' come rivedere i bambini della tua classe diventati adolescenti.
E' come la mia alunna che mi chiede l'amicizia su facciabuco con una foto in minigonna e lo status "fidanzata ufficialmente".

Una casa che è stata tua ti aspetti sempre di sapere cosa ci troverai dentro, qual'è il cassetto delle posate, in quale angolo si è accumulata la polvere, cosa puoi fare, cosa non puoi fare.
Ieri ho scoperto che, per esempio, non c'è più neanche un cacciavite, in vico dolcezza. Non una brugola. Non una chiave inglese.
Non me l'aspettavo.
La mia Stanza delle cose da maschio, un corridoio impolverato e pieno di attrezzi, lampadine, chiodi e viti, è diventato il pulitissimo angolo dei saponi. E io e Un Uomo non abbiamo potuto smontare il fouton e l'abbiamo dovuto portare intero.

Però, in compenso, nel cortile di Vico Dolcezza, ci sono dei mobili bianchi da giardino. E chili di piante che sembra il vietnam.
Il mio cortile, sporco e vuoto, è diventato la descrizione iniziale di un libro di Kipling, con i mobili bianchi e vittoriani e le piante con i fiori.
Non è brutto, eh. E' soltanto un'altra cosa, e un'altra casa.

Dal portone verde, che ha ancora il mio cognome sulla cassetta della posta, non cerca più di scappare il gatto signor siberia. Che è ovvio che sia così: il gatto signor siberia vive con me e tutte le sue maledette pulci che se ne fottono del frontline, nella casa numero quattordici.
Però ho aperto la porta, e un pezzetto del mio cervello si aspettava il mio gatto pulcioso e coccoloso. Che invece non c'era.
C'era una buganville.

Io non mi affeziono ai luoghi.
Ci passo in mezzo, ai luoghi. Ci passo, mi fermo, poi cambio.
Non mi affeziono ai muri e non mi affeziono agli spazi.
Io mi innamoro dei tempi, e delle persone.
Però tornare a casa mia e scoprire che ha cambiato carattere è stata una cosa a metà fra il fastidio e l'insofferenza.

E' come un bambino che gli fai fare per anni delle cose bellissime, il bambino più creativo della classe, quello che disegna gli uomini a tre teste e i fiori che fanno il pane, e poi lo rivedi da grande, ed è un ingegnere sistemista.
Che non è che non te l'aspetti, non è che pensi che grazie alle tue attività bellissime, tutti i tuoi bambini diventeranno degli Einstein, delle Margherite Hack, delle Frida Kahlo o dei Neruda.
Però ti sembra uno spreco, ti sembra che non c'entra con lui, ecco.
Per le case è lo stesso.
Un po' per l'ovvio contrasto tra le tue scelte e quelle degli altri.
Ma quello va beh.
Un po' anche, però, perchè ogni casa ha un carattere, e ogni inquilino si illude sempre di averlo colto in pieno, solo lui. Che solo lui può capirla, comprenderla e viverla a pieno, quella casa.
E' la stessa illusione dei fidanzamenti. E dell'educazione.

Così, tornare in vico cioccolatte e vedere la buganville, i mobili da giardino, la credenza con il servizio di piatti, i libri in ordine d'altezza, io non lo so, mi ha fatto l'impressione di un ex fidanzato che si bacia con una donna più brutta di me.
Che è una sensazione precisa.
Un po' di superiorità, un po' di dispiacere.
Quell'idea latente che le cose finiscono con te, che dopo di te il diluvio.
Invece poi non è mai così, ovviamente.
Le case cambiano, gli ex fidanzati si baciano con altre donne.
Arrivano le buganville, spariscono i cacciaviti. E tu torni in un altro tempo, in un altro spazio, con un altro amore, portandoti via il fouton.

domenica, marzo 07, 2010



Ho un'ora di solitudine casalinga prima di dover raccogliere ogni forza residua e andare a lavorare.
Ho quindici scatole pronte per il trasloco.
Ho un metro quadrato di pluriball sul pavimento, con cui gioca il gatto Signor Siberia, dimostrando che il pluriball è irresistibile per ogni essere vivente.
Ho un congresso alle spalle dove sono stata eletta nel comitato provinciale, con mia grande sorpresa.
Ho un uomo con cui è bello svegliarsi la mattina.
Ho Petra Magoni che canta Colour cafè nel computer.
Sei giorni di distanza dal mio bilocale.
L'acqua per la pasta sul fuoco.
Un inverno che non passa, fuori dalla finestra.
Un presidente della repubblica che ha fatto l'ennesima porcata, dopo il sostegno all'invasione dell'ungheria, e la TurcoNapolitano.
Il Manifesto della domenica dimenticato in ufficio cinque minuti dopo averlo comprato.
Un appuntamento per chiarire chili di dinamiche improbabili.
Un letto da smontare, un credenzina da riparare, un permesso ztl da chiedere ai vigili, un gatto che in questo momento mi cammina sulla tastiera.
Una voglia di scrivere che ha prodotto questo inutile post.
Una previsione di viaggi che mi porterà, in un mese, in Svizzera, a Roma, a Montaretto, ai seggi elettorali.
Un post in cantiere per spiegare a chi volesse un po' di quelle cose delle elezioni che non si sanno mai, tipo le preferenze e le soglie di sbarramento.
Una lavatrice da fare, una domenica che vorrei abitare sull'oceano per andarlo a vedere grigio e gigantesco, con il cielo che c'è oggi. Un mare come quello tra San Sebastian e Santander.
Un'offerta di viaggio in barca a vela.
Una gatta che mi odia, un gatto che mi coccola.
Un calcolo veloce della mia vita accumulata, in trentacinque scatoloni.

mercoledì, febbraio 24, 2010

Perchè gli ebrei suonano il violino e non il pianoforte?
Hai mai provato a scappare con un pianoforte in spalla?

Di nuovo cambio casa, e di nuovo cambiano le cose.
Trasloco numero quattordici, in ventotto anni.
C'è un bilocale che mi aspetta e una nuova coinquilina per la Ragazza Fuori Moda pronta a subentrare in vico dolcezza.
Ho quindici giorni per fare le scatole, le valigie e il trasloco.
Sarete come sempre i miei amici carini, che si terranno liberi, sabato 13 marzo, per le mie solite scatole, i miei soliti libri, le mie solite valigie di vestiti, il mio violino metaforico? Il mio nomadismo può contare, come al solito, su di voi?

Sono contenta come se la casa me l'avessero regalata.
Invece è una scelta importante, è una scelta che mi costa, tra affitto e bollette, la metà esatta del mio stipendio.
Però è una casa tutta per me.
Per me e il gatto signor siberia, ovviamente.
Niente più mutande altrui sullo stendino, niente più Sei in casa? Niente più chiavi che girano nella porta quando avresti solo voglia di silenzio, di pensieri e di gestione del tuo casino. Niente più scarpe numero 39 vicino alle mie, turni delle pulizie, niente più Ma la spesa non dovevi farla tu? niente Scusa, dove sei? Sono uscita senza chiavi.

Sarà la Quattordicesima Casa, ma sarà comunque provvisoria, perchè continuo a cercarne una da comprare, inevitabilmente la numero Quindici.

Chi non ama i traslochi non può capire l'adrenalina nomade che mi si scatena nella pancia all'idea del cambiamento.
Mi avessero detto che dovevo andarmene domani e fare tutte le scatole in una notte, non mi sarebbe dispiaciuto per niente.
Perchè c'è che cambiare casa come cambiare umore è un post it per la memoria: le fasi della mia vita sono scandite dalle case che ho cambiato perchè il setting, come diciamo noi operatori didattici quando vogliamo fare i fighi, è importante.
Un setting dev'essere accogliente ma anche coerente. Vico dolcezza è stato un setting coerente con me per un paio d'anni. Poi ha smesso di esserlo.

Questa Casa numero Quattordici, invece, è coerente con la Nessie numero ventotto.

Di questa Casa numero Quattordici:
La prima cosa che mi viene in mente è che non dovrò più fare salite.
La seconda è che sono pericolosamente vicina al locale delle birre delle coccole e dei panini unti.
La terza è che ho un soppalco bellissimo.
La quarta è Speriamo che il Signor Siberia non impazzisca per la mancanza di spazio esterno.
La quinta è che non dovrò più portarmi la spesa per chilometri arrivando a casa con le mani che tremano.
La sesta è Dove metto la bicibellula?
La settima è C'è qualcuno che mi offre un secondo lavoro?
L'ottava è Quali libri mi porto, e quali lascio in attesa della casa numero Quindici?
La nona è Quante volte sbaglierò strada, le prime due settimane?
La decima è Tornare dal Circolo Luogo dell'Anima in bici, in dieci secondi netti.
L'undicesima è la vicinanza con il Molo in Primavera.
La dodicesima è Cosa appendo ai muri
La tredicesima è che le soluzioni provvisorie sono le mie preferite.
Ma, soprattutto, la quattordicesima è questa meravigliosa sensazione di assoluta indipendenza.

lunedì, febbraio 22, 2010



Sto uscendo con due uomini.
In modi e in termini diversi, ma abbastanza da poter osare un confronto.

Uno è l'Uomo Ideale.
E' bello. E' molto bello.
E' ricco di famiglia.
E' un vero intellettuale di sinistra.
E' l'uomo che si potrebbe presentare ad una nonna e garantirsi la sua approvazione imperitura.
E' gentile.
E' interessante.
Ve l'ho già detto che è bello?
Ha prospettive di carriera.
E saprebbe ripararmi un computer così come una grondaia.
E io, con lui, mi annoio.
Mi annoio a morte.
Esco con lui e non so cosa dirgli.
Lo ascolto parlare ed è come essere ad un collegio docenti.
Non c'è modo di fare una battuta perchè è di quegli uomini che ti fanno sentire inadeguata a ridere.
Di quegli uomini che ti guardono e sembrano dirti Cazzo ridi, in questo mondo di merda?
E' un uomo che non avrei il coraggio di dirgli che mi piace saltellare per casa cantando Gennaro Cosmo Parlato o la Mannoia o un vecchio Guccini o Victor Jara, perchè è un uomo da Coltrane e Bjork.
E chi glielo dice che Fitzcarraldo mi ha fatto schifo? Che lascio salire il gatto sul tavolo? Che devo lavare i piatti da sabato?

Invece l'altro.
L'altro non sarebbe piaciuto a mia nonna.
Ma, del resto, chi sarebbe piaciuto a mia nonna?
L'altro è tutto un non. Non è bello, non è ricco, neanche di famiglia, non è un uomo da debutto in società, decisamente. Non è un uomo che mi viene di pensare da passarci la vita.
Ma mi fa ridere.
E sa come si parla ad una donna.
E mi fa le sorprese, mi porta al cinema come se fosse la cosa più desiderabile del mondo, e mi asciuga le lacrime.
Mi cucina una cena di antipastoprimosecondo squisitamente senza carboidrati. E' un uomo che sa come accarezzare la mia dieta.
Mi compra il pesce per il gatto.
Mi canta le ninnananne con la sua voce incredibile.
Mi parla in tre lingue.
Mi ripete continuamente quanto io sia incredibilmente bella.
Ogni tanto se ne va via, quando è a un passo dall'invasione dei miei spazi.
Mi chiama Biancanessie. E a volte Amore, ma con la leggerezza di un intercalare.
E poi ha scoperto che a Maggio non costa niente portarmi in un posto del mondo dove non sono mai stata.
Allora ha preso ferie. E mi ha detto di pensarci quanto voglio, a questa ipotesi di viaggio. Che lui, però, intanto faceva in modo di esserci, se alla fine io avrò voglia di partire.

Io, non so, sarà che sto emergendo dall'apnea Omm della Tempesta.
Che non mi potevo mai aspettare niente.
Che per vederci ci voleva l'agenzia di viaggio.
Che mi sentivo in colpa a chiedergli di esserci.
Che qualsiasi cosa potesse essere vagamente lungimirante era spaventoso per lui come per me una pantegana nel bagno. Che dopo tre anni di storia se avessi provato a proporgli, a febbraio, un viaggio a maggio gli sarebbe venuta una sincope.
Che non faceva che ripetermi che comunque, magari, lui poteva anche scegliere di partire, mica era sicuro che fosse ancora qui, domani.
Che siamo arrivarci a chiamarci amore con la lentezza e la pesantezza di un libro di Moccia.

Io in questo momento mi sento coccolata, mi sento desiderata e divertita da un uomo improbabile.
Per quelle cose della vita che ogni tanto si riarrotolano su sè stesse.
Io, dell'omm della tempesta, sono stata perdutamente innamorata e mai felice.
Adesso non sono innamorata, ma sono felice.
E penso che sia esattamente quello che mi ci vuole.
Mi sento come quando ti invitano a ballare il liscio alla festa dell'unità, che non sai dove guardare dalla vergogna ma in fondo ti diverti da morire. E poi ti fanno fare anche il caschè e ti manca il fiato e inizi a ridere come una scema, sulla pista del liscio.

E le evidenti differenze con l'Uomo Perfetto non fanno che rinforzare la mia tesi che la borghesia e il suo modello hanno capito ben poco della felicità.

mercoledì, febbraio 17, 2010






La combinazione raffreddore devastante, linea adsl e prima serata del festival di sanremo mi ha fregata.
Ho provato a resistere: alle 8 di sera mi sono cucinata il minestrone e me lo sono mangiata guardando Il vizietto, con il naso colante e tutto il pavimento coperto da moccichini schifiltosi.
Sanremo mi ero dimenticata anche che ci fosse.
Ma Il vizietto è finito, io non avevo sonno, la casa era silenziosa e i miei amici su facciabuco non facevano che commentare il festival.
Come resistere?
Ho ceduto a rai.it

Una volta di più, voglio emigrare.
Perchè vedere, nella stessa serata, l'inno all'ignoranza di Cassano, la canzone di Emanuele Filiberto di Savoia e quella di Povia contro Peppino Englaro, non lo so, non ho lo stomaco.
Non ci sono abituata.
Biancanessie, come mi chiama qualcuno in questo periodo.
Io credo che per resistere ad un tale schifo, uno debba prepararsi il terreno giorno per giorno.
Io invece leggo il Manifesto.
E la gioia di vedere la giuria demoscopica dimostrarsi più a sinistra del governo prodi, e cacciare via il principino e il suo insulto alla democrazia, non è una gioia tale da coprire il disgusto.

Ero davanti al computer che annaspavo, mentre Pupo (pupooooo) ed Emanuele Filiberto si divertivano a rovesciare la storia sul palco dell'Ariston, e come sempre in questi casi, mi è apparso lo sguardo sconcertato del mio Partigiano di Riferimento che mi dice Vede, Vanessa, ci sono cose che se uno non ha visto morire i suoi compagni sui monti, non lo capisce il dolore che si prova...

Io vorrei scrivervelo, il testo della canzone di Emanuele Filiberto.
Emanuele Filiberto di Savoia.
Perchè dire solo Emanuele Filiberto è come dire Pupo, i Pooh, i Nomadi.
Troppo facile.
Emanuele Filiberto di Savoia.
Vorrei scrivervelo, il testo, perchè diventerà il nuovo inno di forza nuova, ad esempio.
E dobbiamo saperlo riconoscere, se lo sentite canticchiare in un vicolo buio, o nella suoneria di un telefonino.
Ma anche perchè è un tassellino del puzzle.
Della distruzione di questo paese e della mia voglia di scappare lontano.

Io credo sempre nel futuro,
nella giustizia e nel lavoro,
nell’equilibrio che ci unisce,
intorno alla nostra famiglia.

Io credo nelle tradizioni,
di un popolo che non si arrende,
e soffro le preoccupazioni,
di chi possiede poco o niente.

Io credo nella mia cultura
e nella mia religione,
per questo io non ho paura,
di esprimere la mia opinione.

Io sento battere più forte il mio cuore
di un’Italia sola,
che oggi più serenamente
si specchia in tutta la su storia.

Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.
Io non mi stancherò di dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.

Ricordo quando ero bambino,
viaggiavo con la fantasia,
chiudevo gli occhi e immaginavo,
di stringerla fra le mie braccia.
Tu non potevi ritornare
pur non avendo fatto niente,
ma chi si può paragonare
a chi ha sofferto veramente.

Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.
Io non mi stancherò di dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.

Io credo ancora nel rispetto,
nell’onestà di un ideale.
Nel sogno chiuso in un cassetto,
e in un paese più normale.

Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,Italia amore mio.

venerdì, febbraio 05, 2010

Ma viva il cinismo, e chi lo sa portare...
Serata di Gioco surreale: la sindrome delle liste.
Categoria "Pezzi di motore":

con la S
Spinterogeno

con la C
Cinghia

con la T
Tappo

Con la U
Ustica.

giovedì, febbraio 04, 2010



L'ho già detto che avere internet a casa è la mia rivoluzione d'ottobre?
Sono scappata dall'ufficio alle 3 e sono venuta a lavorare a casa.
Come potete ben vedere, sto lavorando tantissimo.

Ho messo due torte di mele in forno per il week end del circolo Luogo dell'anima.
Ho mangiato tre pezzi di farinata davanti al computer col gatto Signor Siberia che si rotolava nella disperazione per tentare di convincermi che è un gatto denutrito, triste e affamato.
Non ho ceduto.
Ho cercato su you tube un gruppo che ascoltavo negli anni '90 e che è emerso da un cassetto della memoria stanotte, intorno alle 3.
I Quartiere Latino, roba di 15 anni fa.
Ovviamente li ho trovati, perchè c'è sempre un piccolo nerd che lavora per noi, da qualche parte del mondo, e che passa qualche ora della sua vita a trasferire le cassette della nostra vita su you tube.

Ora che ho creato il giusto contesto mi immergo nella formazione specifica che devo preparare per i miei volontari.
Argomenti: i bambini tiranni, l'educazione slow, leggere ad alta voce in classe e nei contesti informali.

Nel frattempo passa la riforma della scuola superiore.
E io lotto con l'istinto di passare il pomeriggio a leggermela, con il conseguente ovvio pamphlet incazzato.
Per ora, faccio finta che non sia vero.
E mentre lo faccio, i professori di un'istituto superiore di Genova si autotassano per comprare i gratta e vinci, sperando di coprire il rosso della scuola con la vincita.
Io credo che questa notizia sia peggio della riforma Gelmini.
E ce ne vuole.
Quindi chiudo con una proposta.
Propongo di organizzare un pomeriggio in cui ci travestiamo tutti da Maria Montessori, andiamo all'Istituto Odero e consegniamo ai professori del grattaevinci la targa " Primo premio Mostro di Marcinelle per le Proposte Educative".

domenica, gennaio 31, 2010



Io e il gatto Signor Siberia non ci decidiamo a mettere il naso fuori, oggi.
Lui schifa il cortile, io un giretto in centro.
Ho accettato di declinare un appuntamento all'ora dell'aperitivo, e adesso non ho veramente niente da fare, e me lo tengo stretto.
Ho una ventola dell'aria calda, ho una connessione a internet, un cd con il best of di Bob Dylan, una casa solitaria. Non ho soldi per andare a sbirciare tra gli ultimi saldi.
Mi sento utile a me stessa attivandomi per piccole cose: ho trovato un annuncio di una casa su internet, e ho scritto all'agenzia.
Ho messo a posto la sala.
Però non ho rifatto il letto.
Canticchio The times they are changing...
Ho scoperto un blog che mi piace.
Mi sono preparata un'insalata con la feta, per pranzo.
Ho aperto tutte le finestre perchè la ragazza fuori moda, stamattina, ha cercato di uccidermi con un panino abbrustolito nel microonde.
Ho pulito il bagno, ma devo ancora tirare su le mutande dal pavimento.
Ho fatto i conti del circolo Luogo dell'anima, che ieri si è riempito di persone carine alla prima visita.
Ho invitato un po' di gente a merenda, ma non so chi verrà.

Settimana scorsa ho finito di leggere ...E vinse la tartaruga e ho deciso che non posso soltanto vederla praticata da altri, la vita slow.
Avrei dovuto lavorare, in questa domenica indolente, e non voglio rimpiazzare subito il lavoro con l'iperattività.
Così mi godo l'indolenza lenta.

E infatti, appena decido che mi godo l'indolenza, mentre sono qui che scrivo queste righe della domenica, mi mandano un messaggio per una merenda fuori.
Va bene, esco.
Ma non esco per riempire i buchi, esco perchè mi va di farlo.
Sono le differenze sottili tra le tartarughe e le lepri.

venerdì, gennaio 29, 2010

Mentre mi preparavo per il mio invito a cena del venerdi.
Che è tra dieci minuti e sono in ritardo.
Mentre mi preparavo, ho avuto un'illuminazione davanti allo specchio.
Che non è una scusa, è un'illuminazione.
Ho pensato che in effetti dietro un matto c'è sempre un villaggio.
E se il villaggio è il posto dove è nata la Lega.
L'amore ai tempi della Lega.
Non ci si può mica illudere.
Non avrei dovuto illudermi.
Perchè scegliere l'amore è sostanzialmente un'attività improduttiva.

mercoledì, gennaio 27, 2010


In forno cuoce la torta di mele.
E' il mio contributo alla cena di Natale del mio ufficio, che si terrà tra un'ora.
E con questo avete capito tutto dell'ufficio più bello del mondo.

Con le ricette io sono la figlia di andy warrol e di un'autistica.
Se c'è una cosa che mi viene bene, la replico all'infinito fino a quando non mi stufo.
Poi trovo un'altra ricetta da appendere sul frigo, e ricomincio da capo.
Sperate che non mi focalizzi mai sulla pizza con l'ananas.

Visto che è il giorno della memoria, però, a parlare di torte di mele nel forno mi sento scema (e schifosamente cinica).
Ma pensare di mettermi a parlare della banalità del male, dal momento che ci siamo immersi fino al collo, peggio che mai.
Allora mi rifugio nei nanetti di vita vissuta.

C'è stata una volta che ero una studentessa a scienze dell'educazione.
E avevo una professoressa di storia contemporanea progredito che era una nota etilista.
Mi presento a dare l'esame il 27 gennaio, con una curatissima tesina sulle attinenze tra la partecipazione popolare nella Resistenza e al G8 di Genova.
Tiè.
Eravamo in cinque, a dare l'esame, perchè la storia contemporanea, agli studenti di scienze dell'educazione, piace quanto un riccio tra l'alluce e l'indice.
Io ero la seconda.
La prima, tremante come un budino - perchè gli studenti di scienze dell'educazione emettono da soli il 58% del pil di ansia del paese - si siede davanti all'etilista.
La quale, come in una barzelletta, dice Signorina, prima domanda: che giorno è oggi?
....giovedi?
Si, si, che giorno del mese...
Aaaah, 27 gennaio.
E il 27 Gennaio è...
...
è...
...
è il giorno....
E' il giorno della memoria! (gli studenti di scienze dell'educazione guardano i telegiornali. Ndr).
Brava. Perchè il 27 gennaio è il giorno della memoria?
...
...
...
Ah, si. Perchè è il giorno che ci è stato Auschwitz.

Cosa fa questa ragazza, adesso?
La maestra.
Et voilà: la banalità del male.

martedì, gennaio 26, 2010

Ci sono delle volte che le persone entrano nella mia vita in modo strambo, in modo irruento, in modo imprevedibile e a volte anche in modo doloroso, come un intervento a gamba tesa. E poi, in qualche modo, riescono a cambiare questa relazione in qualcosa di diverso. Solitamente in un'amicizia fatta di appuntamenti saltuari e rari scambi di messaggi.
La mia vita è piena di queste persone.
Come se non riuscissi a trovare con loro la giusta dimensione e la giusta distanza nei primi appuntamenti, e avessi bisogno di tempo per collocarle e lasciarle collocare nella giusta posizione all'interno della mia vita.
Stasera, grazie ad una di loro, entrerò di soppiatto all'interno dello spettacolo dei Momix e me lo guarderò tutto da un punto di vista privilegiato.

Anni fa -una vita fa, che andavo ancora in giro con i capelli blu e la kefia - un altro dei miei uomini mal collocati, mi aveva portato a vedere gli Stomp dalla fessura del magazzino del teatro, lasciando ciondolare i piedi sulla testa degli spettatori del palchetto.
Io spero sarà così anche questa volta, perchè gli spettacoli della mia vita li ho sempre guardati da un punto di vista lontano dalle poltrone della terza fila.

Ho guardato lo spettacolo dell'Ulivo Palestinese da dietro le tende rosse del sipario, con lui che correva a baciarmi al cambio scena, ho visto il mio spettacolo illuminata dalla torcia da minatore del kGgB sperando che gli attori si ricordassero le battute. Ho visto gli stomp dal magazzino, appunto. Ho assistito allo spettacolo della mia compagnia teatrale davanti ad una folla improbabile di 10.000 persone per il 25 aprile accanto a Madaski, e agli spettacoli delle Bisbetiche dall'improbabile punto di vista dell'addetto stampa.

Stasera siederò nell'ennesimo luogo improbabile.
Una banale metafora della vita, con il resto del mondo che paga il biglietto per sedersi in poltrona, e noi che ci facciamo confondere dalla vita per entrare di soppiatto e guadagnarci un altro punto di vista.

domenica, gennaio 24, 2010



La rivoluzione è avere internet a casa.

Sono atterrata a genova venerdi pomeriggio dopo quattro giorni di meeting internazionale a Bari con un sonno arretrato che sembrava l'erasmus.
A casa, ho trovato un cestino davanti alla porta con scritto Please, take care of this router.
E la graduatoria degli agi è salita di un punto percentuale.

Bari è stata tre giorni di immersione nel mondo. 550 delegati under 30, da singapore al marocco, da Cuba alla Svezia. Una cosa tipo babilonia tutto spesato.
Se non avessi dovuto sopportare un'allergia alla Puglia che mi ha fatto venire gli occhi da aye aye, sarebbe stato semplicemente splendido. Abbiamo lavorato su un documento di promozione dell'educazione non formale partendo dall'esperienza di Paulo Freire. Quelle cose che piacciono alla nessie, insomma.
E il formatore era il fratello portoghese dell'Ulivo Palestinese. Un tuffo nella vita di tre anni fa senza neppure tapparmi il naso.

Noi italiani, nei gruppi di lavoro, parlavamo inglese con la tipica preparazione da Listen and Repeat. Gli altri si destreggiavano tra tre e cinque lingue e distribuivano biglietti da visita.
Noi italiani sembravamo il paese ospitante ai mondiali.

Nichi Vendola ha aperto il meeting e si è conquistato una standing ovation mondiale.
Sul pullman del ritorno la delegata di Dubai mi ha chiesto Il politico che ha parlato oggi è gay?
Si, ho risposto, Come fai a saperlo?
Ha un orecchino a sinistra
Ah...si...beh, non è così automatico, ma in effetti è gay
Ed è un politico?
Si
E questo a voi va bene? ha concluso, tra lo sdegnato e il sorpreso.

Deve arrivare una ragazzina da Dubai per farmi credere ancora che siamo in una democrazia.


mercoledì, gennaio 13, 2010



E mentre cerco casa (e di nuovo cambiano le cose, cambio donna, cambio umore, stasera), il muro di quella attuale mi si sbriciola tra le dita di un'umida serata di gennaio.
Di nuovo il parquet è incinto, il soffitto sembra un tovagliolo bagnato su un angolo.
Fuori continua a diluviare, dentro abbiamo dato un taglio al riscaldamento per la paura di un conguaglio che non potremmo pagarci.
Mia nonna aveva un'orribile mattonella con scritto Casa mia può sostituire il mondo, il mondo giammai casa mia.
Aveva il riscaldamento centralizzato.

Gennaio è un mese di spese rimandate, e tutti i vestiti di cui avrei avuto bisogno rimangono alla mercè di altre sophie kinsella.
Ho cambiato taglia (anzi, ho cambiato due taglie ) in un anno e mezzo e, fidatevi, di una dieta può goderne a pieno solo chi può permetterselo.

Cerco qualcuno con cui fare a metà di un abbonamento 2010 al Manifesto (metà coupon a testa), cerco una casa nei vicoli che abbia almeno una finestra.
Quella che ho visto ieri ne aveva una sola, e dava su un cavedio.
La crisi c'è troppo o troppo poco: hanno inaugurato ieri un locale e, di martedi, c'erano 1500 persone. Un mio amico barista ha detto che hanno fatto 5000€ di utile in una sera, con persone 40 minuti in fila, al freddo, per avere una birra.
La crisi c'è troppo o troppo poco e la gente non smetterà mai di stupirmi.

Mentre vi scrivo, a proposito di gente intelligente, c'è una manifestazione di forzanuova contro la moschea.
Io spero che gli si congelino le palle mentre camminano al lagaccio e che debbano tutti trasportarli all'ospedale d'urgenza, dove l'unico medico in turno è figlio di un partigiano morto impiccato e l'infermiera una militante di un centro sociale anarchico, con più piercing che capelli.
Sogno troppo, in questo freddo mercoledi di gennaio, immersa nella crisi e attaccata alla speranza di un mondo più confortevole?


giovedì, gennaio 07, 2010


Il duemiladieci è un anno che inizia con la scoperta che l'ikea non fabbrica l'unico mobile di cui avrei bisogno.
Non credevo che ci fosse qualcosa che l'ikea non produceva.
Tutto Sotto Un Solo Tetto.
(Il duemiladieci è un anno che inizia con una citazione da nerd, e forse è il caso che inizi a preoccuparmi).

Così il mio nuovo computer, che è un Mac, che ha uno schermo così grande che fa finta di essere una televisione, che si merita addirittura una connessione internet, sita in posizione precaria in attesa che l'ikea mi mostri la soluzione al mio problema.
Avrei bisogno di un filo diretto con un'architetto svedese di nome Kristine a cui spiegare l'importanza di un mobile angolare 50x50 cm.
Lei sola potrebbe capirmi.
Il duemiladieci è ricominciato anche al lavoro più bello del mondo, e solo oggi ho progettato già una lettura dei fondi del the e un luna park zingaro da realizzare nei prossimi dieci giorni.
Chiamatemi Luna Lovegood, sarò la vostra progettista.

Poi, mi sento la febbre. Da un quarto d'ora, mi sento la febbre, ma credo sia soltanto l'aria di neve che arriva piano.
Ancora non fa nemmeno tanto freddo, ma già il sindaco ha deciso che domani le scuole saranno chiuse, che dovrete mettere le catene, voi che avete una macchina, che c'è un'allerta 2.
Se c'è una cosa che non c'entra con la neve, questo è il preavviso.
Il duemiladieci inizia con il senso di fastidio che riesce a darmi una città in panico perchè qualcuno ha detto che nevicherà, quando fuori ci sono ancora 5 gradi abbondanti.
La neve non bisogna saperlo prima, che arriverà.
E' come leggere l'ultima pagina di un giallo.

Il 2010, infine, inizia con un sogno politico.
Vorrei vedere il Pd decomporsi in un grande albergo di Rimini.
Vorrei vederli entrare uno per uno per un grande convegno sul Riformismo, sorridenti, arroganti e deficienti, e vederli smaterializzare appena superata la hall.
Uno alla volta.
E, attenzione, sto dicendo Smaterializzarsi.
Perchè con i compagni che sbagliano c'è sempre quel po' di affetto dei vecchi tempi.
Lo sapete che per altri avrei detto Sbranati dalle lumache.
Il Pd no.
Semplicemente, vorrei alzarmi domani mattina e scoprire che non ci sono più.
Sotto i tappeti, negli armadi, nella bouvette di Montecitorio, da nessuna parte.
Spariti, con un inchino, lasciando spazio a chi ha voglia di fare politica, invece di questa schifezza immonda della realpolitik.
Il Pd che sparisce, come David Copperfield. Il mago, non il bambino.
Sarebbe lo spettacolo dell'anno.

mercoledì, dicembre 30, 2009



PENSIERI SPARSI NELL'ULTIMO POST DELL'ANNO


Il Circolo Luogo dell'anima si prepara ad ospitare il suo primo capodanno: avevamo quaranta posti disponibili e abbiamo 52 prenotati. Sarà un capodanno da Guinnes dei primati, del tipo In sessanta in una cabina telefonica mentre suonano la tromba.
Però l'importante è che stamattina siano arrivate le sambuche, lo zedda piras, gli amari, i passiti, gli spumanti e il vino rosso: siamo ufficialmente pronti.

Dei 52 posti prenotati, una marea sono i miei amicici che sono carini e vengono tutti al Circolo anche se non garantiamo sulla cottura dei tortellini, sulla presenza delle sedie, sul riscaldamento, sul ripieno del pandoro. Perchè siamo un Circolo, mica il FrecciaRossa. Noi facciamo il nostro, lo facciamo come viene e ammettiamo le imperfezioni. E' una filosofia di vita che adoro.

Sono andata nel mio negozio preferito ("le follie intime di P.") e ho comprato un paio di calze che Signora mia. Perchè va bene lavorare, ma capodanno è capodanno. Neanche quell'anno in Val di Susa avevo ceduto agli scarponi.

Mi hanno raccontato che i Circoli a capodanno sono come la Scuola Diaz al G8: fuori dalla porta si appostano l'igiene, i vigili, la finanza, finanche il Bava Beccaris per fare le pulci a noi poveri sfigati. Ammetto che mi è venuta un po' l'ansia. Mi giurate che non proverete ad entrare senza tessera?

Ieri ho letto fino a tardi, come amo fare quando sono in vacanza, e sono finalmente, finalmente riuscita a finire Quasi un'estate di Lia Levi.
E' bellissimo e triste. E' un libro che è una piuma. E' un racconto che si appoggia dritto dritto sul cuore, come il racconto di una nonna.
Io mi sento di consigliarvelo come il libro dell'inverno 2010.

Così, il prossimo post sarà l'anno prossimo.
E di solito a questo punto si scrive di quello che ci si aspetta e di quello che si desidera.
Io, non so, mi sembra che ho già lasciato scorrere fin troppa tristezza con il post delle conserve, e se adesso mi metto a fare l'elenco dei desideri finisce che sembro un libro di Danielle Steel e voi avete il diritto di uccidermi.
Quindi niente desideri.
Li lascio chiusi nei barattoli, tanto non c'è neanche nulla di particolarmente originale.

Io, se c'è una cosa che mi piace da morire di questo capodanno, è che suona per due ore mio fratello. Due ore dico io, lui dice molto meno, ma secondo me poi lo pungoliamo sull'ego e si mette ad inanellare decine di bis imprevisti.
C'è che spero di poterlo sentire, mio fratello che suona, e mi piacerebbe anche fare un pezzo insieme. Anche se lui è un mese che fa le prove ed è bravo, e io non ne ho fatta neanche mezza e sono molto meno brava di lui.
Ma anche in questo, non siamo mica il FrecciaRossa.
Io continuo a pensare a quale canzone vorrei fare con mio fratello domani notte e quelle che mi vengono in mente sono troppo difficili.
Tipo Il bacio sulla bocca di Fossati.
Allora, farò come al karaoke.
Sbircerò nella scaletta di mio fratello e sceglierò la canzone alla mia portata.
Forse.
Se non canto vuol dire che sto affrontando il Bava Beccaris della finanza, sotto lo sguardo dello Spirito Guida Giovanna Marini.

lunedì, dicembre 28, 2009



Se dovessi dire, e lo dirò, alla pissipissibaucologa cosa mi sembra di aver imparato da quest'ennesimo anno di analisi, direi che ho imparato il Piacere del Privato.
La bellezza nascosta di tenere le cose per sè, di scegliere cosa dire e se dire e quanto, dire, di tutto quello che succede.

Paradossalmente tutto questo si lega al buco che siamo riuscite a fare nel tubo di ottone dentro cui scorrono le mie emozioni - dalla testa al cuore, dal cuore alla pancia, dalla pancia alla testa - in un turbinio ininterrotto e invisibile.
Con la pissi abbiamo fatto un buco, in questo tubo, e adesso addirittura succede che in seduta io pianga.
Ci ho messo quasi tre anni ad imparare a piangere.

Non potete immaginare quanta resistenza io abbia fatto per impedire che venisse fatto un buco al mio tubo dei sentimenti.
Ho schierato tutta l'armata rossa sulla linea del confine e ho fatto tripli sei per due anni, per impedire l'accesso alla pissi.
Poi, quando alla fine ha vinto lei - che sarebbe bravissima ai tavoli di Texas hold'em - ho improvvisamente scoperto che la costruzione di una valvola di sfogo dei sentimenti non ha provocato, come immaginavo, un arcobaleno di segreti, ma piuttosto delle piccole conserve di vita che decido se e quando regalare.

Come al solito, sono fuori tempo, fuori luogo e fuori moda.
Che questa è un'epoca a cui si contano i brufoli sul culo. In cui il privato è fuori moda come il comunismo e le tasse.
Ma io sto scoprendo che ci sto bene, con i segreti. Non l'avrei mai detto.

Le conseguenze sul blog, mi rendo conto, ci sono.
Che il Grande Fratello fa più audience.
Però, insomma, uno dei compiti del 2010 è quello di riuscire a scegliere le conserve di vita da spalmare sui post.
Scegliere, che non è la stessa cosa che travasare.

Ho un mare di progetti, per il 2010, e su ognuno di questi pesa l'assenza dell'unica persona con cui avrei voluto condividerli.
L'accettazione della solitudine non è cosa banale, dopo 28 anni vissuti incessantemente in condivisione.
Ma sui tappi delle mie conserve, per ora, non c'è spazio per nessun altro nome che non sia quello dell'Omm della Tempesta, che ha attaccato etichette in tutte le parti della mia vita, prima di farsi buttare fuori.

Il mio cuore di due misure più piccolo, da quando l'omm della tempesta è andato via, è una delle cose che escono piano piano dal buco del tubo.
Una volta non l'avrei ammesso neanche a me stessa, questo dolore.
Invece c'è, e Dicembre è il mese peggiore per la sofferenza.
E anche le conserve migliori sono quelle che hai fatto in primavera.

sabato, dicembre 19, 2009

Nevicava. E io avevo sbagliato le scarpe




Non c’è modo di scaldare vico dolcezza.
Ieri, dopo aver camminato nella neve al ritorno dell’ultimo Fratelli Cohen, ho pensato che potevo chiudere a chiave in un cassetto l’ansia da conguaglio, e lasciare il riscaldamento acceso – seppur al minimo – per tutta la notte.
Nonostante questo, adesso sono rintanata sotto il piumone, facendo colazione ascoltando blues (I’m a hooooochie coooochie maaaan), senza avere la forza di uscire nel freddo gelo. E il gatto signor Siberia la pensa come me, che ronfa acciambellato accanto al motore del portatile.

Stanotte la neve si è ritirata con la stessa velocità degli italiani a caporetto. Rimangono coperti soltanto i vasi e la bicibellula. Troppa poca per fare a palle di neve e per costruire un pupazzo in cortile.
L’ultimo dei Fratelli Cohen non saprei dirvi di cosa parla. Di ebraismo, innegabilmente. Per il resto, non saprei. Qualcosa che mi ricorda i Buddenbrock ma anche le storielle di Moni Ovadia, un pezzetto di infanzia, una spolverata di woody allen prima maniera, un pizzico di Roth.
Un film da intellettuali di sinistra, comunque. I tre ragazzini dietro di noi, che avevano evidentemente sbagliato sala, facevano le ombre cinesi col proiettore pur di non fuggire.

E poi, è successa una cosa strana.
C’è un personaggio, nel film, che ad un certo punto si mette un cappello e sale su una canoa.
E io dico: “Minchia: l’omm della tempesta!”. E tutti ridono. E in quel momento, nel film, gli sparano.
Ma poi, cinque minuti dopo, il personaggio è vivo.
Allora noi abbiamo pensato che ho fatto succedere una scena del film che l’abbiamo vista solo noi, che ho attivato un’allucinazione collettiva con la mia rabbia.
Se andate a vedere il film anche voi, me lo dite se all’uomo ossessivo con il cappello sparano anche nella vostra versione?

Adesso mi faccio forza, mi vesto e esco.
Devo omologarmi alla massa e fare i regali l’ultimo sabato possibile.
Quando avevo del tempo libero, sempre che li prendevo in giro, quelli degli acquisti l’ultimo sabato pomeriggio prima di Natale.
Ho solo oggi, perché domani vado a lavorare ad una cosa che ho scoperto essere pagata dal figlio dell’uomo che non citerò qui, ma vi lascio il link alla sua foto e vi dico anche che è quel signore con cui Genova diciamo ha qualche conto in sospeso.
Non lui paga, domani; suo figlio.
Ma insomma.
Ho il dubbio di darmi malata.
Si che i soldi li prendo e non li do.
Si che se uno fa l'assessore alla cultura (sic) è ovvio che dia i soldi e che quindi se lavori nella sua città prendi i suoi soldi.
Ma cazzo, parlava del nostro progetto sul comunicato stampa.
Io con la coscienza fatico a venire a patti. E 500€ in quattro sono meno di trenta denari.
Se domani mi tende la mano cosa faccio?
Stanotte ho pensato che se succede, faccio finta che mi stia suonando il telefono e mi allontano.
Mi sembra l’unico modo per riuscire ad evitare la stretta di mano senza far scoppiare un casino galattico.
Ma se avete delle idee migliori avete tempo fino a domani mattina per suggerirmele.

venerdì, dicembre 11, 2009



Alla fine della giornata, sono andata al Jazz Club.
Senza cassiera che masticava caramelle al mentolo, ma con un clima da Parigi anni '50.
Con tutto, che entrare in un jazz club dopo la legge sirchia, lo senti che manca qualcosa. Un jazz club senza fumo di sigaretta è come il gelato di soia.

Il concerto, ed era giovedi, è cominciato alle 10.30, ha fatto anche una pausa di un quarto d'ora ed è finito all'una. E sono scappata prima dei bis.
Così la domanda che mi ronza in testa in questa mattinata improduttiva è: ma i jazzisti non lavorano? E i frequentatori dei jazz club?
Perchè io, invece, oggi sono la donna più rincoglionita del mondo. Sento la stanchezza che preme sulle tempie, e stasera ho il turno al Circolo Luogo dell'Anima.

Ieri ho aspettato tutto il giorno che le maestre dei 12 piccoli ariani si decidessero ad accorgersi che la scuola pubblica ci sta scoppiando sotto il culo, e quindi dichiarassero di aderire lo sciopero.
Questo le avrebbe fatte salire di qualche punto nella mia graduatoria ( come Calvin & Hobbes "Papà, devi fare qualcosa per migliorare le tue prestazioni..."), ma soprattutto mi avrebbe consentito di non andare a lavorare neppure io, che con un co co pro da educatrice, non posso aderire allo sciopero.
Invece la maestra, al telefono, ha risposto, anche un po' infastidita: "Sciopero? No, no, le lezioni sono garantite...".
Così tra un paio d'ore salirò sul treno con questa fastidiosissima sensazione da crumiro appiccicata addosso e me ne andrò dai 12 piccoli ariani a leggere un capitolo di Matilde, quello dove lei si ribella alla Signorina Spezzindue, la direttrice.
E poi faremo un lavoro sul coraggio e la rabbia.
Insomma, anche da crumiri si fa quel che si può.

Ieri pomeriggio, invece, mi sono concessa il cinema delle 5 con il KGgB.
E' un'idea bellissima, il cinema delle 5.
Credo che diventerà il mio must dell'inverno.
Ho visto Il mio amico Eric, che è l'ultimo di Ken Loach.
Del film posso dirvi
di andare a vederlo
di non aspettarvi chiossà che fotografia e regia e quelle altre cose da cinefili
però aspettatevi una grande storia
un grande messaggio
e soprattutto
un meraviglioso, bellissimo, adorabile Eric Cantona.
Che per chi non lo sapesse, come me fino a un'ora prima del film, è un calciatore svizzero di sinistra che ha giocato nel Manchester United.
Adesso non gioca più e nel film ha una meravigliosa barba incolta e una pancia da uomo alto e muscoloso che ha smesso di allenarsi.
Uno di quegli uomini che non pensi ce ne siano più, esattamente come Ken Loach.
E Invece, poi, a cercare tra le pieghe di un cinema delle 5 del pomeriggio si trovano e ti migliorano la giornata.

martedì, novembre 24, 2009


Qualche giorno senza scrivere e mi ritrovo con strati di cose di cui parlare, come la polvere sotto i mobili bassi.
E altrettante da fare.
Infatti, sacrificando come al solito il mio cervello al dio del multitasking, sto contemporaneamente caricando le foto dei giorni di lavoro al Circolo Luogo dell'Anima su facciabuco.

Ho letto da qualche parte che le attività in multitasking bruciano chili di neuroni nel cervello di bambini e adolescenti che neanche la ketamina. Forse, visto che ho una vita così, in costante multilivello, forse sarebbe il caso che mi informarsi su cosa stia succedendo a me. Che se finisce che mi brucio come un punkabbestia, allora forse meglio le droghe.

Ho finito Guerra agli Umani e ho iniziato un pippottone di mille pagine di Lucio Magri sulla storia del Pci.
Ma perchè? Chiederete voi. Perchè, perchè, Nessie, soffrire?
Infatti me lo sono chiesto anche io, ho letto l'introduzione e poi sono passata al Libro delle liste, dove scopri le dieci scene tagliate dei film, i personaggi storici con il naso più lungo e i venti seril killer più pericolosi.
La storia del Pci la lasciamo sedimentare qualche giorno sul comodino.

Però, parlando di libri, pensavo ieri, nel mio meraviglioso giorno di recupero, dopo una maschera viso, uno shopping da intimissimi (voi li distinguete il rosa antico dal rosa fumè?), dopo una firma nuova sul contratto nuovo della casa vecchia, dopo la pulizia di una casa che stava marcendo, pensavo ieri, nel mio meraviglioso giorno di recupero bevendomi una tisana agli agrumi di sicilia al bar di Feltrinelli leggendo le Fiabe raccolte da Celestini, pensavo che da adesso in poi, come titolo del post scrivo il libro che sto leggendo.

Perchè intanto mi fa piacere dirvi se è bello, se è brutto, se l'ho lasciato a metà secondo i Dieci Comandamenti del Signor Pennac.
E poi, anche, perchè è uno specchio dell'anima, quello che leggi: se ti sembra brutto, se ti sembra bello, se lo leggi in due ore, se lo trascini come il mantello del Re Cetriolo in un'agonia di pagine. E, per inciso, il libro di Celestini non l'ho mica comprato al Supermercato di Feltrinelli, bensì alla mia piccola libreria preferita che sta al lettore come un cucciolo caldo alla felicità.

E così pensavo a questa piccola novità da blog, mentre bevevo la tisana, leggevo Celestini e mi preparavo spiritualmente alla prima lezione del ritorno della Nessie al Softball.

Perchè si, sono tornata a giocare.
Cioè, giocare.
Diciamo che sono tornata a correre sulle basi nella maniera migliore possibile, e cioè facendomi male ad un piede già dal primo allenamento.
Però, geniale.
E' stato un flashback pazzesco. Lo stesso campo e gli stessi guantoni di dieci anni fa. Lo stesso vento freddo, lo stesso sudore gelato, la stessa vibrazione dolorosa sulle mani quando, del tutto casualmente, riesci anche a battere la pallina.
Per fortuna, però, nessuna vecchia compagna di squadra rimasta uguale o morta per morte un po' peggiore.

Ma la squadra, ah, la squadra è un'accozzaglia meravigliosa di vite improbabili.
Ve le racconto domani, per dare il giusto peso alla cosa.
Vi dico solo che navigo, al solito, nell'improbabilità.
E questa volta mi sono pure tirata dietro il KGgB.

E la foto all'inizio del post?
La foto è la quota di follia del Lavoro più bello del mondo bis.
Venerdi partiamo con una macchina piena di materiali improbabili per portare la nostra mostra al museo di Pesaro.
Tra i materiali, 25 cuscini lasciati ad ammuffire per un anno nella casa di campagna del Pastore.
I cuscini, lavati e centrifugati, occupano adesso il cortile di Vico Dolcezza, sotto lo sguardo critico del Gatto Signor Siberia.
Pesaro.
Macchina.
Venerdi.
Ora che ci penso dovevo prenotare un Car Sharing.
Ovviamente, non l'ho fatto.
Io lo odio, il multitasking: finisce sempre che lascio indietro qualcosa mentre stendo 25 cuscini con le scimmie.

mercoledì, novembre 18, 2009



Tra il cervello e la mano di pestalozziana memoria, la sottoscritta ha sempre preferito il primo.
E guai a voi se ci vedete un doppio senso.
Una creatività teorica e grandemente teorizzata, accompagnata da un saper fare relativo: una brutta grafia, un disordine costante, una lontananza dal trapano e dal martello misurabile in ere geologiche. Parecchie difficoltà con il lego, un po' meglio con la sua versione autistica: il fascistissimo meccano.

Sono stata accompagnata da una delega costante all'agire pratico per quasi tutta la mia vita.
A me sembrava che metterci le idee fosse già abbastanza: che la pratica ce la mettesse qualcun'altro.
Da qualche mese, invece, ho dieci dita che hanno ritrovato la sicurezza in loro stesse. Forse hanno finito l'analisi anche loro.
La mia fricchettona preferita dice che mi sono riconnessa con luoghi della mia anima che avevo sepolto sotto metri di teoria.
Voi materialisti ( col vistro chiodo fisso) prendetela un po' come volete, però è vero che finalmente ho dieci dita che fanno qualcosa di più che scrivere e sfogliare le pagine di un libro.

Ieri, ad esempio, ho dato prova di eroismo pratico.
Ho guidato un furgone. Tutto io, tutta da sola.
Un furgone che non aveva lo specchietto retrovisore.
Che era alto qualche decina di metri.
Che era largo come una portaerei.
Che era pieno di pesantissimi legni: il paradiso del castoro.
E che andava parcheggiato con una manovra difficilissima tra due minuscole macchine.
L'ho fatto.
Ho fatto anche una retromarcia difficilissima, presa per il culo da un intero cantiere di operai.
Si, va bene, ho rigato la macchina entrando nel parcheggio.
Ma poco.
E poi sono macchine del car sharing: la scarsa abilità dell'autista è contemplata nel contratto.

Domenica scorsa, invece, mi sono vestita con una tuta bianca - che era da prima del g8 che non lo facevo più - e ho dipinto di giallo becco d'oca tutta una stanza del nostro nuovo circolo. Tutta da sola, che non c'era nessuno.
Il giallo becco d'oca è uno di quei colori che vedono solo le femmine e gli architetti.
Adesso ho un paio di scarpe giallo becco d'oca e un paio di jeans giallo becco d'oca. Perchè la tuta bianca non serve a ripararsi davvero. Avremmo dovuto ricordarcelo, al G8.
Comunque c'è un'intera stanza del nostro futuro circolo, quello si candidato a diventare il nostro luogo dell'anima, tutta dipinta da me medesima.
E un soffito sul quale ho sparso manciate di colla con una pennellessa per evitare la sfarinatura.
E una cucina ripulita da tutte le sue muffe e da tutti i suoi insetti.
Tutto fatto dalle mie dieci dita risorte.

C'era un capitolo, in centomila gavette di ghiaccio - librone moralmente massacrante sugli alpini in russia - in cui un soldato non ce la faceva più a camminare e chiedeva al Maggiore cosa poteva fare, che il piede sinistro non lo sentiva più. Il Maggiore lo fa sedere sul carro, gli fa togliere lo scarpone sfasciato e il piede è blu.
Allora il Maggiore gli dice di fare penzolare il piede giù dal carro e di farlo fregare nella neve. Piano piano, il freddo e l'attrito risvegliano la circolazione del piede sinistro e il soldato, come si diceva in un altro libro, arriva a baita.

Ecco, io mi sento così.
Che sono su un carro e sto facendo pendere tutte le dita per farle sfregare contro la neve. E loro piano piano si risvegliano e ricominciano a giocare.