martedì, dicembre 30, 2008



Caro piccolo anno nuovo,
qualche mese fa avrei scritto una lista lunga chilometri di desideri per il 2009.
Tutta un'intricata ferrovia di desideri a partire da gennaio per arrivare a dicembre.
Ma poi è successo che invece del futuro ci si è sgretolato un po' di presente.
E questo mio mondo intorno - quello piccolo, il mondo delle mura domestiche - ha bisogno di un treno merci di sostegno.
Allora, caro piccolo anno nuovo, facciamo che chiedo una sola cosa per il 2009.
E non la scrivo neanche, tanto lo sai cos'è.
Tu semplicemente comportarti meglio del tuo predecessore.
Che tanto, peggio è praticamente impossibile.

martedì, dicembre 23, 2008


Ultimo giorno di lavoro.
Ero qui che pensavo a cosa regalarvi per Natale, drammaticamente senza idee.
Ed ecco che quel genio di eziomauro mi è venuto in aiuto.

Buon Natale, cari lettori.
Sotto il vostro albero l'inchiesta di oggi in apertura di Repubblicait.

"....Il futuro impossibile degli under 35. Sono tre milioni i lavoratori a termine privi di ogni tutela giuridica. Flessibilità significa che è più facile assumere. Il problema è che adesso stiamo vedendo il rovescio della medaglia: è più facile anche licenziare. "

Meglio tardi che mai, ezio!

lunedì, dicembre 22, 2008



"...alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò..."

"Bleah, basta con questa canzone, io ne so un'altra!"

" E quale canzone sai? dai che la cantiamo con i tuoi compagni"

"Fa così: areareareareareare oh - arearearearearearae oh - iririiririri i - iririririri i ..."

(il piccolo A. , 6 anni e il cd dei blues brothers in macchina)

domenica, dicembre 21, 2008



Io non lo so se voi avete una fobìa. Una fobìa di quelle serie, di quelle che non si governano, che si fanno cose da imbecilli fuori controllo, in totale balìa della paura ingiustificata.
Io ce l’ho.
La mia fobìa si chiama I ratti.

Se voi non abitate in una città di porto, diciamo Napoli o Marsiglia, secondo me non potete capire del tutto cosa voglia dire essere rattofobica a Genova.
E’ come essere terrorizzati dagli orologi a cucù a Zurigo.
I ratti, a Genova, sono così tanti che vivono in tripla, spese escluse.

Le fobìe, chi ce l’ha lo sa, attraversano varie fasi.
Una decina di anni fa, la rattofobia mi faceva piangere. Vedevo un ratto a distanza di chilometri, mi piantavo in mezzo alla strada e giù lacrimoni silenziosi ma inarrestabili. Quando finalmente mi calmavo, cambiavo strada.

Poi sono passata al metodo Ray Charles.
Se vedevo un topo, o se solo sapevo essere nelle vicinanze di un qualche condominio topesco, chiudevo gli occhi e mi lasciavo guidare da qualcuno fin dall’altra parte.
La mia autonomia, s’intende, ne risentiva.
La fase Ray Charles era quella che mi faceva sentire più stupida di tutte. Mi comportavo così da scema che sembravo bionda.

La terza fase, recentissima, e successiva al primo anno di sedute dalla pissipissibaucologa, è stata l’autocontrollo. Finchè non vedi un topo vai. Se lo vedi, cambia strada respirando profondo. Se ne vedi un altro cambia strada ancora e così via. Era il metodo Pollicino. Ed ero già molto fiera di me.

Poi, stasera.
I primi tre passi da sola, dopo aver salutato l’amicaE, e un topo mi attraversa la strada a pochi metri.
Un topo relativamente piccolo. Diciamo che un miope avrebbe potuto confonderlo per qualcos’altro. Uno molto miope. Molto miope e valdostano, forse. Uno di Marsiglia, per quanto cecato, avrebbe detto “et voilà, un rat”, ma insomma.
Penso a quel punto di cambiare strada. Poi respiro profondo, e faccio un altro passo. All’istante, attraversa un altro topo. Stesse dimensioni. Stessa direzione.
Io sento distintamente la mia voce che dice “E che cazzo però!”.
E ho fatto un altro passo.
Poi l’ho detto di nuovo, mica lo so perché, “E che cazzo, però!”.
E ho fatto un altro passo.
A quel punto, a diciamo tre metri da me, spunta fuori la mamma di tutti ratti, ovviamente sempre incinta.
Enorme.
Anche un valdostano miope avrebbe fatto un salto indietro.
Il miope di Marsiglia avrebbe sparato.
Io ho fatto un salto indietro.
E mi sono uscite le lacrime.
E il sudore freddo alla schiena, che è una cosa fastidiosissima.

Già pensavo al giro lungo.
Ma poi ho detto “Vaffanculo!”.
Ho detto proprio forte “Vaffanculo”, e questa volta lo so perchè l’ho detto.
Perché nel frattempo pensavo Che cazzo, soltanto questa settimana ho scoperto di essere sottopagata, ho subìto la più grossa delusione d’amore della mia vita e ho accompagnato mia madre a fare la chemio. Adesso è venerdi. E non sarà uno stronzo di topo a farmi paura.

E così ho detto di nuovo Vaffanculo, forte, e ho proseguito.
Con le lacrime. E i sudori freddi. E camminavo come se dio mi stesse tirando i capelli.
Ma sono arrivata a casa.

giovedì, dicembre 18, 2008


Si, sono un sacco di soldi.
Ma sono 24 pagine scritte da Andrea Baiani, Stefano Benni, Mihai Butcovan, Massimo Carlotto, Ascanio Celestini, Vincenzo Consolo, Sandro Dazieri, Valerio Evangelisti, Dario Fo, Giulio Laurenti, Daniele Luttazzi, Paolo Nori, Ermanno Rea, Tiziana Rinaldi, Alessandro Robecchi, Domenico Starnone, Vauro.
E poi, se Il Giornale costa 1 euro, quanto volete pagare per il Manifesto?

martedì, dicembre 16, 2008




Io sto evitando di pensare al Capodanno, il più possibile.
Perchè io sento le scadenze, piango ai compleanni, mi deprimo ai Capodanni. Non è che riesco a fare finta che sia un giorno come un altro. Il capodanno mi impone l'eleganza e l'accerchiamento di masse festanti. I Capodanni mi impongono di verificare l'andamento della mia vita, contro la mia volontà.
Così alla fine cedo alle feste e poi passo il tempo a  fare Buster Keaton  appesa alla lancetta della mezzanotte.
Però quest'anno, che non so se si noterà di più il mio scazzo se vado ad una festa, se non ci vado o se ci vado e mi metto in un angolo, ho deciso che non mi preoccupo e mi concentro su Pasqua.
Perchè, a differenza di Capodanno, a Pasqua so cosa fare.
E Pasqua non impone nessuna verifica.
Ho un programma bellissimo, per Pasqua.
La pista ciclabile più lunga d'Europa, 326 chilometri, Passau-Vienna, il corso del Danubio, tutta pianura.

Sono già d'accordo con l'Esperto di Uova, che è un altro che basta parlare di viaggio e gli si illuminano gli occhi, e gli si annullano i doveri.
Sicuro che andiamo.

La pista ciclabile Passau-Vienna è la tappa certa nell'infanzia dei piccoli crucchi, come per noi il parco di Collodi, Gardaland e Pompei.
I piccoli crucchi, a cinque anni li piazzano sul sellino, e via a farsi i muscoli fino a Vienna. Polpacci teutonici, rauss.
In estate, la Passau-Vienna per le biciclette è come la Salerno-Reggio Calabria per le macchine. Ma senza buchi.
Io e l'Esperto di Uova cercheremo di driblare la massa evitando l'estate, ma sfrutteremo invece l'inquietante propensione alla perfezione dei crucchi usando ogni singola piazzola per tende, ogni colazione in B&B, ogni bagno pulito.
Treno più bicicletta fino a Passau, il Danubio chilometro per chilometro e all'orizzonte Vienna in primavera.

Sogno una comitiva di improbabili ciclisti mediterranei, con la ridotta nel cuore e l'acido lattico che urla. Sogno una partenza di massa, io, l'Esperto di Uova e tutti voi che vi volete accodare, che carichiamo la bici sul treno per Passau, che scendiamo dal treno e iniziamo a passarci la borraccia all'altezza di Linz come Coppi e Bartali. 
E per tutti immagino una maglia rosa porcello.
Vorrei qualcuno che fa il bandito, qualcuno che fa il campione, qualcuno il pirata.
Vorrei tutti noi che cantiamo superandoci sulla pista.
E che poi ci fermiamo per il tramonto.
Vorrei qualcuno che gli si buca la gomma e noi che la ripariamo con il cevingum.
Vorrei, che è un progetto bellissimo per aspettare il 2009.
E se non avete una bicicletta, questa non è una buona scusa.
Attualmente, neanche noi.
Di tutte le cose noiose di questo tempo, che piove e non nevica, e piove e ripiove, essere in ufficio con una maglia umida che puzza di muffa è la peggiore.

lunedì, dicembre 15, 2008


Un nervoso così, un nervoso da guardare negli occhi un pittbull aggressivo e dirgli Cazzo vuoi? non lo avevo da anni.
Ci penso e mi dico anche che forse è sano, che magari per la stessa cosa due anni fa mi sarei erosa gli zigomi con fiumi di lacrime e singhiozzi, invece questa volta mi incazzo e va bene così.
Rimane il fatto che, adesso che ho controllato, fatto e rifatto i conti, chiesto al Padreterno dei contabili, adesso sono proprio proprio sicura che ho bisogno di un secondo lavoro.
E infatti sono incazzata.
Ma cosciente.
E produttiva.

Così ho fatto la lista di schindler delle cose che escludo dal mio futuro lavoro pagnotta, per salvare me stessa dall'autocombustione.


Sono sicura che il mio lavoro pagnotta:
Non avrà a che fare con i bambini. Neanche da lontano. Neanche fritti.

Non avrà a che fare, in generale, con sfigati e problematici. Niente affidi educativi, niente ripetizioni a ritardati mentali dell'istituto nautico, niente cani con due zampe da portare a pisciare.

Sarà un lavoro piccolo, se dio vuole: mi servono 200 euro al mese, mica 2000. Un lavorino ino ino, insomma.

Possibilmente sarà una cosa che la faccio mentre non penso. Che mi metto lì e semplicemente eseguo. Qualcosa come cucire gli orli, ad esempio, o fare le treccine da africana alle adolescenti bianche. Giusto per fare pallidi ed inutili esempi, nel caso vi fosse venuto il dubbio che io ne sia realmente capace.

Sarà, per forza, un lavoro che lo posso fare quando riesco, non quando devo. Con delle scadenze ma senza orari.

Ma no, non mi metterò a vendere yerba life, e non andrò in giro con una spilla con scritto Ho perso 30 chili, chiedimi come.
E neanche cercherò di piazzare costosissime creme e preziosi sali da bagno a casa delle mie amiche.
Lo dico per tranquillizzarvi.
E no, niente siti per feticisti dei piedi, per quanto possa vantare un onorevole 36, perchè c'è qualcuno che c'è già passato e non me ne ha parlato bene.

Detto questo.
Escludendo anche la deratizzazione, nel caso vi fosse venuta in mente.
E lo scuoiamento dei pellami.
Qualche suggerimento?

venerdì, dicembre 12, 2008



Scrivo che puzzo di legna bruciata come un personaggio di Charles Dickens, dopo una mattinata al servizio del popolo manifestante, ad offrire the caldo vicino alla fiom che arrostiva le caldarroste.
Scrivo per voi che ve ne state a casa infreddoliti dopo il corteo, scrivo soprattutto per chi è stato dimenticato dai sindacati ed è dovuto andare a lavorare, per chi era malato ma sarebbe venuto. Un po' meno per quelli che il sindacato se lo sono dimenticato loro e sono andati a lavorare come fosse un giorno qualunque, come fosse un periodo qualunque, che si può ancora pensare solo per sè.

Scrivo con gli occhi che mi si chiudono, che ho dormito tre ore, perchè ieri è stata una delle giornate più orribili della mia vita. No, della mia vita no. Degli ultimi mesi forse neanche. Ma questo solo perchè gli ultimi mesi sono stati i peggiori di tutti. Diciamo che ieri è stata una giornata merdosa, nell'insieme delle giornate merdose.

Ieri mi hanno pagata.
Dopo tre mesi senza stipendio, io che facevo puffi ovunque, consegnando bigliettini della smemo con scritto Pagherò. Con le bollette accumulate, il frigo semivuoto, la pissipissibaucologa in stand-by.
Pagherò quando finalmente mi arriverà lo stipendio, c'era scritto sui miei bigliettini.

Lo stipendio ieri è arrivato, ed è meno di quando lavoravo nel call center.
Io pensavo che più in basso del call center non ci potevo arrivare, e invece si che si può, basta lavorare nel sociale.

Io come ci sono rimasta male ieri non lo potete sapere.
Sapere che ho uno stipendio annuale ai limiti della social card.
E che pensavo di no, pensavo che i soldini fossero di più, perchè avevo chiesto a qualcuno ancora più svagato di me, scema anche io però, si, ma tant'è che non me l'aspettavo.

Così ora lo so che il lavoro più bello del mondo non lo si può fare da solo, che è il più bello del mondo ma va accostato ad un lavoro pagnotta qualsiasi, nelle ore buche, in pausa pranzo, la sera.
Nel week end no, perchè di week end lavoro già.

Sapere che il lavoro più bello del mondo paga meno di un call center, ecco.
Perchè io sono Biancaneve, come al solito.
Penso che mi basta poco, che mi accontento di poco, che io non ho bisogno del ristorante il sabato sera.
Ed è vero che non ne ho bisogno.
Ma io penso che 1000€ al mese, siano veramente la soglia minima che dovrebbe essere garantita.
1000€ e basta. Sono Biancaneve, non Bakunin: non mi sembra una rivendicazione così rivoluzionaria.

Speravo finalmente in tre o quattro libri al mese, una casa in affitto, le bollette, un paio di scarpe, pagare la pissi, qualche giorno di vacanza, fare i regali di natale.
Per queste richieste, che non sono disposta ad abbassare ulteriormente, mi servono 1000€ al mese.
1000€ al mese, il lavoro più bello del mondo non me li dà.
Non mi dà la tredicesima.
Non mi dà la disoccupazione.
Non mi dà neanche un contratto, per ora, mi dà le prestazioni occasionali.

Allora ieri ero depressa all'idea di un secondo lavoro.
E all'idea delle rinunce.
E all'idea di quello che pesano le scelte.
E la coerenza, come pesa.
Ero veramente depressissima. Ero depresserrima.

Ma soprattutto ieri notte ero stufa.
Stufissima di essere sottovalutata.
Stuferrima.
Stufa di accontentarmi sempre, di essere considerata parzialmente.
Che brava che sei, eh, sei bravissima. Bravissima da 900 euro al mese.
Che bella che sei, eh, bellissima. Bellissima da fidanzata part time, in condivisione, in attesa.

Ecco, è questo.
E' che io valgo di più. Valgo più di 900 euro, valgo di più di un'attesa, valgo più di un amore part time.
Così ho scritto alla mia capa, le ho detto Va bene, morirò per delle idee: da questo lavoro non me ne vado anche se ho scoperto che non posso viverci.
Ma che sia chiaro che non me lo posso permettere.
E che per restare io ipoteco il mio tempo libero, ipoteco le mie necessità e la mia stanchezza. Pur di restare, troverò un lavoro pagnotta che non pagherà la mia competenza, ma almeno pagherà.
E resto perchè ci credo, e quando ci si crede si rinuncia, anche.
Ma che sia chiaro che io valgo di più.

L'ho scritto a lei, l'ho scritto a chi mi tiene in stand-by affettivo.
Ognuno ha le sue ragioni, ma io ho le mie.
Posso morire per delle idee, di morte lenta, ma perlomeno consapevole.

mercoledì, dicembre 10, 2008

L'invidia della Nessie per la neve

martedì, dicembre 09, 2008

Verità lombarde


Non guardate mai un film di Fassbinder tra le tre e le cinque del mattino.
In generale, non guardate mai un film di Fassbinder.
I popcorn al burro non si digeriscono.
Milano vuota di gente, con il sole, non sembra Milano.
Ma neanche Parigi.
In effetti sembra soltanto Milano, vuota di gente, con il sole.
Le nutrie non fanno schifo come i ratti.
I fiumi hanno un ascensore.
La mostra "Magritte e la natura" non merita il prezzo del biglietto.
Ma se te lo offrono, si.
I milanesi, per saltare una coda, dicono tutti di conoscere il vicesindaco.
Il sindaco non dice di conoscerlo nessuno. Forse la Moratti non ha potere sulle code.
I controllori del tram, a Milano, si muovono in branchi da undici.
Non illuderti di esserti risolta le cose solo per il fatto di pensarti una donna razionale.
Il basilico, a Voghera, si compra in vaschette di plastica. Senza terra. Lo dico per quelli che pensano come me di poter fare il pesto in Lombardia.
Esiste un film di Bertold Brecht con regia di Fritz Lang. Ed è bellissimo.
Non farti mai influenzare dal brutto nome di ristorante.
Ma neanche ingannare dalle foglie che coprono la luna.
La luna, in Lombardia, si apprezza a fette.
C'è un'altalena nella nebbia.

lunedì, dicembre 08, 2008



Non si deve temere la luce del sole 
con la scusa che è servita quasi sempre 
a illuminare un mondo miserabile 

(R. Magritte, 1946)                     

martedì, dicembre 02, 2008



Non è che potessi dire che non me l'aspettavo per niente.
Non era da Partigiano di Riferimento sparire così, per mesi.
Sempre che ci siamo scritti e telefonati Pronto, sono Angelo. Con la voce tremante, inconfondibile. Quel suo darmi del lei i primi tempi: Dottoressa, sono Angelo. E io: Professore, come sta?
Fino a quando, davanti a uno spitz non mi ha detto Se lei non si offende, potremmo anche darci del tu.
E così è stato, e il tu cambia un sacco di cose, apre nuovi canali. La trasformazione dagli aggiornamenti lavorativi ai racconti privati.
Fino ai suoi venirmi a prendere in Stazione Centrale, mettersi a braccetto per un sostegno galante, e portarmi a pranzo fuori - Offro io, non si discute, e se non prendi il dolce mi offendo.

Era già quasi caldo, che ci siamo visti l'ultima volta, e ho fatto tardi all'appuntamento con Stakanov.
E quando Stakanov è venuto lui da me, perchè io e il partigiano eravamo a metà delle chiacchere, uno accanto all'altro facevano ridere. Angelo in piedi, a stringere la mano a Stakanov, Stakanov un po' in imbarazzo, come sempre lui.
Davide e Golia che si danno del lei, rigorosamente galanti.

Stakanov è l'unico ad avere incontrato il mio partigiano di riferimento.
Perchè tutti voi, invece, lo conoscevate solo dai miei racconti.
A quanti l'ho detto, di quando ha rinunciato all'ospitalità svizzera per tornare alla Resistenza, di quando poi è andato a spalare le macerie la domenica dopo una settimana di lezioni, di quando ha resistito allo sgombero della polizia, di quando sono entrati a cercargli i fucili sotto la cattedra. E del suo astio contro Togliatti.
A quanti l'ho detto, della depressione nel vedere la sua milano sfiorita, del suo maggiolino in garage con cui aveva promesso - a me e a Stakanov - di portarci sul lago di Lugano.
Un uomo che a sentirlo parlare, uno si immagina spalle larghe afflosciate dagli anni, mentre il mio partigiano di riferimento era un uomo elegantemente magro, con le mani lunghe, da professore, con il fisico asciutto, da camminatore.
E con l'intelligenza acuta, la passione per Tolstoj, le citazioni a fior di labbra tremolanti.

Ci siamo visti l'ultima volta che non faceva ancora caldo, e ai primi caldi è morto.
Ma io, che ho rimandato la telefonata, mese dopo mese, perchè prima ci sarebbe stato da dirgli che Stakanov mi aveva lasciata - al di là della sua pessima premonizione da bar, con occhiolino, in cui mi aveva detto Vanessa, si vede che siete felici - e poi tutte le difficoltà del riavvio del lavoro, e poi il Festival della scienza, e poi soprattutto la notizia della StregaNocciola, insomma, rinviavo. Perchè io sono pessima, nel dare le cattive notizie.
E poi perchè le telefonate col mio partigiano di riferimento andavano fatte al momento giusto, con la calma giusta, la giusta capacità d'ascolto.

Così ho rimandato fino a quando non ho composto il suo numero, e l'ho trovato disabilitato.
E ho scritto al suo migliore amico, ma già lo sapevo.
L'alternativa era che fosse malato, lontano da casa sua. Ma francamente non so se il mio partigiano di riferimento l'avrebbe preferito.
Se è morto ai primi caldi, è morto prima di stare male.
Non so, insomma.
Meglio così, per un uomo che non ha smesso fino all'ultimo di pescare pratiche di vita dal fondo di uno zaino perso sul confine nell'inverno del 1944.

lunedì, dicembre 01, 2008



Ognuno ha il suo posto dell'anima.
Il mio posto dell'anima, il resto del mondo un po' lo odia.
E' la Lombardia.

I posti dell'anima non è che bisogna andarci a vivere.
Sono quei luoghi dove senti il bisogno, fisico, di andare. Per un pochino, per qualche giorno. Tutta la vita, no.
Io un po' sono appesantita dagli eventi, in questo momento.
Non affaticata, non proprio triste, un po' appesantita.
Sento le cose che succedono, le cose da fare, bloccate lì sullo stomaco come il cotechino con le lenticchie.
Per digerirle, Gaviscon e Lombardia.

Perchè poi in Lombardia succedono delle cose strane, a chi vi elegge il suo luogo dell'anima.
C'è stata una volta che la domenica mattina mi sono trovata in un'aula a discutere del futuro del futurismo.
Un'altra, all'improvviso, alla mostra di Bruno Munari.
C'è stata la volta del lago di como ad agosto che sembrava novembre.
E il mio primissimo spettacolo teatrale.
C'è stata la volta che ho fatto indiana jones nel fiume.
E lo sciopero degli autobus con tutti i milanesi appiedati e incarogniti.
Ricordi d'infanzia a parte.
E a parte i mille cortei.
Ci sono state tutte le interviste ai partigiani, che mi hanno cambiato la vita.
E il prete filippino che cantava Baglioni al karaoke.
Quella volta che abbiamo fatto le sette del mattino discutendo Andy Wharol si o no. E poi abbiamo fatto colazione.

Ho quattro giorni di Lombardia che mi aspettano.
E voglio tornare qui dopo aver fatto due cose importanti.
La prima è prendere un treno per omegna e andarmene al Parco della Fantasia Gianni Rodari, e poi dirvi com'è. Che poi a Omegna c'è anche il lago.
La seconda.
La seconda è che raccolgo il coraggio e chiamo il mio Partigiano di riferimento.
Non lo sto chiamando, lui non si è più sentito.
Ho un po' paura che sia l'ennesima pessima notizia del 2008.
Ma raccolgo il coraggio.
Lo chiamo.
E se va tutto bene, vado a fare un giro in maggiolino con lui.