sabato, aprile 23, 2011



ULTIMO REPORTAGE

Ultimo reportage.
Domani Quell'Uomo prende due aerei e torna a casa.
Da Lampedusa si è spostato a Palermo, da dove - come ha sintetizzato uno dei poliziotti, riconoscendolo - sta facendo il tour dei CPT.

Le notizie non sono buone.
I tunisini sono divisi in due gruppi: quelli arrivati prima del 5 aprile, che hanno ricevuto il permesso temporaneo, e quelli arrivati dopo, che aspettano l'espulsione.
E mentre i Salvati aspettano il permesso cartaceo girando liberi, i Sommersi rimangono invisibili e chiusi nei centri.
I Salvati, tanto per chiarire fin da subito la vita che li aspetta, lavorano in nero e a giornata nei campi intorno al centro, o come muratori.
I Sommersi non li può avvicinare nessuno.
Ma i Salvati dicono dei Sommersi, che nei CPT la quotidianità è scandita da atti di autolesionismo e da tentativi di suicidio.
E girano voci di cibi corretti costantemente con calmanti.
E di un diciasettenne tenuto in isolamento, in attesa di un compleanno che gli permetterà di essere trattato come un adulto. Cioè espulso.

E mi piace ricordarlo, perchè tendiamo a dimenticarcelo.
Espellere le persone, vuol dire come minimo condannarle a (non) pagare per un'intera vita il debito contratto per venire qui (come massimo, invece, vuol dire rimandarli in braccio alle persone da cui stanno scappando: polizia corrotta, servizi segreti...).
Per quella che si vorrebbe una giovane democrazia, anche se sembra che in Tunisia poco sia cambiato, non si potrebbe immaginare un inizio peggiore.
Un paese dove i maschi giovani tornano, se tornano, portando con sè solo il fallimento e un gigantesco debito, è un paese in cui a rinforzarsi sono soltanto le mafie.

E intanto, qui, a proposito di mafie, noi non sappiamo nulla.
Notizie a spizzichi e bocconi che danno la misura di un paese passivo e disinformato - il nostro, questa volta - dove le notizie non si riesce ad averle neanche andando sul posto.
Di una storia, quella delle migrazioni del 2000, che probabilmente sapremo prima o poi ma non ora.
Perchè ora noi stiamo qui, indignati e forzatamente inattivi, a sentire le stronzate di Giovanardi che dice che l'ikea è anticostituzionale.
Un paese, frontiera del mediterraneo, che si occupa delle pubblicità dell'ikea.
Che voglia di 25 aprile.



giovedì, aprile 21, 2011

QUINTO REPORTAGE INDIRETTO DA LAMPEDUSA

Nel frattempo Quell'Uomo si è trasferito a Palermo per organizzare presidi e monitoraggi nei CPT.
Invitato dai compagni del forum antirazzista e dai soci del Circolo Arci Malussène.
Circolo Malaussène e circolo Belleville. Non potevamo non incontrarci.

Prima di partire per Palermo, Quell'Uomo mi ha mandato le ultime impressioni su Lampedusa.
Il segno distintivo sembra sempre essere la disinformazione e la separazione.
Un ragazzo, scappato dal centro, si è costituito con l'intenzione di fare domanda d'asilo.
I poliziotti gli hanno sequestrato il telefono e il numero dell'avvocato con cui si era messo in contatto e hanno riso davanti alla sua richiesta.
Per fortuna, alcuni membri delle ong aspettavano notizie dal ragazzo e si sono insospettiti per il silenzio.
Così, hanno iniziato a fare domande, ricevendo soltanto risposte elusive.
Ma la situazione si è sbloccata soltanto quando la madre del ragazzo ha mobilitato un gruppo di giornalisti che hanno a loro volta sostenuto la causa, minacciando di parlarne.
La domanda è stata fatta.
Insomma, il quarto potere continua a far paura, finchè ci saranno giornalisti che non si accontentano di un comunicato stampa.

Ma la domanda è la stessa dello scorso post.
E tutti gli altri?
Quelli che la madre è in tunisia, che non incontrano le ong, che non arrivano ai giornalisti?
Tutti parlano di una legge non scritta di Maroni che ha invitato i militari e i poliziotti alla disinformazione e, di fatto, all'illegalità, perchè fare domanda di permesso di asilo, è un diritto.

Quell'uomo parla di un'Ellis Island mediterranea.
Con un sindaco indagato per concussione che è arrivato a scrivere un regolamento comunale che prevede una multa per chi espleta i propri bisogni fisiologici per strada e che contemporaneamente non dispone la presenza di bagni chimici.
Il riassunto potrebbe essere: per pisciare torna in Tunisia!

Insomma, si resiste e si lavora in venti per garantire i diritti ad un solo ragazzo.
Lo slogan del g8 era: siamo il primo movimento che non combatte per sè stessi ma per gli altri.
A dieci anni di distanza, mi sembra da una parte ancora più vero, ma dall'altra ancora più falso.
Perchè garantire i diritti ai migranti significa combattere per loro, ma anche per noi.
Per non vivere in un paese dove un decreto non scritto può bollare un intero popolo come "non degno".
In un paese che decide dall'alto quale popolo ha accesso ai diritti e quale no.

lunedì, aprile 18, 2011


QUARTO REPORTAGE INDIRETTO DA LAMPEDUSA

Ci sono delle cose che si possono raccontare facilmente anche per interposta persona.
Altre è più difficile.
Questa è difficile, perchè alla fine, per fortuna, non è successo niente.

Il niente che è successo è che Quell'Uomo e i compagni del forum antirazzista sono stati portati ieri notte in commissariato.
Prima, era successo un altro niente.
E cioè che, finalmente, era stato concesso loro di parlare con un gruppo di tunisini.
Loro avevano parlato.
In arabo, ovviamente, e questo aveva insospettito alquanto i poliziotti.
Perchè non parlate in francese così capiamo anche noi?
(Da cui si evince la necessità di mediatori culturali per le forze dell'ordine e non nelle, forze dell'ordine).

Insomma, il niente è che Quell'uomo e gli altri ragazzi hanno parlato con i tunisini, li hanno consigliati sulle procedure burocratiche e si sono fatti raccontare da dove venissero e come stessero.
E poi sono andati a mangiare la pizza.

Ma un paio d'ore dopo, il loro appartamento è stato perquisito, alla ricerca di armi e esplosivi, che ovviamente non hanno trovato.
E dire ovviamente, dopo le finte molotov alla Diaz, è un azzardo.
Poi, Quell'uomo e gli altri ragazzi sono stati portati al commissariato.

C'è che ognuno ha dei nervi scoperti.
Dei punti sensibili che è bene individuare, se si vuole davvero fare del male, senza per questo arrivare al dolore fisico.
Per Quell'Uomo, che è nato in Italia con un nome e dei geni tunisini, che ha sperimentato la diversità quando in Italia ancora non c'era la Lega, il nervo scoperto è il razzismo.

Subire un paio d'ore di attacchi e cattiverie razziste da parte di un alto esponente delle forze dell'ordine, è un dolore che non fa tanta notizia.
E' un dolore che è difficile da raccontare, perchè a noi sembra poco.
Dici No, no, non l'hanno picchiato, e sembra che vada bene così.

E invece no.
Non solo perchè il dolore degli altri è dolore a metà.
Ma anche perchè, provate ad essere ingenui, per una volta.
Ad essere ancora democratici con fiducia.
Provate ad immaginare di essere italiani con orgoglio, che è una di quelle cose che sono rimaste soltanto alle seconde generazioni.
Provate a pensare di essere in un paese normale.
E in questo paese normale, un alto funzionario vi sottopone a razzismo verbale per due ore.
Vi dice Peccato che tu abbia la cittadinanza, che non si può togliere o strappare come un permesso di soggiorno, altrimenti ti rispedivamo al tuo paese.
Immaginate che però il vostro paese sia questo, perchè ci siete nati, perchè ne parlate la lingua, il diletto, perchè siete italiani, in tutto e per tutto.

E poi, fate un altro sforzo.
Pensate invece di essere tunisini.
Tunisini al cento per cento. Nati a Sfax, emigrati a vent'anni.
E di trovarvi nella stessa situazione.
Ma senza un avvocato, che invece Quell'Uomo aveva.
E senza tutti i dirigenti nazionali della più grande associazione d'italia che ti chiamano il giorno dopo per sapere come stai e se hai bisogno di qualcosa.
Sentendovi in difetto.
Perchè questa è un'altra delle conseguenze viscide del razzismo: ti fa sentire in difetto, come se fosse una colpa. Anzi, come se fosse colpa tua.
Senza una fidanzata a casa da poter chiamare, che sa dove sei e cosa sta succedendo.
E soprattutto con un permesso di soggiorno, quello si potenzialmente annullabile per mano di chi ti sta accusando senza ragioni.
Pensate a quanto sareste deboli, e ricattabili.
Questo è quello che succede, continuamente.
A persone che non conosciamo e di cui nessuno parla.

Che sia successo a Quell'Uomo lo ha reso una notizia.
Sono arrivati i giornalisti, e i poliziotti, grazie all'avvocato, si sono scusati.
Formalmente e personalmente.
Hanno schiacciato due o tre tasti dolenti, ma poi è finito tutto lì.
Davvero, a raccontarlo, non è successo niente.

Ma credo possa aiutare a riportare le ingiustizie sul giusto piano.
Siamo abituati ad un mondo così schifoso, che diventa un'ingiustizia se ti ammazzano.
A volte se ti picchiano, ma tanto.
Il razzismo verbale è poca cosa.
Ci siamo abituati.
Poliziotti razzisti? Ma dai, che scoperta.

Le ingiustizie non sono soltanto ingiustizie.
Sono la cartina di tornasole di un paese.
Non è successo niente.
Ma è un niente che in un paese democratico non dovrebbe succedere.
Ed è un niente che, per molti, è l'anticamera di un rimpatrio.
Permesso di soggiorno revocato, e via.
Un paese di serie b, dove i diritti sono labili, e la quotidianità violenta.

Io credo che dobbiamo fare una cosa, tra le tante.
Dobbiamo incominciare a riabbasare la soglia di tollerabilità alle ingiustizie.





domenica, aprile 17, 2011


TERZO REPORTAGE INDIRETTO DA LAMPEDUSA

Giornata di passaggio a Lampedusa, un po' perchè è domenica, un po' perchè la militarizzazione si rinforza ogni giorno che passa.
Il circolo intorno al quale si concentra l'opposizione lampedusana - il circolo Askavusa - è stato perquisito, così come il furgone di Alex che io mi immagino come il drugo del Grande Lebowski perchè è un esponente (l'esponente?) dell'associazione Kayak per il diritto alla vita, volontario anche lui a Lampedusa.

Polizia e militari l'hanno trovato a dormire nel suo furgone, l'hanno perquisito, hanno smontato pezzo per pezzo il furgone alla ricerca di armi, gli hanno sequestrato il materiale informativo che aveva prodotto e l'hanno interrogato per ore.
Sono cose che ti fanno ben sperare, per la sicurezza di questo paese.

Del resto, la militarizzazione è ormai tale che anche le associazioni accreditate - Medici Senza Frontiere, ad esempio - sono ormai praticamente tagliate fuori dal supporto alle operazioni di sbarco.
MsF, infatti, ha commesso l'errore di pubblicare un report veritiero sulle condizioni igienico-sanitarie dei centri d'accoglienza.
Ma dove pensano di essere, per parlare liberamente? In una democrazia?

Insomma, a Lampedusa si scopre cosa sta succedendo soltanto dai telegiornali.
Se ne parlano.
I parallelismi con il G8 sono troppo facili. Ma mi sembra che questa assenza di informazione - quella, almeno, nel 2001 abbondava - sia frutto soprattutto della sperimentazione de L'Aquila.
Non succede niente.
Ma come non succede niente? Gli sbarchi, i naufragi, i rimpatri.
Abbiamo detto che non succede niente..
Ma non è vero!
Si che è vero! Tu l'hai visto?
No
Allora non succede.

I lampedusani si adeguano, mi dice Quell'Uomo.
Non si vede più niente, non ci si preoccupa più.

A me, la notizia di MsF che si arrende è la notizia che fa più impressione.
Sembra assurdo che l'impotenza sia maggiore in una giornata qualsiasi in una democrazia occidentale, rispetto ad un intervento in zona bellica.
E questa volta non si può neanche dare la colpa a Bertolaso.

Insomma, non c'è niente da dire.
A Lampedusa si mangia il pranzo della domenica, si discute e ci si stringe, al circolo Askavusa.
A Genova si cerca di tradurre la sensazione di impotenza in un post.
Si fa quel che si può.
Già esserci.
Già parlarne.
Domenica di passaggio.

venerdì, aprile 15, 2011


SECONDO GIORNO

Io oggi non ho visto neanche un decimo di telegiornale.
Sono partita alle 6 per roma e sono tornata adesso, così non so se qualcuno abbia parlato di quello che ha visto Quell'Uomo a Lampedusa.

Quell'uomo ha visto arrivare la nave con ammassati i corpi recuperati in mare.

Tutti lì dicono che i naufragi dichiarati sono soltanto quelli che avvengono in presenza di testimoni. Di tutti gli altri non parla nessuno. E quando si parla di Cimitero Mediterraneo, la contabilità è impossibile.
Una Lampedusana ha detto a Quell'Uomo che ha giurato a sè stessa di non fare più il bagno in mare, da quando ha visto galleggiare accanto a sè due ragazzi morti.
E a questo si aggiunge il sentire popolare degli isolani che dicono di non volere mangiare più il pesce del loro mare, che si nutre di cadaveri.

Io credo che quando la gente si stupisce della forza solidale dei lampedusani - tutti ce ne stupiamo, anche Quell'Uomo - forse sottovalutiamo la forza profondamente umana di essere la frontiera di una tragedia.
Ci vuole la brutalità indegna della Lega, e non solo della Lega, per dipingere gli abitanti di Lampedusa come degli arrivisti preoccupati per il crollo del turismo
La gente ha paura di quello che non conosce. E dell'abbandono.

Io credo che tutti avremmo avuto paura, se avessimo abitato in un'isola abbandonata a sè stessa davanti all'arrivo di qualche migliaio di persone disperate, abbandonate e incazzate.
Io avrei avuto paura.
Ma non di loro. Dell'assenza di uno Stato con la S maiuscola, che intervenga, sostenga e aiuti, i siciliani come i tunisini.
Questo, i telegiornali e i politici si sono ben guardati dal dirlo.

Io oggi ero a Roma.
Dove il rappresentante di un comitato territoriale dell'Arci ha raccontato di aver accolto qualche decina di migranti in un circolo. E la gente aveva paura. Perchè ci hanno insegnato, ad avere paura.
Ma poi il circolo ha tirato fuori un calcio balilla.
I primi adavvicinarsi sono stati i bambini, che hanno giocato con i migranti.
I bambini, che sono maestri di tolleranza.
E poi, a seguire, tutti gli adulti.
E la paura è passata, grazie ad un calcio balilla.

Anche a Genova sta succedendo la stessa cosa.
La paura per l'arrivo di qualche centinaio di persone ha creato allarme e paura, perchè i giornali (un giornale, soprattutto) l'hanno fomentata, e con i giornali, la destra.
Ma gli italiani non sono questo.
Com direbbe quella filosofa di Jessica Rabbit, è solo che ci disegnano così.
Perchè conviene.
E, piano piano, gli italiani aderiscono. Sempre più soli e, quindi, sempre più razzisti.

Lampedusa dimostra che possiamo immaginarci diversi.
Solidali, innanzitutto, e coraggiosi.

Lampedusa è un'isola - mi dice Quell'uomo - che potrebbe essere la Tunisia.
Per l'estetica, per i colori, per il clima, per la cucina, per la cultura e per i tratti somatici degli abitanti.
Quell'Uomo - che è nato qui ma ha passato decine di estati a Kerkena - dice Mi sento a casa.
Questo, i lampedusani, mi sembra di capire, lo sanno benissimo.
Sanno ancora cosa vuol dire la fame, il sogno per un luogo migliore dove vivere, la fatica di una famiglia di pescatori in un mediterraneo che da una parte è stato trasformato in un supermercato e dall'altra in un cimitero.
Ed è in questo, e per questo, che si scoprono e si dimostrano solidali.
Ma anche i lampedusani, piano piano, aderiscono alla narrazione che fanno di loro. E l'isola è spaccata tra i razzisti e gli umani.

Le discussioni sono accese, con il valido aiuto dei militari e dei poliziotti che contribuiscono all'impressione di vivere in un carcere a cielo aperto, in cui sono all'ordine del giorno i trasferimenti con i ceppi ai piedi, dicono sempre gli isolani, e le perquisizioni a sorpresa, come è successo nella casa affittata dall'Arci.

E così, in un giorno triste, segnato da una nave che approda carica di cadaveri e dall'uccisione di Vittorio Arrigoni, l'unico modo in cui possiamo chiudere, è un'invito: restiamo umani.



giovedì, aprile 14, 2011

REPORTAGE INDIRETTO DA LAMPEDUSA n°1

Tre decolli e tre atterraggi e Quell'uomo è arrivato a Lampedusa.
Sceso dall'aereo, un gigantesco striscione bluforzaitalia l'ha accolto con un Benvenuti a Lampedusa!
In realtà, dice Quell'uomo, l'isola sembra genova durante il g8.
All'ora di pranzo non aveva ancora incontrato nessun isolano, ma soltanto poliziotti e militari.

Nella casa dove dorme - una casa affittata dall'arci, che non ha abbastanza soldi per comprare una villa e far sentire i volontari davvero lampedusani - fino a ieri sera dormivano anche due giornalisti free lance che non sono riusciti a riprendere assolutamente nulla di rilevante.

I due luoghi di sbarco sono costantemente presidiati e nessuno può avvicinarsi.
L'impressione che ho io, davanti ai racconti di Quell'uomo, è che la tesi sentita da più parti - e cioè che la crisi di Lampedusa sia stata voluta per giustificare l'allarmismo e spaventare chi dalla Tunisia stava decidendo di partire - sia confermata dal fatto che, adesso, tutto funziona regolarmente.
Se per tutto si intende, ovviamente, il fatto di far sbarcare le persone, metterle nei centri e rispedirle in Tunisia, senza controlli, senza valutazione delle domande di asilo.

L'isola, dice Quell'uomo, galleggia nella diffidenza.
Gli stessi migranti non si fidano l'uno dell'altro, perchè sembra che alcuni mediatori culturali siano di fatto spie della polizia. E che questo sia vero o falso, comunque la voce stessa basta a far chiudere in sè stessi tutti i migranti.
Perchè, fuori dai centri, qualcuno c'è.

Alì, ad esempio, che è scappato e adesso lavora dal Manolorda locale, che io ovviamente non ho visto, ma che mi immagino come un chiosco unto pieno di panini unti e di beck's in bottiglia, unte per osmosi.
Alì aspettava la madre, che è sbarcata ieri, e adesso si chiede come fare, per ottenere un permesso d'asilo, e invoca la croce rossa.
Quell'uomo traduce e si è già innamorato della storia di Alì, come giustamente deve essere.

Perchè insomma, a volerle vedere, Lampedusa galleggia anche sulle storie.
Storie di persone indebitate, di piccoli adulti con il peso di una famiglia sulle spalle, che hanno diverse ragioni per migrare come diverse sono le persone.
Storie che la militarizzazione impedisce di ascoltare, di raccogliere e di raccontare.
Perchè se uno ascolta una storia, poi finisce per innamorarsene. E a quel punto diventa difficile ostinarsi a dire Fora di ball.

mercoledì, aprile 13, 2011




Per ricominiciare a scrivere, dopo mesi di latitanza, ci vuole una grande ragione, o una ragione grande.
Così io avevo dei biglietti in mano per andare a fare una settimana di volontariato con l'arci a Lampedusa, e volevo raccontarvelo qui.

Poi è successa una cosa più grande. Anzi, due cose più grandi, ma qui parliamo solo della cosa grande del gatto signor siberia.
La cosa grande del gatto Signor Siberia è che quasi muore.
Lunedi notte aveva una vescica che era un palla medica e si lamentava troppo anche per essere un maschio.
E così l'abbiamo portato di corsa dal Veterinario Burbero che gli ha datto un'occhiata e ha commentato Ancora cinque ore ed era morto.
Così ci ha messo subito nella condizione psicologica giusta per osservare tutti i tentativi di sturameto - di cui tutti i primi assolutamente inutili - fino a quello definitivo, che ce l'ha salvato.

Salvato momentaneamente, come ci ha tenuto subito a sottolineare il Veterinario Burbero - che poi è anche il Mago della vescica - perchè bisogna anocra vedere se i reni hanno retto.

E così, riportato a casa il gatto signor siberia, addormentato, cataterizzato e con un collare che sembra La Voce del padrone ma con il cane dentro al grammofono, ho deciso che io non ci andavo, a Lampedusa.
E anche Quell'uomo non sapeva se andare, ma non aveva senso.

Intanto perchè andavamo tutti e due - tanto io, se c'è da farsi il culo in una situazione di merda sono felice come una cubista all'Hollywood - ma era soprattutto una cosa sua.

Poi perchè quello uomo è un 2G, come si dice.
Una seconda generazione. Nato qui da una famiglia tunisina, del primo tipo di emigrazione, l'emigrazione borghese di quarant'anni fa. Ma i 2G, sociologicamente, hanno questo. Un'empatia nei confronti del fenomeno migratorio, ben diversa da quelle delle Prime Generazioni. Quelle che, una volta stabilizzate, subito si fanno razziste. Come i calabresi leghisti, a Milano. Come i russi antipalestinesi, a Tel a viv. Come gli italiani che ce l'hanno con i cinesi, i russi, i sudamericani e i polacchi, a New York.

E allora, il mio 2G, che non solo è un seconda generazione, ma è il seconda generazione con il cuore più grande del mondo, da quando sono iniziati gli sbarchi, vuole andare giù a dare una mano.

Doveva essere una cosa che facevamo insieme.
E adesso che è appena partito, che non sarà neanche ancora sul Volabus, a quest'ora, ma, insomma,è partito.
Adesso che è partito a me dispiace tanto che non ci sono anche io, su quel Volabus, e non sarò a Lampedusa a scrivere questo blog da lì, a cercare di raccontarvi tutto quello che non ci dicono.
Mi dispiace ma penso che le Cose Grandi hanno la priorità, anche quando le Cose Grandi non ne parla il telegiornale.
Io, a casa, ho adesso delle Cose Grandi che non ne parla nessun telegiornale, ma io mi sento che ho da stare qui.

A salvare il signor siberia, intanto, che questa mattina alle 6, quando sono andata a vedere come stava, si è accoccolato sulle mie gambe, appoggiando solo la testa dentro all'imbuto e le zampe anteriori.
Ed è stato lì a tenermi stretta con le zampe.
Perchè lui, sul letto, nella notte, non c'era salito, anche se voleva le coccole, perchè in qualche modo lo sapeva che avrebbe fatto la pipì sul letto, e non ha voluto disturbarci.

Allora io mi dico che se un quadrupede di pelo può avere tutta questa attenzione, e se poi il quadrupede di pelo l'hai salvato due anni fa -nato il 25 aprile, trovato il 3 maggio. magro come un alpino tornato a piedi dalla russia - e lui ti ha scelto, se un quadrupede di pelo è una Cosa Grande di cui hai deciso di prendersi cura, rimanere qui era l'unica cosa che mi andava di fare.

E quell'uomo lì mi racconterà tutto al telefono, e io cercherò di scriverlo qui, a testimonianza indiretta.

E quindi, così, mi ritrovo a scrivere dopo tutto questo tempo, che volevo farlo parlandovi di pratiche di resistenza attiva, e mi trovo a parlarvi della pipì di gatto.
Però fidatevi, che ci sono delle volte in cui una bella testimonianza di Resistenza diventa prendersi cura di quelli che sono nati al 25 di aprile.