lunedì, giugno 14, 2010



Ieri sono tornata in vico dolcezza.
A prendere il mio fouton, il mio materasso del fouton, la mia lampada a canna da pesca.
Ho preso tutto, ed è stato bellissimo riappropriarmi delle mie cose, con un corteo di mezzo chilometro attraverso i vicoli per portarli a casa.
Io ho portato la lampada.
Un Uomo ha portato tutto il resto. Ha fatto il maschio alfa, su e giù dalle scale, e infatti oggi ha la schiena incriccata.

Però, al di là del fatto che adesso ho un vero angolo nessie in casa, che l'amiu mi ha portato via l'orrido divano a fiori con la stessa gentilezza e la stessa soddisfazione degli iracheni il giorno che tiravano giù le statue di saddam hussein.
Al di là del gusto di vedere morire il divano a fiori e risorgere il fouton.
Al di là di questo, c'è questa cosa, secondo me, che quando lasci una casa poi non dovresti mai tornare a vedere che cosa ne hanno fatto le persone che sono rimaste, o che sono entrate dopo di te.
Perchè è spiazzante.
E' come rivedere i bambini della tua classe diventati adolescenti.
E' come la mia alunna che mi chiede l'amicizia su facciabuco con una foto in minigonna e lo status "fidanzata ufficialmente".

Una casa che è stata tua ti aspetti sempre di sapere cosa ci troverai dentro, qual'è il cassetto delle posate, in quale angolo si è accumulata la polvere, cosa puoi fare, cosa non puoi fare.
Ieri ho scoperto che, per esempio, non c'è più neanche un cacciavite, in vico dolcezza. Non una brugola. Non una chiave inglese.
Non me l'aspettavo.
La mia Stanza delle cose da maschio, un corridoio impolverato e pieno di attrezzi, lampadine, chiodi e viti, è diventato il pulitissimo angolo dei saponi. E io e Un Uomo non abbiamo potuto smontare il fouton e l'abbiamo dovuto portare intero.

Però, in compenso, nel cortile di Vico Dolcezza, ci sono dei mobili bianchi da giardino. E chili di piante che sembra il vietnam.
Il mio cortile, sporco e vuoto, è diventato la descrizione iniziale di un libro di Kipling, con i mobili bianchi e vittoriani e le piante con i fiori.
Non è brutto, eh. E' soltanto un'altra cosa, e un'altra casa.

Dal portone verde, che ha ancora il mio cognome sulla cassetta della posta, non cerca più di scappare il gatto signor siberia. Che è ovvio che sia così: il gatto signor siberia vive con me e tutte le sue maledette pulci che se ne fottono del frontline, nella casa numero quattordici.
Però ho aperto la porta, e un pezzetto del mio cervello si aspettava il mio gatto pulcioso e coccoloso. Che invece non c'era.
C'era una buganville.

Io non mi affeziono ai luoghi.
Ci passo in mezzo, ai luoghi. Ci passo, mi fermo, poi cambio.
Non mi affeziono ai muri e non mi affeziono agli spazi.
Io mi innamoro dei tempi, e delle persone.
Però tornare a casa mia e scoprire che ha cambiato carattere è stata una cosa a metà fra il fastidio e l'insofferenza.

E' come un bambino che gli fai fare per anni delle cose bellissime, il bambino più creativo della classe, quello che disegna gli uomini a tre teste e i fiori che fanno il pane, e poi lo rivedi da grande, ed è un ingegnere sistemista.
Che non è che non te l'aspetti, non è che pensi che grazie alle tue attività bellissime, tutti i tuoi bambini diventeranno degli Einstein, delle Margherite Hack, delle Frida Kahlo o dei Neruda.
Però ti sembra uno spreco, ti sembra che non c'entra con lui, ecco.
Per le case è lo stesso.
Un po' per l'ovvio contrasto tra le tue scelte e quelle degli altri.
Ma quello va beh.
Un po' anche, però, perchè ogni casa ha un carattere, e ogni inquilino si illude sempre di averlo colto in pieno, solo lui. Che solo lui può capirla, comprenderla e viverla a pieno, quella casa.
E' la stessa illusione dei fidanzamenti. E dell'educazione.

Così, tornare in vico cioccolatte e vedere la buganville, i mobili da giardino, la credenza con il servizio di piatti, i libri in ordine d'altezza, io non lo so, mi ha fatto l'impressione di un ex fidanzato che si bacia con una donna più brutta di me.
Che è una sensazione precisa.
Un po' di superiorità, un po' di dispiacere.
Quell'idea latente che le cose finiscono con te, che dopo di te il diluvio.
Invece poi non è mai così, ovviamente.
Le case cambiano, gli ex fidanzati si baciano con altre donne.
Arrivano le buganville, spariscono i cacciaviti. E tu torni in un altro tempo, in un altro spazio, con un altro amore, portandoti via il fouton.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

A me questo restyling, da come lo hai descritto, non mi pare "abbruttente"... Certo, straniante, ma proprio non abbruttente. Poi se le metafore son metafore davvero, è tutto un altro mondo.

lanessie ha detto...

...dipende che opinione hai delle buganville...
E, comunque, l'ho detto che non è brutta, è solo un'altra cosa. E un'altra casa.

Fra ha detto...

che carino leggere questo racconto alle 7 di sabato mattina