mercoledì, maggio 13, 2009



Giuro, senza incrociare le dita, che non sono mai stata particolarmente affascinata dalla figura di Enrico Berlinguer.
Trovo magnifica soltanto la definizione che hanno dato di lui di “morto sul lavoro”.
Al di là dei miei sottopentola, non ho altissime opinioni dei segretari del Pci, in generale.
E non è neanche questione di dna che dici, sai, ti hanno tirato su alla festa dell’unità, qualcosa dev’essere rimasto.
In casa mia si cantava Bee bee bee berlinguer chi pecora si fa il lupo se lo mangia.
Quindi, esclusa una mia influenza di partito.

Religione men che meno.
Dei protestanti non ho particolari buone opinioni, esclusi gli ospedali e un singolo rappresentate di mia conoscenza.
Scartata quindi anche l’influenza della dottrina.

Perché, dunque, io mi ritrovi intricata in questa appiccicosa morale calvinista che mi rovina la vita, non riesco a spiegarmelo.
Forse è l’undicesima piaga dell’extraparlamentare, la dodicesima dell’ateo, dopo le scolopendre nel bagno e i capelli grassi.
Tutta la fottutissima morale, tutto il dannato ostinato rigore che il pci ha perso a manciate anno dopo anno, pezzo di muro dopo pezzo di muro, l’ho vinto io.
Hanno tirato su il mio numero durante i funerèl del berlinguèr, o forse ho perso a carte con Gianni lo spazzino con le carte da ramino, tra Bulogna e Sàs Marcòn.

E così eccola qui, la nessie, che porta avanti il suo senso del dovere spingendolo su per le salite, come uno stercorario la sua palla di importantissima merda.
Eccola, la nessie, che se sbaglia qualcosa si convince che finirà in un inferno a cui neppure crede.
Eccola, la nessie, che rinuncia ad un seminario con Ascanio Celestini perché, come sempre, aveva preso degli altri impegni per lo stesso week end. Impegni lavorativi, ovviamente. Perché, da buona calvinista, al resto rinuncio, ma al lavoro.
E non aiuta questo fottutissimo lavoro precario – a proposito di ottimi segretari di partito – che se appena cedo mi viene chiesto – carinamente, mi viene chiesto, con tenerezza anche - Ma se hai bisogno di più tempo per te, al prossimo contratto puoi anche scegliere un monte ore inferiore.
Certo che posso, guadagnando ancora meno, e quindi dovendo fare altri lavori, improrogabili, sovrapponibili a tutto il resto della mia vita.

Io sono stufa ed è tutto il giorno che mi viene da piangere.
Perché ci sono delle volte, lo confesso, che esplodo d’invidia per quelli che possono permettersi di formarsi piano piano, tra un seminario di Celestini e un viaggio a Parigi, fino ai trent’anni.
Non quelli che la formazione e le cose belle devono incastrarle nelle fessure della vita.
Ma poi, andando nel concreto, esplodo di invidia anche per quelli che sanno mandare a Fanculo il proprio senso del dovere, quelli che non è a loro stessi che rinunciano, fanno rinunciare gli altri.
Quelli che oggi alle ragazzine avrebbero detto Domenica prossima non ci vediamo per fare i biscotti, mi dispiace, è domenica, ho i cazzi miei da fare.
E non si sarebbero fatti conquistare, non avrebbero neppure notato i loro occhi delusi.
Li invidio, quelli che semplicemente spengono il cellulare e partono.

Io non ce la faccio.
Io penso che mi sono presa degli impegni.
Penso che ho dato delle garanzie.
Come i navajos che si fumavano il calumet e poi, finito il tabacco, venivano massacrati.
Io sono i navajos: credo nel calumet e alla parola data, e alla fiducia accordata, sempre ci credo, anche il giorno dopo Sand Creek.
E così rinuncio, mentre intorno la morale, ma neanche la morale, la coerenza, ma neanche la coerenza, mentre intorno tra il dire e il fare c’è di mezzo una seconda repubblica, io sono rimasta legata all’ostinato rigore dei miei partigiani.
Che studiavano di notte per andare a dare gli esami da privatisti, sapendo che li avrebbero passati comunque, nel ’47, se solo si fossero presentati con la fascia del CLN, e invece ci andavano in borghese, preparati su tutto, perché così nessuno potesse dire che i partigiani se ne approfittavano.
Così loro si sono sacrificati la vita a studiare molto di più di quanto non fosse necessario.
E poi tanto Andreotti li ha fottuti.
E Pansa li ha smerdati.
E Togliatti li ha venduti.
E loro, lì, a studiare per morale, per coerenza, per correttezza.

Io ho questo dannato ostinato rigore.
Vorrei dire che me l’ha trasmesso il mio partigiano di riferimento, ma non è vero, ce l’avevo anche prima.
Non me la scrollo via, che mi ha azzannato il polpaccio chissà quando, è un merdosissimo tafano, questa morale.
E’ un’appendice sempre ad un passo dalla peritonite, questa coerenza.

E così io domenica sarò a fare i biscotti con le ragazzine.
E sabato i comunicati da ufficio stampa.
E venerdi l’equipe, la progettazione, i recall.
E al seminario di Celestini ci andranno quelli che in culla è arrivata la fatina del menefreghismo, a fargli la magia.
E quelli che quando sono nati è arrivata la fatina democristiana.
E anche quelli che in culla li ha salutati la fatina frikkettona con la canna tra le labbra.
Io invece no, che a me mi ha fatto la magia la fata che non l’aveva invitata nessuno, la fata Ferrero: protestante e berlingueriana.

1 commento:

il lettore padovano ha detto...

così, senza starci a riflettere troppo, questo mi sembra il più bel post che tu abbia mai scritto