giovedì, aprile 21, 2011

QUINTO REPORTAGE INDIRETTO DA LAMPEDUSA

Nel frattempo Quell'Uomo si è trasferito a Palermo per organizzare presidi e monitoraggi nei CPT.
Invitato dai compagni del forum antirazzista e dai soci del Circolo Arci Malussène.
Circolo Malaussène e circolo Belleville. Non potevamo non incontrarci.

Prima di partire per Palermo, Quell'Uomo mi ha mandato le ultime impressioni su Lampedusa.
Il segno distintivo sembra sempre essere la disinformazione e la separazione.
Un ragazzo, scappato dal centro, si è costituito con l'intenzione di fare domanda d'asilo.
I poliziotti gli hanno sequestrato il telefono e il numero dell'avvocato con cui si era messo in contatto e hanno riso davanti alla sua richiesta.
Per fortuna, alcuni membri delle ong aspettavano notizie dal ragazzo e si sono insospettiti per il silenzio.
Così, hanno iniziato a fare domande, ricevendo soltanto risposte elusive.
Ma la situazione si è sbloccata soltanto quando la madre del ragazzo ha mobilitato un gruppo di giornalisti che hanno a loro volta sostenuto la causa, minacciando di parlarne.
La domanda è stata fatta.
Insomma, il quarto potere continua a far paura, finchè ci saranno giornalisti che non si accontentano di un comunicato stampa.

Ma la domanda è la stessa dello scorso post.
E tutti gli altri?
Quelli che la madre è in tunisia, che non incontrano le ong, che non arrivano ai giornalisti?
Tutti parlano di una legge non scritta di Maroni che ha invitato i militari e i poliziotti alla disinformazione e, di fatto, all'illegalità, perchè fare domanda di permesso di asilo, è un diritto.

Quell'uomo parla di un'Ellis Island mediterranea.
Con un sindaco indagato per concussione che è arrivato a scrivere un regolamento comunale che prevede una multa per chi espleta i propri bisogni fisiologici per strada e che contemporaneamente non dispone la presenza di bagni chimici.
Il riassunto potrebbe essere: per pisciare torna in Tunisia!

Insomma, si resiste e si lavora in venti per garantire i diritti ad un solo ragazzo.
Lo slogan del g8 era: siamo il primo movimento che non combatte per sè stessi ma per gli altri.
A dieci anni di distanza, mi sembra da una parte ancora più vero, ma dall'altra ancora più falso.
Perchè garantire i diritti ai migranti significa combattere per loro, ma anche per noi.
Per non vivere in un paese dove un decreto non scritto può bollare un intero popolo come "non degno".
In un paese che decide dall'alto quale popolo ha accesso ai diritti e quale no.

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