Nonostante tutto tengo fede:
Sto leggendo Cecafumo (Ascanio Celestini) e Il libro delle liste (D. Wallachinsky e A. Wallace)
Probabilmente perché era il primo pomeriggio davvero da sola dopo mesi.
(La Ragazza fuori moda a Sestri Pizza, nessun appuntamento, nessuno scrocchinquilino).
Sicuramente perché cucire è una di quelle attività a mezzo cervello.
(E l’altro mezzo fa il cazzo che vuole).
Perché il Gatto Signor Siberia è venuto a farsi fare le coccole e si è allungato in tutta la sua improbabile lunghezza.
(Niente come un cucciolo che cresce segna il passare del tempo)
Perché, di tutti i posti della casa, ero sul fouton
(…)
Magari c’entrano anche i Pink Floyd
(Ma fossero stati anche i Persiana Jones, Ivano Fossati o Miguel Bosè probabilmente faceva uguale)
E poi quegli aggiornamenti di stato su Facciabuco, immutati, sbruffoni, grandiosi, allegri
(E perché non lo cancelli da Facciabuco? Non lo so perché).
Insomma.
Mentre ero lì che cucivo l’orlo ai pantaloni, con i pink floyd, un gatto allungato, il fouton, ecco che il mezzo cervello è andato allo status grandioso, sbruffone, allegro dell’omm della tempesta su facciabuco, e la mia rabbia e la mia delusione hanno deciso di traslocare.
E invece di continuare a pesare sulle mani nel preciso impulso rabbioso del Se lo vedo lo picchio, lo picchio fortissimo, in quel momento sono risalite attraverso le dita, l’ago, il filo, i pantaloni e sono andate a depositarsi sullo stomaco.
Lì ho iniziato a piangere.
Come una scema, ho iniziato a piangere.
E il gatto Signor Siberia, alla terza fastidiosa lacrima che gli picchiettava sulla testa, ha pensato, da gatto, di spostarsi più in là.
In quel momento ho iniziato a piangere ancora più forte.
Io lo so che la Pissipissibaucologa oggi mi dirà che è sano che io pianga: Brava Vanessa, che accetta i dolori invece di nasconderli.
Ma a me, invece, a me non va di piangere per un uomo così, che è stato capace di farmi così male con una tecnica da Generale argentino. Un dolore quotidiano fatto di scientifiche mancanze e di sottili cattiverie, sempre come se avesse ragione lui, sempre a farmi sentire in colpa perché chiedevo troppo, perché non mi accontentavo mai.
Io non voglio piangere per un uomo così, perché neanche questo si merita, dopo la dolce tortura quotidiana che mi ha riservato per due anni,
E invece tutta la mia rabbia, di cui ero così fiera, così orgogliosa, tutta quella meravigliosa voglia di spaccargli la faccia se solo mi fosse capitato vicino, quella sensazione da Incontro Protetto che mi inorgogliva, ha fatto un triplo salto carpiato e ha deciso di costruirsi un nido nel mio stomaco.
E fa un sacco di male di più.
Mi fa piangere, e mi fa sentire una bionda scema.
Perché nello stomaco sono depositati anche tutti i momenti belli, che da buon Generale argentino l’omm della tempesta sapeva centellinare; e se la rabbia si mischia ai ricordi, e la delusione alle felicità, è un casino.
Perché quando tutto si mischia, ecco che dal casino risorge la Sindrome di Stoccolma.
E così sono qui che piango su un ricordo, uno, preciso, tra i tanti.
Il ricordo di quando la sera della mia festa di compleanno venuta male, lui non ha voluto uscire con noi, a mezzanotte, perché era stanco, ed era la mia festa di compleanno, e già non mi aveva fatto il regalo, ma ha detto che non usciva perché era stanco.
Quello è il momento in cui ho deciso che lo lasciavo. Proprio in quel momento.
Ma non gliel’ho detto, l’ho solo pensato che lo lasciavo.
E lui, mentre lo pensavo, mi ha preso per mano, mi ha guardato con la sua gentilezza Dottor Jackil e mi ha detto E se invece stasera rimani a casa e facciamo l’amore?
E io gli ho detto di no.
Perché avevo già deciso che lo lasciavo.
Ma soprattutto perché finalmente smettevo di dover scegliere tra lui e la mia vita. Gli offrivo di passare una vita con me, e invece per lui era un’alternativa: o lui o la mia vita. O io o la sua vita.
E allora lì gli ho detto di no.
E poi l‘ho lasciato.
Sto leggendo Cecafumo (Ascanio Celestini) e Il libro delle liste (D. Wallachinsky e A. Wallace)
Probabilmente perché era il primo pomeriggio davvero da sola dopo mesi.
(La Ragazza fuori moda a Sestri Pizza, nessun appuntamento, nessuno scrocchinquilino).
Sicuramente perché cucire è una di quelle attività a mezzo cervello.
(E l’altro mezzo fa il cazzo che vuole).
Perché il Gatto Signor Siberia è venuto a farsi fare le coccole e si è allungato in tutta la sua improbabile lunghezza.
(Niente come un cucciolo che cresce segna il passare del tempo)
Perché, di tutti i posti della casa, ero sul fouton
(…)
Magari c’entrano anche i Pink Floyd
(Ma fossero stati anche i Persiana Jones, Ivano Fossati o Miguel Bosè probabilmente faceva uguale)
E poi quegli aggiornamenti di stato su Facciabuco, immutati, sbruffoni, grandiosi, allegri
(E perché non lo cancelli da Facciabuco? Non lo so perché).
Insomma.
Mentre ero lì che cucivo l’orlo ai pantaloni, con i pink floyd, un gatto allungato, il fouton, ecco che il mezzo cervello è andato allo status grandioso, sbruffone, allegro dell’omm della tempesta su facciabuco, e la mia rabbia e la mia delusione hanno deciso di traslocare.
E invece di continuare a pesare sulle mani nel preciso impulso rabbioso del Se lo vedo lo picchio, lo picchio fortissimo, in quel momento sono risalite attraverso le dita, l’ago, il filo, i pantaloni e sono andate a depositarsi sullo stomaco.
Lì ho iniziato a piangere.
Come una scema, ho iniziato a piangere.
E il gatto Signor Siberia, alla terza fastidiosa lacrima che gli picchiettava sulla testa, ha pensato, da gatto, di spostarsi più in là.
In quel momento ho iniziato a piangere ancora più forte.
Io lo so che la Pissipissibaucologa oggi mi dirà che è sano che io pianga: Brava Vanessa, che accetta i dolori invece di nasconderli.
Ma a me, invece, a me non va di piangere per un uomo così, che è stato capace di farmi così male con una tecnica da Generale argentino. Un dolore quotidiano fatto di scientifiche mancanze e di sottili cattiverie, sempre come se avesse ragione lui, sempre a farmi sentire in colpa perché chiedevo troppo, perché non mi accontentavo mai.
Io non voglio piangere per un uomo così, perché neanche questo si merita, dopo la dolce tortura quotidiana che mi ha riservato per due anni,
E invece tutta la mia rabbia, di cui ero così fiera, così orgogliosa, tutta quella meravigliosa voglia di spaccargli la faccia se solo mi fosse capitato vicino, quella sensazione da Incontro Protetto che mi inorgogliva, ha fatto un triplo salto carpiato e ha deciso di costruirsi un nido nel mio stomaco.
E fa un sacco di male di più.
Mi fa piangere, e mi fa sentire una bionda scema.
Perché nello stomaco sono depositati anche tutti i momenti belli, che da buon Generale argentino l’omm della tempesta sapeva centellinare; e se la rabbia si mischia ai ricordi, e la delusione alle felicità, è un casino.
Perché quando tutto si mischia, ecco che dal casino risorge la Sindrome di Stoccolma.
E così sono qui che piango su un ricordo, uno, preciso, tra i tanti.
Il ricordo di quando la sera della mia festa di compleanno venuta male, lui non ha voluto uscire con noi, a mezzanotte, perché era stanco, ed era la mia festa di compleanno, e già non mi aveva fatto il regalo, ma ha detto che non usciva perché era stanco.
Quello è il momento in cui ho deciso che lo lasciavo. Proprio in quel momento.
Ma non gliel’ho detto, l’ho solo pensato che lo lasciavo.
E lui, mentre lo pensavo, mi ha preso per mano, mi ha guardato con la sua gentilezza Dottor Jackil e mi ha detto E se invece stasera rimani a casa e facciamo l’amore?
E io gli ho detto di no.
Perché avevo già deciso che lo lasciavo.
Ma soprattutto perché finalmente smettevo di dover scegliere tra lui e la mia vita. Gli offrivo di passare una vita con me, e invece per lui era un’alternativa: o lui o la mia vita. O io o la sua vita.
E allora lì gli ho detto di no.
E poi l‘ho lasciato.
Ma il mio cervello, che è stupido, ha catalogato quel momento tra quelli che non avrei voluto perdere mai, per la dolcezza e la passione, per la forza delle sue mani e per lo sguardo che l’omm della tempesta sapeva buttare sul piatto quando l’occasione lo richiedeva.
Anche se lì per lì ho saputo dirgli di no e uscire, anche se lì per lì tutta la sua dolcezza e tutte le sue mani aumentavano soltanto la mia rabbia, il mio cervello ha messo il ricordo nel cassetto sbagliato.
E per quanto adesso io mi sforzi, la razionalità è rimasta nelle dita, e nello stomaco è finito tutto il resto, nello stomaco è risorta la sindrome di Stoccolma.
La mia razionalità sa che anche quella era l’ennesima prova a perdere: da sola con lui, o da sola con gli altri. Insieme no, non era un’ipotesi contemplata da l'omm della tempesta.
Ma nello stomaco il ricordo del suo sguardo e delle sue mani bruciano come la cosa che non avrei voluto perdere mai, come l’ultimo passo sui carboni ardenti, come l’ultima figurina per finire l’album.
E quindi, scusatemi, niente squadra di softball, oggi.
Devo immancabilmente fare i conti con l’imbarazzante, incomprensibile e dolorosa imbecillità del mio stomaco.
9 commenti:
"Non ho mai permesso al mio stomaco di dirmi cosa dovevo fare", così dichiarava un'esploratrice inglese di cui ovviamente non ricordo il nome, una di quelle che agli inizi del secolo scorso andavano in giro da sole nei posti più ostili. L'ho sempre trovata geniale anche se, immagino, anche lei avrà avuto i suoi momenti di scoramento: ma arrivano e poi passano. Far da stampella ai narcisi, invece, è un dolore che rimane fisso.
:-)
Vado dal parrucchiere.
:-)
http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/tecnologia/disinstallare-amore/disinstallare-amore/disinstallare-amore.html?rss
Un link di repubblica! Ecco quello che può farmi stare bene!
:-D
...no, lo devo ammettere: articolo perfetto (anche se a conti fatti, ovviamente, inutile)
Non e' il cassetto sbagliato: e' che come essere umano anche tu come tutti sei drogata di emozioni.
Fica la cosa del generale argentino. E' proprio azzeccato. Succede, amica. Io mi associo alla Pissibau, ci vuole anche piangerci sopra. Lo stomaco no che non ci deve imporre le sue decisioni, sì, ma va lasciato sfogare, se no si ammala.
Di solito migliora coccolandosi: shopping, parrucchiere, potremmo organizzare una domenica tra ragazze alle terme... Doversi curare un dolore può avere i suoi lati positivi :-)*
Potevi parcheggiare la sofferenza dello stomaco e scoprire quanto può essere liberatorio battere la palla con la voglia di spedirla oltre i problemi...
Probabilmente, dopo, avresti ritrovato la sofferenza lì ad aspettarti, ma tu ci saresti risalita un pò più serena...
:)
piangere come una bionda scema e poi andare dal parrucchiere? C'est moi!!!
Je t'aime, con l'appoggio a distanza e un Currywurst in mano, tua Marlene
Grazie amici
:-)
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