Tra il cervello e la mano di pestalozziana memoria, la sottoscritta ha sempre preferito il primo.
E guai a voi se ci vedete un doppio senso.
Una creatività teorica e grandemente teorizzata, accompagnata da un saper fare relativo: una brutta grafia, un disordine costante, una lontananza dal trapano e dal martello misurabile in ere geologiche. Parecchie difficoltà con il lego, un po' meglio con la sua versione autistica: il fascistissimo meccano.
Sono stata accompagnata da una delega costante all'agire pratico per quasi tutta la mia vita.
A me sembrava che metterci le idee fosse già abbastanza: che la pratica ce la mettesse qualcun'altro.
Da qualche mese, invece, ho dieci dita che hanno ritrovato la sicurezza in loro stesse. Forse hanno finito l'analisi anche loro.
La mia fricchettona preferita dice che mi sono riconnessa con luoghi della mia anima che avevo sepolto sotto metri di teoria.
Voi materialisti ( col vistro chiodo fisso) prendetela un po' come volete, però è vero che finalmente ho dieci dita che fanno qualcosa di più che scrivere e sfogliare le pagine di un libro.
Ieri, ad esempio, ho dato prova di eroismo pratico.
Ho guidato un furgone. Tutto io, tutta da sola.
Un furgone che non aveva lo specchietto retrovisore.
Che era alto qualche decina di metri.
Che era largo come una portaerei.
Che era pieno di pesantissimi legni: il paradiso del castoro.
E che andava parcheggiato con una manovra difficilissima tra due minuscole macchine.
L'ho fatto.
Ho fatto anche una retromarcia difficilissima, presa per il culo da un intero cantiere di operai.
Si, va bene, ho rigato la macchina entrando nel parcheggio.
Ma poco.
E poi sono macchine del car sharing: la scarsa abilità dell'autista è contemplata nel contratto.
Domenica scorsa, invece, mi sono vestita con una tuta bianca - che era da prima del g8 che non lo facevo più - e ho dipinto di giallo becco d'oca tutta una stanza del nostro nuovo circolo. Tutta da sola, che non c'era nessuno.
Il giallo becco d'oca è uno di quei colori che vedono solo le femmine e gli architetti.
Adesso ho un paio di scarpe giallo becco d'oca e un paio di jeans giallo becco d'oca. Perchè la tuta bianca non serve a ripararsi davvero. Avremmo dovuto ricordarcelo, al G8.
Comunque c'è un'intera stanza del nostro futuro circolo, quello si candidato a diventare il nostro luogo dell'anima, tutta dipinta da me medesima.
E un soffito sul quale ho sparso manciate di colla con una pennellessa per evitare la sfarinatura.
E una cucina ripulita da tutte le sue muffe e da tutti i suoi insetti.
Tutto fatto dalle mie dieci dita risorte.
C'era un capitolo, in centomila gavette di ghiaccio - librone moralmente massacrante sugli alpini in russia - in cui un soldato non ce la faceva più a camminare e chiedeva al Maggiore cosa poteva fare, che il piede sinistro non lo sentiva più. Il Maggiore lo fa sedere sul carro, gli fa togliere lo scarpone sfasciato e il piede è blu.
Allora il Maggiore gli dice di fare penzolare il piede giù dal carro e di farlo fregare nella neve. Piano piano, il freddo e l'attrito risvegliano la circolazione del piede sinistro e il soldato, come si diceva in un altro libro, arriva a baita.
Ecco, io mi sento così.
Che sono su un carro e sto facendo pendere tutte le dita per farle sfregare contro la neve. E loro piano piano si risvegliano e ricominciano a giocare.
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