venerdì, maggio 28, 2010


Non è un paese per giovani

Quelle dell'Istat le chiamano fotografie, e la fotografia di quest'anno è quella di un paese che annega, con l'unica consolazione che in una foto non si può vedere l'acqua crescere di livello. Quando l'acqua comincia a salire, dentro una nave, si cerca di montare su tutto quel che si trova, così ci si arrampica sopra le sedie, sopra i tavoli, si cerca l'uscita. Poi, quando arriva la disperazione si comincia a salire sulle spalle degli altri, spingerli sotto per restare su, pronti a difendersi da quelli che a loro volta si vorranno salvare.


Ecco: l'Italia di oggi annegando è montata sulle spalle delle nuove generazioni. È così che invano cerca di respirare ancora un paio di volte prima di sentirsi l'acqua salire oltre il petto. Loro, quelli che chiamano i giovani ma che in realtà arrivano fino ai trent'anni, se ne stanno fermi in posa dentro la foto, con involontaria ironia considerati campioni statistici, campioni in realtà soltanto nell'essere i primi a finire con la testa sott'acqua.


Li definiscono i Neet (Not in education, employment or training), sono più di 2 milioni, e sono inetti di fatto, persone finite in bonaccia ancor prima di prendere il vento, sospesi in una zona di mezzo tra la fine della formazione e il non inizio della vita lavorativa. Nella fotografia se ne stanno lì, immobili dentro le case dei padri, a testimoniare la fine farsesca del concetto di proletariato: se per i proletari i figli erano l'unica risorsa, ora sono i genitori l'unica risorsa dei figli. I figli se ne stanno lì, in casa fino oltre i trent'anni, aggrappati alle mammelle sfinite di madri che non ne possono più, di sentirli tirare. Gli hanno detto che lo stato è una cosa anacronistica, passata di moda, che l'unico modo per tutelarsi è rivolgersi a mamma e papà. Così li vedono uscire la mattina e tornare la sera con un pugno di mosche, invitati a formarsi da un paese che al tempo stesso però prende a picconate ogni giorno la scuola, butta tutto alle ortiche, trasforma in carta straccia i diplomi di formazione avvenuta.


Quello che allarma ancora di più, però, in questa foto di gruppo scattata dall'Istat, è che non sono solo i più giovani, ad annegare. Che i contratti precari sarebbero stati l'anticamera del licenziamento nei momenti di crisi, era una macabra ma facile previsione. Che però a perdere il lavoro sarebbero stati anche quelli delle generazioni dei padri, cassintegrati, licenziati o invitati ad andarsene prima del tempo, quello era uno spettro che non si voleva vedere. Adesso però li vediamo, ci hanno scattato la foto, e possiamo inserire anche questa dentro l'album di questi gloriosi anni zero. La foto è quella di un paese in cui i giovani sono sott'acqua, e però l'acqua continua a salire, giorno dopo giorno di qualche centimetro.

E nessuno dice niente, nessuno che alzi la voce, che chieda di riavere quel che gli era dovuto. Perché quando si annega il fiato è prezioso, e ciascuno è impegnato soltanto a salvarsi.


Le istruzioni sono chiare: montare sulle spalle di un altro, spingerlo sotto, ogni tanto controllare se dalla bocca dei figli, a mollo poco più sotto esce qualche bolla. E se non esce, non è tempo di piangersi addosso.
(Andrea Bajani, da Il Manifesto, 27-05-2010)

giovedì, maggio 27, 2010



L’anno scorso, al salone del libro di torino, Furio Colombo rispose molto intelligentemente a chi chiedeva come frenare il populismo di Brunetta.
Lui, uomo della fiat, rispose che se un lavoratore può fare il “fannullone” (termine da orticaria) la colpa è dei suoi dirigenti. E che colpire il lavoratore è inutile populismo, mentre uno stato o un’azienda dovrebbe controllare e incentivare i propri dirigenti, in una catena virtuosa.

Oggi, per la seconda volta in due settimane, mi sono trovata di fronte ad un incentivo al brunettismo, che sono riuscita a combattere solo con forza d’animo e la posizione del loto.
Prima, per l’ennesima volta, i bidelli della scuola dei dodici piccoli ariani, ci hanno impedito di portare i bimbi in una classe più grande perché loro “non possono pulire alle quattro e mezza un’aula grande. Quella si pulisce all’una”.
Poi, i guardiani delle sale del museo in cui stiamo portando – gratis – le classi di questa città, hanno interrotto il laboratorio urlando e distruggendo il materiale didattico, con i ragazzi presenti, urlando che “Il museo è come una chiesa e voi siete profani”.

Questi bidelli e questi guardiani hanno dei direttori.
Che, davanti alle loro richieste di lavorare sempre meno, sempre nello stesso modo, mettendo le loro esigenze lassiste e psichiatriche davanti al benessere dei bambini, hanno dei direttori che davanti a questo modo sempre autoreferenziale, i cui non si può aiutare un bambino che vomita in bagno perché “non è tra le mie mansioni a contratto”, davanti a tutto questo, hanno dei direttori che chinano la testa.
Che non sono capaci di affrontare una mediazione, un sano conflitto, o anche uno scontro.
Dei direttori che non dirigono ma, al massimo, coordinano.

Io credo che ognuno, ogni lavoratore, abbia il diritto di fare richieste sul posto di lavoro.
Questo è quello che mi distingue da brunetta, tra le varie cose. Credo sia un diritto poter richiedere qualsiasi cosa, anche che vorresti essere accompagnato a casa tutti i giorni da una limousine con autista.
Ma poi, sopra al lavoratore, c’è un altro lavoratore, più pagato di lui, proprio perché gli è richiesta una visione d’insieme. Una capacità di mediazione.
Un direttore che dica La limousine non abbiamo i soldi per dartela. Ma magari possiamo mettere a rimborso l’abbonamento dell’autobus. Oppure neanche quello. Mi dispiace, abbiamo i buoni pasto.
Un direttore che dica I bambini vomitano. Cosa facciamo, se vomitano? Li lasciamo da soli? Oppure troviamo qualcuno, tra i bidelli, a cui faccia meno schifo e ci affidiamo alla sua competenza? Non avere schifo per il vomito è una competenza. Se non si può riconoscerla economicamente, lo si può fare socialmente. Spesso basta e avanza.

Ci vuole un direttore che sia abbastanza forte da far passare che la scuola non può privilegiare il benessere dei bidelli, se il loro benessere intacca quello dei bambini, che sono i destinatari del lavoro di tutti.
Un direttore che sia abbastanza lungimirante da dire che se i musei sono chiese, senza neppure promettere il paradiso, sono destinati alla morte nel giro di una generazione.
Direttori coraggiosi, riconosciuti, forti, accoglienti.

Non è questione di diritti sociali, sindacalisti, brunetta, privilegi o coglioni.
E’ questione che in questo paese si urla sempre contro l’impiegato delle poste e mai contro l’amministratore delegato.
E invece io trovo che non si possa pretendere da un bidello con la terza media, una vita di merda, uno stipendio da fame, un lavoro ripetitivo, un gruppo di colleghi disarmanti, non trovo che si possa pretendere da lui la comprensione del valore didattico di un’aula accogliente.
Ma pretendo che il suo responsabile, non solo lo capisca, ma lo difenda e trovi il modo migliore per equilibrare le esigenze di tutti.

martedì, maggio 25, 2010


ILLUMINANTE

- Buongiorno, siamo educatori del Comune. Stiamo passando da tutti i commercianti del quartiere per compilare un questionario sulla percezione di sicurezza. Possiamo rubarle un minuto?

(...)

- Domanda 3: "Ritiene che la presenza di migranti influisca sulla sicurezza del quartiere? a) influisce positivamente (mi sento più sicuro). b) non influisce. c) influisce negativamente (mi sento più insicuro)".

- Mmmm... allora... Io sono di destra. Quindi dovrei rispondere c. Però non è che sia cambiato niente, da quando ci sono gli stranieri, quindi dovrebbe essere b. Però sono di destra. Quindi rispondo c. Si, c.

lunedì, maggio 24, 2010



Pranzo a casa.
Ho una voglia di lavorare, in questo periodo, che mi sento un macellaio vegano.
Aspetto il ponte come neanche i mafiosi a Messina.

Sono tornata a casa a mezzogiorno e mezzo con un tale scorno da 40 ore immersa negli adolescenti, che avevo voglia soltanto di mangiare schifezze.
Un diavoletto sulla spalla, RonaldMacDonalds, mi sussurrava Pastazza unta, Kebab, Pizza con le patatine, Cocacola.
Ma sull'altra spalla è apparso l'angelo della dietologa, con tutta la sua forza d'animo.
Così ho appena finito di mangiare un piatto di fagioli al sugo.
RonaldMacDonalds è un peso piuma, nei combattimenti dell'anima.

Il gatto Signor Siberia si mangia con gusto il suo pollo e carote bio, gentilmente donato dall'Infiltrato all'AlmaNature.
Alla radio Caparezza canta Un vero uomo dovrebbe lavare i piatti, dovrebbe lavare i piatti, dovrebbe lavare i piatti. Che è la canzone della mia storia d'amore.

Stiamo facendo i conti per vedere se ci possiamo permettere Cuba a settembre.
Cuba a settembre è l'idea più bella dell'anno.
Intanto perchè secondo me a settembre non lo dicono ancora, che Fidel è morto e lo fanno sorridere con i fili appesi.
E quindi dovremmo ancora riuscire a scamparci la marea revisionista.
Poi perchè tutta la vita che voglio andare a Cuba.
E ho appena consegnato le mie impronte digitali allo Stato, pur di avere di nuovo un passaporto.
A questo punto, mi si impone l'uso: non sia mai che mi faccio schedare per niente.
E anche.
Che se qui va proprio di merda.
Che ci vendono i fiumi e l'arena di Verona alla Nike, grazie al federalismo.
Che la legge bavaglio ci dobbiamo tutti abbonare a Topolino, per avere qualcosa da leggere.
Che i tagli allo spettacolo, andremo tutti al bagaglino.
Che i tagli alla scuola non avrò più un lavoro, perchè quale progettazione didattica puoi fare se non hai nemmeno i soldi per la carta igienica?
E avanti così.
Se qui è così, Cuba diventa un'idea bellissima e importante.
Perchè posso andare là a raccontare come si vive in una dittatura democratica.
E magari ci danno due consigli.
Di nuovo.
(Companeros, esta vuelta prendes appunti, eh...)

venerdì, maggio 21, 2010

Un piccolo inizio


C’era una volta una cosa bianca, e nient’altro. Era perfettamente rotonda e dura. Ed era anche molto grande, un po’ più lunga che larga. Diciamo lunga circa dieci o dodici metri. Era un uovo.

Da dentro l’uovo qualcosa bussò sulla parete dura. Come quando qualcuno bussa a una porta. Nessuno disse: Avanti! o meglio Uscite pure! Nessuno aprì.
Era una piccola donna.

Ebbe bisogno di tutta la sua piccola forza per fare un buco nell’uovo. La piccola donna si arrampicò fuori, stando molto attenta a non rovinarsi la gonna nuova proprio il primo
giorno. Dietro di lei seguì un piccolo uomo e dietro il piccolo uomo una piccola casa molto ben arredata, un giardinetto con roselline e cavoletti di Bruxelles, un galletto, una gallinella, un cagnolino che abbaiava molto poco, una piccola moto piuttosto rumorosa. Poi vennero un boschetto, un venticello e un piccolo lago con una barchetta, un bambinetto e un panino un po’ morsicato.
E poi ancora e ancora tutto il resto del mondo.


(Storie della creazione
di Jürg Schubiger, Franz Hohler)

mercoledì, maggio 19, 2010



Quando ci penso, che il tempo è passato, le vecchie madri che ci hanno portato, poi le ragazze, che furono amore,e poi le mogli e le figlie e le nuore,femmina penso, se penso una gioia: pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,la partigiana che qui ha combattuto,quella colpita, ferita una volta,e quell...a morta, che abbiamo sepolta,femmina penso, se penso la pace: pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,che arriva il giorno che il giorno raggiorna,penso che è culla una pancia di donna,e casa è pancia che tiene una gonna,e pancia è cassa, che viene al finire,che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terracarne di terra che non vuole guerra: è questa terra, che io fui seminato,vita ho vissuto che dentro ho piantato,qui cerco il caldo che il cuore ci sente,la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l'umano, la mia compagna, ti prendo per mano.

(Edoardo Sanguineti)

martedì, maggio 18, 2010



Se ti svegli una mattina alle 8, dopo che ti sei addormentata alle 2, ti prepari in fretta e furia e ti precipiti ad una riunione. Scoprendo che non c'è.
Se ti capita d'inverno è una cosa orribile.
Urticante.
Che hai tutto il freddo addosso, e la voglia di piumone, e magari la pioggerellina.
Oppure se ti capita d'estate, di primavera, ma in un posto lontano. Che devi prendere una macchina, un treno, una moto, due autobus, per arrivare. E quando scopri che la riunione non c'era, ormai sei a distanza di macchina, di treno, di moto o di due autobus da qualsiasi alternativa.
E' insopportabile.

Invece oggi.
Che mi sono alzata alle 8, dopo essermi addormentata alle 2, ho svegliato Un uomo che era in recupero ma si è alzato lo stesso, mi sono preparata in fretta e furia, e mi sono precipitata ad una riunione che non c'era.
Ma fuori c'era il sole.
E io ero a chilometri zero da casa mia, da casa sua, dall'ufficio e soprattutto dal centro storico.

Un Uomo è tornato a riprendermi con le acciughe nel sacchetto per la nostra cena.
E ci siamo fatti una camminata nella luce del mattino dei vicoli, fino a casa sua, passando per un caffè al ginseng, per il ferramenta, per le commissioni, per l'edicola.
Chilometri zero, ma un sacco di metri sotto il primissimo sole di maggio, per quest'anno.
Stamattina era la bellezzia dell'errore.

domenica, maggio 16, 2010



Domenica sera, casa di Un uomo.
Fuori i sampdoriani suonano tutti i clacson del mondo, noi siamo appena tornati da un aperitivo su una terrazza bianca affacciata sul mare.
Siamo usciti dalla casa numero 14 alle cinque e mezzo, abbiamo pranzato alle quattro, abbiamo fatto colazione all'una e mezza, ci siamo svegliati all'una.
Alle cinque e mezza, appunto, mentre i primi clacson iniziavano a suonare, noi ci siamo divisi nelle due case per sfamare i reciproci gatti che ci fanno le scenate di gelosia a giorni alterni, e alla fine ci siamo lanciati in motorino, direzione mareggiata.

La terrazza bianca è un posto che appena viene il caldo è inavvicinabile.
Ma adesso, che tirava un vento freddo e maiale, è il posto più bello del mondo.
Perchè Un uomo ha sangue tunisino, ma gli piace il freddo.
Quindi adesso, la terrazza bianca - che un po' sa di Puglia, un po' di Grecia, un po' di Tunisia e un po' di Baltico - è il posto più bello del mondo, con il vento freddo e maiale, sia per me che per lui.

Il tavolino più esposto alla mareggiata era troppo anche per noi, ma abbiamo scelto quello subito dietro, e abbiamo preso un aperitivo montagna russa, con i muscoli tesi a scattare ogni volta che l'onda minacciava di travolgerci.
Però abbiamo vinto e siamo tornati a casa infreddoliti ma asciutti.

Adesso ci sono i Toto nello stereo.
Un uomo canta in cucina mentre prepara il secondo pasto della giornata, in coerenza con la mia curva glicemica.
Il gatto Trippa mi guarda dal letto.
E io mi ritaglio un quarto d'ora di blog per dire che ci sono delle domeniche che ne vale la pena.

giovedì, maggio 13, 2010



Credo che il 15 di maggio, sabato, finirà il mondo.
E credo che lo sappiano tutti, tranne me.
Forse l'ha detto Minzolini al telegiornale.
Perchè tutti, tutti, hanno il 15 come scadenza per tutte, tutte le cose da fare.
E quindi, o il 15 maggio finisce davvero il mondo.
Nel qual caso, bella fine di merda, con una mattinata nelle classi soffocanti di ormoni adolescenziali e in un museo di sabato sera.
E se non finisce il mondo, invece.
Almeno che finisca questa settimana

lunedì, maggio 10, 2010



Ho una schiena che sembro pagina cinque della Settimana Enigmistica (innumerevoli tentativi d'imitazione).
Unisci i puntini.
Ho uno sfogo che sembro Don Rodrigo.
Una situazione da Lazzaretto, seppur circoscritta tra la spalla e il centro della colonna vertebrale.
Bolle rosse spuntate tra giovedi notte e domenica mattine. Brutte e schifose.
Tra me, Un Uomo, il Farmacista, la mamma al telefono, l'amica figlia del primario le abbiamo ipotizzate tutte.
Ragnetti.
Pulci.
Zanzare.
Allergia.
Alla polvere.
Ai crostacei.
La bresaola del Circolo Luogo dell'Anima andata a male.
Il fegato impazzito.
Gli ormoni.
La peste bubbonica.
Il vaiolo.
La lebbra.
L'aids.

Il mio medico, via mms, ha decretato.
Herpes.

Domani vado a farmi vedere, che va bene la tecnologia e il nuovo millennio, ma vorrei una diagnosi a meno di un chilometro dalla malattia.
Però, se ci penso, ci sta perfettamente.

Giovedi notte è successo di tutto.
Ho parlato al telefono con l'omm della tempesta.
Ho litigato, con l'omm della tempesta.
Per le solite cose che sono tre anni che ci litighiamo sopra.
Da fidanzati, da non fidanzati, da lontano, da vicino, al telefono, nei paesi baschi, in lombardia, in liguria, via mail.
Le sue scelte infantili - dico io - la sua vita - dice lui.

Quando è finita la telefonata sono stata malissimo.
Malissimo che così male era dalla Varicella, forse.
(a proposito).
Che mi è caduto addosso tutto, Perchè telefonargli, perchè dovermi ancora occupare della sua infantile scelta di vita autoreferenziale - dico io - della sua felicissima vita nella solitudine dei boschi - dice lui? Perchè continuare a pensare, ancora, ancora, ancora, che prima o poi sarebbe tornato con lo spazio per altro e non solo per sè?
Sono stata malissimo.
E a metà del mio pianto e i miei singhiozzi, ho parlato con Un Uomo.
Che ha attraversato i vicoli, ed è arrivato a casa mia in piena notte.
E per le successive 24 ore - con pause lavorative - mi ha ribaltata come un calzino.

Mi ha smascherata come un vero giocatore di poker sgama un baro da saloon.
Ha letto tutto il mio verbale, il mio non verbale, il mio benessere, il mio malessere, i miei casini, il mio modo di reggere sempre i fili delle storie d'amore come se io fossi pirandello e gli altri pulcinella.
Mi ha ascoltato per un'infinità di tempo.
E mi ha parlato relativamente poco.
Ma quando ha parlato lui, io mi sono sentita come gli ebrei delle storielle davanti al Rabbino.

Mi ha guardato e mi ha detto.
Benissimo.
Questa sei tu.
I tuoi casini.
I tuoi irrisolti.
Il tuo uomo ideale.
Il tuo Professor Baher.
Il tuo immaginario.
Le tue delusioni.
Le tue ansie.

E poi ci sono io, mi ha detto.
Allora, se nella tua testa, e nella tua pancia c'è spazio solo per te.
Per te e i tuoi casini, i tuoi irrisolti, il tuo uomo ideale, il tuo professor baher, il tuo immaginario, le tue delusioni e le tue ansie.
Se tu pensi che le storie d'amore le decidi tu prima. Dove iniziano, dove finiscono, dove portano.
Se tu pensi di essere Pirandello e che io sia Pulcinella (questa è mia, ma insomma).
Se è questo che sei.
La scrittrice delle tue storie d'amore.
Allora io me ne vado.
E mi dici se alla fine l'assassino era il maggiordomo.

Se invece.
Se invece nel tuo cervello e nella tua pancia c'è posto per un'altra persona.
Per un altro Pirandello che vive le cose, e le vive per come sono e non per come dovrebbero essere.
Se lasci lo spazio a me di vivere le cose, di deciderle, anche. Se mi lasci lo spazio di stupirti e di annoiarti, eventualmente, se mi lasci lo spazio di essere metà attiva della nostra storia d'amore.
Allora resto.

Eravamo al ristorante cinese.
Io ho mangiato un totale di due anacardi, tre gamberetti e un gambero fritto.
E ho deciso che sarebbe restato.
Ci ho messo qualche ora, e ancora una notte di pensieri.
Ma ho deciso che lo volevo, un altro pirandello.
Che ne ho le palle piene di gente da trattare come pulcinella.

Non senza fatica.
Non pensiate che la nessie sia donna che ammette facilmente le sue mancanze.
Non pensiate che la nessie sia una donna che si riconosce facilmente i fallimenti.
Non pensiate che essere scoperti così platealmente a barare sia cosa da nulla.
Non pensiate che si passi indenni attraverso il catrame e le piume.

E' sicuramente Herpes.

giovedì, maggio 06, 2010



Riunione.
Tra le varie persone presenti, un raro caso di maestra attiva e presente.
Sessant'anni tutti.
Una vita nella scuola.
Qualche intervento sparso da cui si percepisce l'impegno, la costanza, l'attenzione.
Io penso Aveccene, di maestre così.
Poi finiscono le cose importanti da dirsi.
E parte la lamentela.
Ormai le riunioni del terzo settore sono così.
Si regge botta per tutto il tempo, si sorride, si parla di cose che funzionano, di progetti, di piccoli successi.
E poi, nell'ultimo quarto d'ora, si butta la maschera.
I soldi che non ci sono.
Il disagio sempre maggiore.
I genitori che non ce la fanno.
Il Comune inadeguato.
I servizi sociali che arrancano.
Questa era la volta de Le maestre sempre più ignoranti.
Che è vero.
E' drammaticamente vero, e non è tutta colpa loro.
Ma comunque.
La maestra presente alla riunione.
Quella intelligente.
Quella che Aveccene.
Dice Ah, io adesso dirò una cosa che non vi troverà d'accordo.
Ma la colpa di tutta questa ignoranza, tra le maestre, di tutta questa incapacità, è del '68.
Queste sono figlie del '68, per questo che sono così ignoranti, così incapaci.
E lo dico io che ero in piazza, eh.
La scuola allo sfascio è colpa del '68.
Così siamo usciti dalla riunione con almeno un quarto d'ora di ritardo.
Perchè abbiamo tirato su gli scudi e pezzetto dopo pezzetto, le abbiamo detto che era una cazzata.
Generazionale, innanzitutto.
Queste sono le maestre cresciute con Jovanotti e con Dallas, mica in corteo.
E poi perchè tutto si può dire, ma non che il '68 premiasse l'ignoranza.
E che poi queste maestre siano dell fricchettone, proprio non direi.
Non sono autorevoli.
Ma sono autoritarie.
Sono dittatoriali.
E incapaci.
Come si fa davvero a pensare che queste siano le conseguenze del '68?
E infatti, questa maestra, che poi è intelligente, anche se è stanca e scoglionata, poi ha ceduto.
Si, in effetti, sono nate nel '68, ma sono cresciute negli anni 80.
Appunto.
Sono le figlie del riflusso, queste. Reagan, Craxi.
Mica che sei figlio dell'anno in cui nasci, sei figlio del decennio in cui cresci.
Sembra che abbiamo abbastanza vinto, che l'abbiamo convinta.
Mi sa che adesso ci sta ripensando.
Ma anche io, ci sto ripensando.

E, sempre più spesso, mi trovo a dire Ma se persino le persone intelligenti pensano delle cazzate.
Delle enormi cazzate.
Che sono false, che sono una cosa a metà tra la leggenda metropolitana e lo sbaglio.
Se persino quelle intelligenti sono così.
Gli altri?
Come sono gli altri?

E mi viene da pensare che Bush ci ha vinto le prime elezioni con questa storia del '68 causa di tutti i mali, dall'economia alla scuola.
Poi ha fatto la guerra al terrorismo, così ha vinto anche le elezioni dopo.
E penso che ci serva un santino da portafoglio.
Un Santo Protettore che ci difenda dalla semplificazione, dalle leggende metropolitane, dal senso di colpa che fa sragionare questa inadeguatissima generazione di adulti.
Non so.
Santa Controinformazione?

martedì, maggio 04, 2010

Tuttolibri, stasera, su prospettivaranocchio


Ho freddo.
Perchè, ovviamente, i maglioni li ho già messi via tutti, in un raptus domenicale casalingo.
E oggi qui fuori è marzo.

Nella casa numero quattordici non ho traslocato neanche un ombrello, quindi stamattina sono andata alla riunione mensile alla fine del mondo con la sciarpa sulla testa. Ma, come voi razionali avrete già capito, non è servito a molto e sono arrivata bagnata come un grizzly nel fiume, con la stessa grazia, la stessa bellezza e anche lo stesso buonumore.

Adesso, però, sono a casa perchè dovrei lavorare stasera. Educativa di strada dalle 18.00 in poi.
Ma, se dio vuole, appunto, piove e diluvia.
E gli adolescenti, che tutto si può dire ma non che siano funghi o lumache, con la pioggia se ne stanno belli chiusi in casa, rendendo inutile l'educativa di strada delle 18.00.
Così forse oggi pomeriggio sono in recupero di un lavoro serale che non farò.
Meraviglioso governo ladro.

Così adesso digerisco le meravigliose melanzane alla parmigiana di Un uomo, faccio una doccia calda e poi uso questo pomeriggio libero per andare dagli sbirri a dire che mi hanno rubato il passaporto.
Dieci anni fa, me l'hanno rubato.
Ma sembra che per farne uno nuovo devo rifare la denuncia.
Le dodici fatiche di asterix.

A dover scegliere, credo che andrò dagli sbirri che abitano di fronte al circolo Luogo dell'anima. Così, tanto per fare un po' la p.r.
In generale, però, pensare di uscire di casa sotto la pioggia per infilarmi in una caserma non è un'idea che proprio mi renda gioiosa.
E' la sindrome da G8.

Però, oggi.
Con le dimissioni di Scajola.
Di nuovo.
C'è tutto un altro gusto, ad andare in caserma.

domenica, maggio 02, 2010



Due maggio, pomeriggio, tre e mezza.
Ho lavato il bagno, ho messo i maglioni nella scatola dell'inverno, ho messo le lenzuola in lavatrice, ho lavato per terra.
Ho passato in padella i porri e le bietoline con un po' di pepe nero e un filo d'olio, ho aggiunto la ricotta, ho steso la pasta sfoglia nella pirofila.
Devo aspettare che finisca la lavatrice per accendere il forno, altrimenti salta la luce.
Dal computer Capossela canta All'una e trenacinque circa.
Il gatto Signor Siberia guarda fuori dalla finestra come una vecchia pensionata impicciona.
Sono qui. Io e una domenica libera.
Volevo partire, uno dei prossimi week end.
Avevo fatto un sacco di piani.
Sognavo il Marocco o l'Olanda.
Ma ho scoperto oggi che avevo un solo week end scarico, ed era questo.
Volevo essere Philip Fogg e mi ritrovo Cenerentola.
A volte il regista della mia vita infierisce con cinico umorismo.

Credo che dirò al padrone della casa numero 14 che pensavo, alla fine, di non andarmene così presto come avevo preventivato.
E che si mi toglie questa merda di divano a fiori, potrei addirittura pensare ad un contratto per un anno.
Anche se non mi ci stanno già più i libri.
Nonostante non possa farmi il silchepil mentre va la lavatrice.
Questo anche perchè i topi sono scomparsi.
La prima settimana sembrava che il vicolo brulicasse.
Poi sono spariti.
Non so, magari è stato il comitato d'accoglienza.
Forse il freddo li ha decimati.
Forse hanno lasciato il pianeta, subito dopo i delfini e decisamente prima che noi umani potessimo anche solo accorgerci della superstarada che i Vogon stanno per costruire passando attraverso la Terra.
Ma tanto che problema c'è? Mica ci servono i Vogon: abbiamo già la British Petroil.
Comunque i topi non ci sono più.
O, se ci sono, sono ben nascosti.
Così ho pensato di proporre al padrone di casa un accordo: sparisce il divano a fiori, come sono spariti i topi, e io garantisco la mia permanenza per un anno.
Un anno è un sacco di tempo.
Il padrone di casa dovrebbe apprezzare la rarità dell'evento: un'imprevista nessielungimiraza.
Da Philip Fogg a Cenerentola a Simeone lo stilita.
Dice il regista della mia vita che, a trent'anni, si può anche trovare imprevedibilmente comoda persino una colonna.
E sedercisi un pochino su.