Dice gli svizzeri che Il Cisalpino l’è mea un treno svizzero.
Dice che è qualcosa in compartecipazione italiana, e si vede.
Ma per me, salire sul Cisalpino a Milano Centrale, è come il detective di Roger Rabbit quando entra a Cartoonia, come Dorothy che passa dal Kansas al Paese di Oz.
Milano Centrale io, questa volta, l’ennesima volta, ci sono arrivata su un regionale venticinque minuti di ritardo, con i sedili rotti e lo sporco da carbonio 14.
A Milano Centrale, questa volta, l’ennesima volta da quando hanno tolto le panchine perché così non ci dormono i barboni, tutta l’umanità era un piedi in attesa che il tabellone partorisse gli orari.
A me, l’umanità in piedi in attesa a Stazione Centrale, sempre mi ricorda la foto scattata a piazza Venezia il giorno dell’entrata in guerra.
A Milano Centrale c’erano dieci ragazze vestite di bianco che regalavano la cocacola light. E soltanto intorno a loro si potevano individuare dei rari sorrisi. Perché tutto il resto, invece, questa volta, l’ennesima volta, era solo nervoso, urla e telefonini.
Il caffè costa un euro e venti, il cappuccino due euro, l’edicola non dà informazioni. Al piano terra è sorto un centro commerciale, con gli stessi negozi della fiumara, con le stesse vetrine, con le stesse offerte.
Esco per cercare un bancomat.
Metto la testa nell’edicola.
Tra i giornali sono appoggiati tre passerotti.
L’edicolante alza lo sguardo da Libero, caccia via i passerotti, mi dice Uccelli di merda. Ma qui devono venire, a rompere i coglioni?
Poi mi indica il bancomat. Che ha cinque sportelli.
Quando torno in stazione il Cisalpino è sul binario.
Supero cinque ragazze tristi alte tre metri e venti, accompagnate da altrettanti cinquantenni firmati GianfrancoFerrè e salgo sul treno.
Dentro cambia il setting.
E’ come tuffare la testa sotto l’acqua mentre i vicini danno una festa.
Dentro al Cisalpino tutti parlano a voce bassa.
Anche gli italiani.
Anche quelli di Como, per dire. Quelli che magari prima avevo visto sbraitare al telefono mentre stringevano la borsa al passaggio di tre ragazze rom.
Però lì si adeguano al contesto.
Un contesto di gente che legge, che mette la vibrazione al telefono, che parla piano, che guarda fuori dal finestrino.
Allora io mi dico che il setting è tutto.
Il setting, in Italia, in questo momento, è inospitale, è brutto, è sporco, è depresso, è claustrofobico.
Capisco che il mio amore per la Svizzera ha tanto a che fare con la possibilità di pensarsi e collocarsi in uno spazio accogliente. Se vale per gli ospedali, per le classi, per gli asili, per gli uffici, per i centri commerciali. Se tutti lo dicono, che si sta meglio, si produce di più, in un posto bello. Se vale per i negozi, perché non dovrebbe valere per i paesi?
E così arrivo a Mendrisio.
E dico Ho fatto un viaggio meraviglioso, sul Cisalpino.
Ma va? - mi rispondono – pensa che il Cisalpino funziona così male che le ferrovie Svizzere hanno accostato un treno che fa la stessa tratta, da Chiasso a Zurigo. Ma pulito e in orario.
Dice che è qualcosa in compartecipazione italiana, e si vede.
Ma per me, salire sul Cisalpino a Milano Centrale, è come il detective di Roger Rabbit quando entra a Cartoonia, come Dorothy che passa dal Kansas al Paese di Oz.
Milano Centrale io, questa volta, l’ennesima volta, ci sono arrivata su un regionale venticinque minuti di ritardo, con i sedili rotti e lo sporco da carbonio 14.
A Milano Centrale, questa volta, l’ennesima volta da quando hanno tolto le panchine perché così non ci dormono i barboni, tutta l’umanità era un piedi in attesa che il tabellone partorisse gli orari.
A me, l’umanità in piedi in attesa a Stazione Centrale, sempre mi ricorda la foto scattata a piazza Venezia il giorno dell’entrata in guerra.
A Milano Centrale c’erano dieci ragazze vestite di bianco che regalavano la cocacola light. E soltanto intorno a loro si potevano individuare dei rari sorrisi. Perché tutto il resto, invece, questa volta, l’ennesima volta, era solo nervoso, urla e telefonini.
Il caffè costa un euro e venti, il cappuccino due euro, l’edicola non dà informazioni. Al piano terra è sorto un centro commerciale, con gli stessi negozi della fiumara, con le stesse vetrine, con le stesse offerte.
Esco per cercare un bancomat.
Metto la testa nell’edicola.
Tra i giornali sono appoggiati tre passerotti.
L’edicolante alza lo sguardo da Libero, caccia via i passerotti, mi dice Uccelli di merda. Ma qui devono venire, a rompere i coglioni?
Poi mi indica il bancomat. Che ha cinque sportelli.
Quando torno in stazione il Cisalpino è sul binario.
Supero cinque ragazze tristi alte tre metri e venti, accompagnate da altrettanti cinquantenni firmati GianfrancoFerrè e salgo sul treno.
Dentro cambia il setting.
E’ come tuffare la testa sotto l’acqua mentre i vicini danno una festa.
Dentro al Cisalpino tutti parlano a voce bassa.
Anche gli italiani.
Anche quelli di Como, per dire. Quelli che magari prima avevo visto sbraitare al telefono mentre stringevano la borsa al passaggio di tre ragazze rom.
Però lì si adeguano al contesto.
Un contesto di gente che legge, che mette la vibrazione al telefono, che parla piano, che guarda fuori dal finestrino.
Allora io mi dico che il setting è tutto.
Il setting, in Italia, in questo momento, è inospitale, è brutto, è sporco, è depresso, è claustrofobico.
Capisco che il mio amore per la Svizzera ha tanto a che fare con la possibilità di pensarsi e collocarsi in uno spazio accogliente. Se vale per gli ospedali, per le classi, per gli asili, per gli uffici, per i centri commerciali. Se tutti lo dicono, che si sta meglio, si produce di più, in un posto bello. Se vale per i negozi, perché non dovrebbe valere per i paesi?
E così arrivo a Mendrisio.
E dico Ho fatto un viaggio meraviglioso, sul Cisalpino.
Ma va? - mi rispondono – pensa che il Cisalpino funziona così male che le ferrovie Svizzere hanno accostato un treno che fa la stessa tratta, da Chiasso a Zurigo. Ma pulito e in orario.
1 commento:
... sospiro.
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