Casa numero quattordici.
Ci sono.
Ho dormito ieri per la prima volta sul soppalco, con un uomo che mi ha fatto i grattini sulla testa fino all’ultimo granello di veglia, e poi se n’è andato, tirandosi dietro la porta sulla mia ricercata solitudine.
Oggi ho passato la domenica a svuotare i miei trenta scatoloni di vita. Mi mancano soltanto quelli della cucina.
Ho fatto la prima spesa al supermercato sotto casa.
Ho preso il primo caffè al bar.
Aspetto martedi per la presentazione ufficiale in edicola.
Ho una casa che tutto sommato, a 30 ore dal trasloco, è molto più vivibile di vico dolcezza negli ultimi due mesi.
Ho posto per tutto, e qualcosa ancora avanza.
Nei prossimi giorni devo mettere in ordine rigoroso i libri, che sono il piccolo spazio alla mia compulsività ossessiva. Per genere, per autore, per formato.
Stamattina, prima del supermercato, avevo il frigorifero di uno yuppie: torte salate cucinate dalla mamma vino bianco e spumante. Adesso ho il latte, le uova, i sapori, l’insalata e un avanzo di brie lasciato dall’uomo dei grattini, che oggi è tornato a cucinarmi un pranzo da Famiglia Italiana, mentre io svuotavo scatole e piantavo chiodi, alla faccia delle differenze di genere.
Adesso che è mezzanotte di domenica, ho la colonna di pulp fiction bassa bassa, un silenzio meraviglioso, nessuno che torna, nessuno che si sveglia per andare in bagno e mi passa dietro la schiena strofinandosi gli occhi e bofonchiando Ancora sveglia?
Quando sono andata a vivere da sola per la prima volta, sei anni fa, ho passato le prime notti guardando film fino alle 6 del mattino.
Ho visto Novecento di Bertolucci, tutto, tra mezzanotte e le sei di un giovedi notte.
Avevo ventidue anni, vivevo con dei coinquilini orribili – La Seppia, Il Marines e La Camionista – e guardare i film fino alle sei del mattino senza che nessuno mi chiedesse nulla mi sembrava la più grande delle sperimentazioni di libertà. Ero una studentessa universitaria sotto tesi. Potevo permettermi di spegnere il telefono per non accettare le supplenze che mi facevano pagare l’affitto, se avevo guardato tutti i film con Gian Maria Volontè fino all’alba.
Ci sono.
Ho dormito ieri per la prima volta sul soppalco, con un uomo che mi ha fatto i grattini sulla testa fino all’ultimo granello di veglia, e poi se n’è andato, tirandosi dietro la porta sulla mia ricercata solitudine.
Oggi ho passato la domenica a svuotare i miei trenta scatoloni di vita. Mi mancano soltanto quelli della cucina.
Ho fatto la prima spesa al supermercato sotto casa.
Ho preso il primo caffè al bar.
Aspetto martedi per la presentazione ufficiale in edicola.
Ho una casa che tutto sommato, a 30 ore dal trasloco, è molto più vivibile di vico dolcezza negli ultimi due mesi.
Ho posto per tutto, e qualcosa ancora avanza.
Nei prossimi giorni devo mettere in ordine rigoroso i libri, che sono il piccolo spazio alla mia compulsività ossessiva. Per genere, per autore, per formato.
Stamattina, prima del supermercato, avevo il frigorifero di uno yuppie: torte salate cucinate dalla mamma vino bianco e spumante. Adesso ho il latte, le uova, i sapori, l’insalata e un avanzo di brie lasciato dall’uomo dei grattini, che oggi è tornato a cucinarmi un pranzo da Famiglia Italiana, mentre io svuotavo scatole e piantavo chiodi, alla faccia delle differenze di genere.
Adesso che è mezzanotte di domenica, ho la colonna di pulp fiction bassa bassa, un silenzio meraviglioso, nessuno che torna, nessuno che si sveglia per andare in bagno e mi passa dietro la schiena strofinandosi gli occhi e bofonchiando Ancora sveglia?
Quando sono andata a vivere da sola per la prima volta, sei anni fa, ho passato le prime notti guardando film fino alle 6 del mattino.
Ho visto Novecento di Bertolucci, tutto, tra mezzanotte e le sei di un giovedi notte.
Avevo ventidue anni, vivevo con dei coinquilini orribili – La Seppia, Il Marines e La Camionista – e guardare i film fino alle sei del mattino senza che nessuno mi chiedesse nulla mi sembrava la più grande delle sperimentazioni di libertà. Ero una studentessa universitaria sotto tesi. Potevo permettermi di spegnere il telefono per non accettare le supplenze che mi facevano pagare l’affitto, se avevo guardato tutti i film con Gian Maria Volontè fino all’alba.
Potevo non sentirmi in colpa ad alzarmi alle tre, cucinarmi un purè con la carne macinata e mettermi a scrivere di Scuole e Partigiani.
Adesso che ho sei anni di più è solo mezzanotte ma è il momento di spegnere il computer, salvare il post che pubblicherò domani e andare a dormire, che domani ho le mie ragazzine.
Adesso che ho sei anni di più è solo mezzanotte ma è il momento di spegnere il computer, salvare il post che pubblicherò domani e andare a dormire, che domani ho le mie ragazzine.
Ma vado a dormire con questa splendida sensazione di solitudine avvolgente. Una sensazione che si impara ad apprezzare soltanto ad un certo punto, dopo le Seppie, i Marines, le Camioniste, le Mogli e le Ragazze fuori Moda.
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