Ieri ho intervistato altri due partigiani.
Finchè ci sono, godiamoci le loro memorie traballanti...
Dicono che sono un po' depressi, che la precarietà li spaventa, che lo squadrismo lo riconoscono, che si aspettavano che le cose sarebbero andate diversamente, che un po' forse era meglio morire dieci anni fa.
Poi però dicono anche che hanno la tessera del Pd.
Io mi sono fatta l'idea che il Pd conserva i suoi voti grazie soltanto a quelli che Pd gli suona come PCI, quando hanno l'apparecchio acustico scarico.
Tendono spesso alla glorificazione, i vecchi partigiani, ma io non vado mai ad ascoltarli per invidiare le loro azioni grandiose, a volte non troppo vere, se non del tutto ricostruite da una memoria vecchia di aneddoti.
A me brillano gli occhi quando posso fissare su una telecamera un racconto come questo:
"Noi si era antifascisti: mio padre era stato uno dei fondatori del Partito con Gramsci, a Livorno, nel '21. Ma poi di politica a casa non se ne parlava mai.
Una sera, subito dopo l'8 settembre, mi dicono che c'è una riunione organizzativa. Allora ci vado, e seduto su una sedia ci trovo mio padre. Lui mi guarda, alza un sopracciglio e mi dice "anche tu qui?" e si rimette a parlare con gli altri. Poi entra mio fratello maggiore. E per ultimo quello piccolo, che poi l'hanno fucilato. Eravamo tutti lì, ma mica ci eravamo messi d'accordo".
Loro si dicono senza molte speranze, ma è grazie a questi racconti, invece, che io mi tiro su di morale.
Perchè mi dico che allora forse qualcosa passa, nonostante una dittatura culturale.
Se i figli del signor I., che non parlava di politica, si sono trovati, tre su tre, dopo vent'anni di dittatura, di sabati fascisti, di scuola del fascio, di Ovra, se si sono trovati tutti lì, a fare politica, allora - mi dico - c'è qualcosa che passa sottopelle.
Un dubbio, una critica, un esempio, una domanda che passa, e poi cresce, nonostante tutta la polizia, tutto l'esercito del mondo.
Se chiedi ad un partigiano: Come sei diventato antifascista? non avrai mai, mai la stessa risposta.
Ci sono gli scarponi che il maestro gli ha requisito perchè il padre non aveva la tessera, ci sono le file con la tessera annonaria, c'è un fratello morto in russia, c'è un libro passato di mano in mano, un professore che parla, una lattaia che si lamenta, uno sciopero sotto casa, un treno piombato che passa, le mani che si sporgono.
C'è sempre qualcosa, in ogni racconto, un piccolo elemento che li ha fatti risvegliare dal torpore della dittaura.
Io registro i racconti, li ascolto, e cerco questo elemento, per piccolo che sia.
E' la caccia al tesoro dell'antifascismo.
Capire cosa ha fatto svegliare loro, per poterci svegliare noi.
1 commento:
Capire cosa ha fatto svegliare loro, per seminarlo noi.
Essere il padre senza la tessera, essere la prima mano che passa quel libro, essere il professore che parla, la lattaia, essere lo scipero sotto casa. Ecco, magari cercando di non finire sul vagone piomabato :-)
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