sabato, settembre 29, 2007

ASCANIO CELESTINI, SEMPRE E COMUNQUE.

venerdì, settembre 28, 2007

IO QUESTO SIGNORE QUI CHE DECOMPONE LE FOTOGRAFIE SUI COLTELLI LO TROVO UN GENIO SENZA FINE.

... e le altre opere le trovate su http://www.aeroplastics.net/Carlos_Aires/LOVE_knives.html









DI ADOLESCENZA E RIFLESSIONI

C'era un sogno costante nella mia prima adolescenza, un desiderio fortissimo che vinceva la medaglia di bronzo nel mio podio mentale, terzo per pochi decimi di secondo dietro alla speranza di diventare un'osannata rockstar saltellante sul palco di wembley e quella di vincere il premio nobel per la letteratura prima dei vent'anni, che poi si era troppo vecchi.
Questo sogno da medaglia di bronzo era andare a vivere a Milano.

Io la mia prima adolescenza era il 1993.
E nel 1993, a Genova, esaurite le colombiadi, c'era il palasport dove si lamentava dell'acustica persino Guccini, le spiagge inquinate dove non mi piaceva andare e qualche pizzeria per le feste di classe.
A Milano, invece, c'era tutto.
Io ascoltavo Radiodigei nelle cuffie del walkman, rintanata sotto le coperte, e scoprivo di concerti, di mostre, di locali aperti tutta lo notte. E poi, un pochino più tardi, scoprivo di Leoncavallo, di manifestazioni e Dario Fo e Paolo Rossi e mi sembrava che tutto fosse lì, a Milano.
Così mi sono precipitata in treno più di una volta, con scuse e amiche di penna improbabili da andare a trovare, fotografie sotto il portone di radio digei e urla al premio italiano della musica, al Rolling Stone.
Si, lo ammetto con un po' di vergogna, sono stata un'adolescente completamente cretina.

Però andavo a Milano, e questo bastava a convincermi sempre di più che chi se ne frega del nobel per la letteratura: io appena finisco le superiori la mia terra promessa è a un'ora e mezza di treno.
Ho visto nascere il berlusconismo, nei miei viaggi di qualche ora o qualche giorno. In particolare in un'estate afosa ospite di un'amica di penna a Milano 2, dove si parlava di Silvio come fosse un amico di famiglia.

Poi è successo che io e Milano ci siamo un po' dimenticate. Io, presa nel vortice del mio primo amore infinito, ho iniziato a scoprire Torino e Roma, ma soprattutto a veder rinascere Genova, che riapriva i suoi vicoli a noi ormai tardo adolescenti con gli anfibi viola che andavamo a ingurgitare vinello sfuso e pane curracao alla Maddleine, convinti che fosse una nostra invenzione.

Con Milano ci siamo riviste saltuariamente, per qualche corteo del 25 aprile, quello del 1994 contro il primo governo Berlusconi, con tutti i partigiani in prima fila e la pioggia infinita e grigia. Ma anche gli anni dopo: il 25 aprile è Milano.
Poi una volta al Leoncavallo per un incontro tra Centri Sociali, che avrebbe potuto essere ovunque, tanto il fumo tappava le finestre e non si vedeva ad un centimetro dal naso.
E qualche concerto che si arriva con il buio e l'adrenalina, e si riparte con il buio e il sudore che si congela sulla schiena.

Il 2000 mi è passato davanti senza più incontri approfonditi con Milano. Scendevo a Pavia, quando avevo voglia di Lombardia. E nel mio periodo di interviste ai partigiani, scendevo dal treno, mi facevo ingoiare dalla metropolitana, e risbucavo a Bande Nere o al Giambellino, sempre in ritardo, sempre concentrata su microfono e appunti. Milano era solo una parentesi delle mie interviste.

E' finita che ci siamo rivisti nel 2005, io e Milano, per il corteo sull'autodeterminazione della donna.
E il sole era un disco pallido e grigio sulla stazione centrale.
E il corteo era bello e colorato, ma i colori venivano assorbiti dallo smog dei palazzi cupi, dalla fretta delle persone che bestemmiavano per il ritardo, dai baristi sulla porta a difendere le vetrine.
Roma, Genova, Bologna hanno sempre riflesso i colori dei cortei, si sono sempre lasciate trasformare dal fiume di persone, hanno risuonato di fischi e slogan. Milano, da quel 2005, mi è sembrata impenetrabile, come una maglia di ferro dei crociati.

Mercoledi scorso, a Malpensa, ho perso la navetta per Milano, e quindi l'interegionale del ritorno.
Pioveva, faceva freddo e tutti erano incazzati.
Io ho fatto un altro biglietto, a Stazione Centrale, e poi ho cercato il bar dove sempre mi sedevo ad aspettare quando ero in anticipo.
Il bar non c'è più. Quello grande, in fondo, con i tavolini sempre sporchi, non c'è più.
Allora ho cercato le panchine. Hanno tolto anche le panchine.
Quelle sui binari ci sono ancora ma non si può accedere al binario fino all'arrivo del treno. Questione di sicurezza.
Niente panchine.
Bar ce ne sono tanti. Ma tavolini neanche uno.
E il bagno lo paghi settanta centesimi.
Ho aspettato cinquanta minuti in piedi sotto il tabellone delle partenze.
Con me aspettavano anche i passeggeri di un treno in ritardo di 110 minuti.
Quelli seduti erano quelli con le valigie rigide.

Il valore delle panchine non è soltanto quello dell'attesa, che già è un valore importante.
Si legge, sulle panchine, e ci si sbaciucchia da adolescenti, e ci si abbraccia, e ci si riposa, sulle panchine.
E' dove ci si incontra, dove si chiacchera, dove si dorme quando non si ha una casa.
Le panchine sono il luogo dove una città si ferma e respira.

...La sparizione delle panchine dalla stazione di Milano, non è avvenuta in una data precisa. Sono cose che misteriosamente accadono... come la comparsa dei biscotti Togo al cioccolato. Tutto è cambiato.
Alle panchine della stazione e a tutti i compagni caduti bisognerebbe dedicare una piazza davanti ad un ipermercato.

giovedì, settembre 27, 2007



COMINCIAMO DALLA FINE

Alla fine, sul treno per milano, ci siamo fatti inghiottire dall'autunno.
E dopo esserci detti per un mese che era meglio decidere l'ultimo giorno, l'ultimo giorno non abbiamo preso nessuna decisione.

Ci abbiamo provato, insistentemente, mentre le lacrime di entrambi rimbalzavano sui sedili della prima classe declassata, ma ogni proposta sembrava o stupida o impraticabile o autolesionista. In una galleria infinita tra la liguria e il piemonte abbiamo quindi deciso di chiudere l'argomento, che la scientificità decisionale non fa per noi, e ci siamo impegnati ad abbellire il mondo a forza di feroce immaginazione.
Così - con lo stesso inspiegabile senso dell'orrido che aveva spinto l'Ulivo Palestinese a dichiararmi il suo amore allo stand delle frittelle alla festa dell'unità, al passaggio del ministro bersani - così ho ricevuto la mia prima proposta di matrimonio alla stazione di Ronco Scrivia.
Beninteso, matrimonio del Se fossi: "...se tu fossi una torta saresti una meringata, se tu fossi di Ramallah sarei andato a chiederti in sposa prima di partire".
Ma visto che non sono di Ramallah - e meno male, che la situazione già così non è semplice - ci accontentiamo di fichi secchi e ancora un po' di tempo, come regalo di partenza, per pensarci un po' su.
Forse una settimana, forse un mese, per vedere se è davvero così difficile staccarsi, o è solo panico da letto vuoto.
Lui penserà tra l'unto del fish & chips, io invece ho bisogno di tempo per guardarmi da fuori, per andare dalla fioraia ancora una volta, e comprare i fiori cupi del primo autunno.
E per riassaggiare la solitudine e il ritorno ai luoghi dell'anima e riscoprire come i sono i sapori, di nuovo, senza di lui.
Prenderemo una decisione a distanza, senza fretta, in autunno inoltrato. A me la pioggia mi aiuta a pensare.

L'aeroporto ci ha visti accoccolati, con le gambe sulle valigie più grandi del mondo. Poi abbiamo fatto le scale mobili tre volte, sempre le stesse, perchè c'era sempre una buona ragione per accartocciarci negli ennesimi ultimi cinque minuti.
Poi, basta.
Poi c'era il suo aereo per Londra.

E a me, a ritornare a galla dal piano -1, mi è venuto un attacco di panico. Di quelli da manuale. Che piangevo e non respiravo e mi sentivo soffocare.
Sono corsa fuori nella pioggia di malpensa a prendere stupidamente le gocce in faccia in piedi tra due taxi stupiti, e mi è passata solo quando ho pensato che sembravo un film di Ozpetek, mi sono fatta schifo da sola e ho ricominciato a respirare.

mercoledì, settembre 26, 2007



"PLEASE LOOK AFTER THIS BEAR. THANK YOU"

L'ulivo palestinese è a Londra.
Io mi faccio la dormita più lunga del mondo, chiudo gli occhi e mi nascondo dalla realtà per una dozzina di ore.
Ma poi, quando mi sveglio, torno.
E vi racconto.

giovedì, settembre 20, 2007




Cos'è la Comune-ty?

La Comune-ty è quella cosa che sparisci un mese a rincorrere un amore impossibile, e quando fai di nuovo capolino da Stavros, sono tutti lì che ti aspettano.

giovedì, settembre 13, 2007



POST ESTEMPORANEO, TANTO PER FARVI SAPERE COME VA CON L'ULIVO PALESTINESE


Ha messo le mani con tatto nel mio spettacolo teatrale imperfetto ed è stato come quando aggiungi la crema ad una brioche vuota.
Si è armato di trapano e idee e adesso ho una stanza da letto.
In Via del Campo lo salutano già: Salam alechum Falestini.
Mi racconta le fiabe della buona notte e i sorrisi del buongiorno.
E mi ha fatto tornare la voglia di scrivere.

Non mi sta mettendo a posto l'incasinatissimo armadio quattro stagioni in cui si adagia la mia psiche.
Ma qualche cassetto si.